Roma, 20 dicembre – Il ripensamento, questa volta, è di un’amministrazione regionale: la Toscana ha infatti stralciato la norma contenuta nell’art. 34 della legge di bilancio in discussione in Consiglio regionale, che al fine di contenere la spesa farmaceutica, disponeva di allargare la distribuzione dei farmaci attraverso e strutture pubbliche (i Punti farmaceutici di continuità e le farmacie ospedaliere) individuandoli anche tra i medicinali di farmaci di fascia A non compresi nel Pht ma con un differenziale di costo tra erogazione in convenzionata e distribuzione diretta superiore al 30% oppure soggetti a prescrizione specialistica limitativa o a compilazione del piano terapeutico specialistico ai fini della concedibilità a carico del Ssn. Il tutto per “grattuggiare” un risparmio quantificato in circa 5 milioni e contrastare la lievitazione della spesa farmaceutica toscana nel 2024, circa 100 milioni in più, un aumento che – come ben sanno i governanti regionali – non è certo imputabile alle farmacie.
La misura – anacronistica e in assoluta controtendenza rispetto agli indirizzi della politica nazionale, che vanno esattamente nella direzione opposta e mirano a valorizzare l’assistenza di prossimità anche nell’abito del servizio farmaceutico – aveva ovviamente suscitato le immediate reazioni delle sigle delle farmacie di comunità, con la forte presa di posizione pubblica di Federfarma e Cispel Toscana, questa subito seguita da Assofarm nazionale, molto decisa nello stigmatizzare la norma destinata a essere inserita nell’art. 34 della legge regionale di bilancio (RIFday ne aveva dato ampio conto il 17 dicembre scorso in quest’articolo).
Le due sigle hanno subito usato i toni forti, prefigurando anche ricadute immediate e concrete nei rapporti con la Regione, prima tra tutte un cambio di rotta in ordine al nuovo accordo relativo alla distribuzione di dispositivi medici ed altri prodotti farmaceutici. “Non verrà sottoscritto” è stata la inequivocabile minaccia di Andrea Giacomelli, presidente di Federfarma Toscana (nella foto)”e le farmacie cesseranno tale attività al 31 dicembre 2024, valutando anche la cessazione di ogni altro servizio non inerente alla dispensazione dei farmaci”. Posizione ribadita, mutatis mutandis, anche da Cispel.
Sottolineando che la norma contenuta nell’art. 34 avrebbe sancito un ritorno al passato che avrebbe inevitabilmente peggiorato la qualità della vita dei cittadini, in particolare quelli più fragili comei cronici con con seri problemi di salute, e rimarcando come negli ultimi anni le farmacie territoriali abbiano dato ampia prova di essere un fattore di efficientamento del sistema, e non certo il contrario, Assofarm era poi ìntervenuta per chiedere ai vertici di Regione Toscana, con il suo presidente Luca Pieri (nella foto), di fare macchina indietro, eliminando dal testo di legge regionale, chiaramente in antitesi rispetto ai disegni politici finalmente prevalenti a livello nazionale, come attesta anche l’approvazione (che sarà sancita oggi con la firma alla Sisac) del nuovo accordo convenzionale tra farmacie e Ssn, volto a sviluppare il valore aggiunto distintivo delle farmacie di comunità.
Mosso probabilmente dalla decisa reazione dei farmacisti (peraltro accompagnata dal fuoco ad alzo zero delle opposizioni consiliari e, pare, anche dall’aver “annusato” un certo scontento e sconcerto tra i cittadini di fronte alla notizia del supplemento di assistenza diretta), il governo regionale ha ritenuto cosa buona, giusta e prudente stralciare la norma. Ad annunciarlo è stato lo stesso presidente della Giunta regionale Eugenio Giani (nella foto), in un intervento nel Consiglio regionale tenutosi l’altro ieri, nel quale ha però ribadito la necessità di “percorrere ogni strada” per ridurre la spesa farmaceutica “nell’interesse dei cittadini”.
Alla fine della fiera, insomma, la richiesta di stralcio della norma avanzata dalle farmacie è stata accolta, e alla fine è quello che conta, ed è la conferma – dopo il ritiro, in Senato, della proposta di eliminare il requisito della specializzazione per l’accesso al ruolo di farmacista dirigente nella sanità pubblica – che i ripensamenti sono evidentemente possibili e che si può tornare indietro quando si imbocca una strada sbagliata. La politica e le istituzioni, insomma, danno segni di essere in grado di capire – se glielo si spiega in modo efficace – cosa è meglio per gli interessi generali del Paese e riescono a tornare sui propri passi evitando di perseverare nell’errore. Non è il caso di farsi troppe illusioni, ma è comunque un buon segno.
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