Parla l’ex governatore: «Abbiamo patteggiato con la Procura che ha concordato sul fatto che non c’è stato arricchimento personale da parte mia. Lavorerò per la Lega italiana per la lotta contro i tumori, mi occuperò
di campagne di sensibilizzazione e accompagnerò anche i pazienti»
Giovanni Toti, il giudice ha convalidato il patteggiamento tra lei e la Procura di Genova. Due anni e tre mesi convertiti in 1.620 ore di lavori socialmente utili. Che farà?
«Lavorerò per la Lega italiana per la lotta contro i tumori. Nella sede di Genova».
In concreto?
«La Lilt aveva la necessità dell’aiuto di una figura professionale come la mia per la sensibilizzazione dei cittadini nelle varie campagne per la lotta ai tumori».
Quanto tempo dedicherà?
«La legge prevede almeno due ore al giorno, ma mi è stato accordato di poterne fare di più. Sarà un lavoro d’ufficio, più che altro. Presa in carico dei pazienti e campagne di sensibilizzazione per la prevenzione e la cura dei tumori, un lavoro di comunicazione e di rapporti, che è esattamente ciò che ho fatto tutta la vita. Accompagnerò anche i pazienti».
Continuerà a fare il giornalista?
«Certamente, e a promuovere il mio libro».
Con la sua vicenda giudiziaria si chiude anche il suo annus horribilis che l’ha vista 80 giorni ai domiciliari.
«Un terremoto che si conclude con una scossa di dimensione assai più piccole di quella che avevamo registrato all’inizio. Un anno bisestile normalmente non porta bene (sorride). Certamente il 2024 è stato un anno difficile per me, ma credo che lo sia stato anche per la politica».
Cosa intende dire?
«Che non so in quanti, amici e avversari, abbiano colto il significato della nostra strategia processuale. Abbiamo patteggiato con la Procura che in qualche modo ha concordato sul fatto che non c’è stato arricchimento personale da parte mia e dalla mia amministrazione non ci stati neppure atti illegittimi. Dopo tutto il dramma vissuto, resta che Toti povero era e povero è rimasto».
Per la legge è corruzione un finanziamento anche legato ad un atto legittimo.
«Ed infatti è sostanzialmente irrisolto il grande tema del finanziamento della politica. Tra chi ha interessi economici importanti sul territorio e l’amministrazione c’è un dialogo continuo e, dato che in Italia si vota ogni sei mesi, è difficile distinguere tra un finanziamento destinato da un’impresa a sostenere un movimento politico da uno che può essere interpretato come il compenso per un atto. Per questo ho più volte spiegato che, pur non ritenendomi colpevole, credo che questo dubbio non debba essere chiarito in un’aula di tribunale, ma nel parlamento con una nuova legge sul finanziamento dei partiti».
Chi di recente ha tentato di affrontare questo tema si è trovato di fronte ad un muro.
«Perché non si riesce ad affermare che un interesse privato può essere anche un interesse pubblico e che la politica ha un costo che va sostenuto, non con fondi dello stato, ma di chi ha interesse a che quella certa politica progredisca».
Il centrodestra, di cui lei fa parte, ha vinto le elezioni regionali in Liguria nonostante le sue dimissioni. I cittadini hanno preferito l’usato sicuro?
«Perché è evidentemente che oggi i cittadini hanno un bagaglio culturale che fa interpretare meglio i contorni di un’inchiesta rispetto ai tempi di Mani pulite, quando un avviso di garanzia era come una condanna. In Liguria, però, pur rivendicando i numeri dei nove anni del nostro governo, il centrodestra ha avuto qualche imbarazzo, forse un’ipocrisia involontaria a riconoscere che se esiste un centrodestra che governa la regione e le sue principali città dal 2015, oggi lo si deve al modo di far politica di Toti, alla classe dirigente selezionata in questi dieci anni e non ultimo ai finanziamenti raccolti dai miei comitati legittimamente che hanno finanziato tutti i candidati della coalizione».
Lei ha partecipato di recente all’assembra di Noi moderati a Roma. Torna in politica?
«È un partito di amici di cui sono stato uno dei fondatori. Ma la mia esperienza con la politica per ora la considero chiusa. Credo di aver dato tutto il possibile e penso anche che la storia futura mi renderà più merito di quello che è stato reso fino a oggi. Metterò la mia esperienza di giornalista comunicatore a disposizione del privato, cosa che credo passa essere utile in un paese dove neppure la destra riesce a considerare l’impresa senza qualche pregiudizio».
Quando un potente come lei cade c’è chi gli volta le spalle. Non è così?
«Non mi sento tradito. Quando arriva un’onda come quella che è arrivata ognuno cerca di salvare sé stesso. Non ho né risentimenti nei rimpianti. Poi certo, come diceva il Manzoni, il coraggio se uno non ce l’ha non è se lo può dare. La cosa che più mi conforta e che le persone si fermano a stringermi la mano molto più ora che vengo visto come una vittima che non quando ero il potente governatore della Regione».
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