Malattie genetiche rare: 4 progetti dell’Università Statale finanziati da Telethon

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 Sono quattro i progetti di ricerca dell’Università Statale di Milano, sulle malattie genetiche rare, su 17 vincitori in Lombardia, che saranno finanziati nell’ambito del quarto round del bando multiround di Fondazione Telethon che assegna più di 2,8 milioni di euro in Lombardia e 6,35 milioni di euro in Italia, raccolti grazie alle donazioni dei cittadini, che finanzieranno la ricerca sulle malattie genetiche rare. I progetti della Statale fanno capo ai docenti Federica Briani, Massimiliano Pagani,  Paola Sacerdote, Chiara Zuccato.

Il bando Multi-round è stato avviato nel 2021 per permettere ai ricercatori, che desiderano richiedere i finanziamenti, di poter presentare i propri progetti in quattro occasioni nell’arco di tre anni, eventualmente rivedendoli e ripresentandoli alla luce dei commenti della commissione di esperti in caso di valutazione negativa.

 Per questo quarto round del bando la valutazione dei singoli progetti è stata affidata alla Commissione Medico Scientifica (CMS) della Fondazione, composto da 28 membri, che si sono avvalsi del supporto di 199 revisori esterni. 

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Il bando è un’occasione importantissima per garantire lo sviluppo di questi progetti grazie agli importanti fondi destinati per la ricerca sulle malattie rare. Soprattutto in questo momento, in cui è in corso la Maratona di Fondazione Telethon, è importante mostrare come i fondi e le donazioni degli italiani contribuiscano a dare vita a progetti di grande valore. Ogni edizione del bando rappresenta un ulteriore passo avanti nella ricerca scientifica e un’aggiuntiva conferma del grande e prezioso lavoro dei ricercatori che dedicano ogni giorno risorse fisiche e mentali per trovare soluzioni concrete che aiutino e migliorino la vita delle persone con malattie rare. Ogni ricercatore, con ogni progetto candidato, contribuisce ad un avanzamento della scienza e dona la speranza alla comunità dei pazienti di poter avere soluzioni concrete per le proprie patologie rare”, ha dichiarato Celeste Scotti, direttore Ricerca e Sviluppo di Fondazione Telethon.

 

I progetti dell’Università Statale di Milano

Federica Briani, docente di Microbiologia presso il dipartimento di Bioscienze, guiderà un gruppo di ricerca il cui obiettivo principale sarà individuare piccole molecole che possano aiutare a ripristinare la funzione di forme mutate di un enzima cruciale chiamato poliribonucleotide fosforilasi (hPNPase). Questo enzima è importante per varie funzioni nei mitocondri, le centrali energetiche delle nostre cellule. Quando il gene per la hPNPase (PNPT1) è mutato, può portare a gravi disturbi neurologici. Per sviluppare nuove strategie terapeutiche, i ricercatori propongo di sfruttare il riposizionamento di alcuni farmaci potenzialmente in grado di ripristinare la funzione della hPNPase mutata. In particolare, i ricercatori analizzeranno una collezione di circa 3500 composti che sono già approvati per l’uso umano o che hanno superato le prime fasi della sperimentazione clinica. Le molecole identificate come più promettenti saranno sottoposte a ulteriori test per capire il loro meccanismo di azione e verificare la loro specificità nel bersagliare solo hPNPase mutata. Gli esperimenti e i diversi modelli cellulari ed in vitro sono già stati sviluppati dal gruppo di ricerca nell’ambito del progetto POLYVAR precedentemente finanziato dalla Fondazione Telethon. Risultati positivi del progetto velocizzeranno lo sviluppo di farmaci per il trattamento di rari disturbi mitocondriali.

Massimiliano Pagani, docente di Biologia molecolare presso il dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale e ricercatore dell’IFOM ETS – Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare di Milano, approfondirà con il suo team le malformazioni vascolari del cervello (CCM), una malattia genetica rara caratterizzata da vasi sanguigni ingrossati che si formano perlopiù all’interno del cervello. Questi vasi malformati sono fragili e permeabili, motivo per cui causano eventi emorragici in aggiunta a una varietà di sintomi neurologici che impattano severamente sulla qualità della vita e la sopravvivenza dei pazienti. Al momento, non esiste un trattamento medico che sia efficace nel prevenirne o farne regredire i sintomi: la sola terapia disponibile è rappresentata dalla rimozione chirurgica delle lesioni, che però non può essere sempre applicata a causa dell’inaccessibilità delle lesioni in alcune aree del cervello. La patologia CCM è causata da mutazioni in tre geni differenti: CCM1, CCM2 e CCM3. Il tipo cellulare che risente maggiormente di tali mutazioni è quello endoteliale, che costituisce il rivestimento interno dei vasi sanguigni del cervello e si interfaccia con il flusso sanguigno. Nel precedente lavoro del gruppo, è stato osservato che le cellule endoteliali delle lesioni vascolari presentano anomalie funzionali, simili a quelle riscontrate nei tumori vascolari. In questo nuovo progetto, si vuole delucidare qual è l’alterazione funzionale della proteina del gruppo Polycomb BMI1 nella patologia CCM, e valutare come la sua inibizione possa essere risolutiva nei confronti della patologia stessa. In prospettiva, questo progetto mira ad identificare composti farmacologici che possano limitare le lesioni vascolari nell’uomo.

Paola Sacerdote, docente di Farmacologia presso il dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari approfondirà, con il suo team, alcuni aspetti della malattia di Anderson–Fabry. Si tratta di una malattia causata da un difetto del gene GLA, che codifica per la proteina α–galattosidasi ed è caratterizzata dall’accumulo nei lisosomi, componenti cellulari con funzione degradativa, di molecole complesse, chiamate glicosfingolipidi. Tra i sintomi più comuni, il dolore è uno dei più precoci e si può sviluppare in qualsiasi regione del corpo, debilitando i pazienti. I farmaci attualmente in uso, tra cui quelli analgesici, non hanno effetti significativi sulla cura del dolore, che può essere correlato anche allo sviluppo di disturbi dell’umore quali depressione e ansia. Negli ultimi anni la ricerca sul dolore cronico ha dimostrato che la sua origine è dovuta alla presenza di neuro-infiammazione, cioè attivazione nel sistema nervoso di cellule non neuronali, quali microglia e astrociti, che producono sostanze chimiche che intensificano e sostengono il dolore. Il gruppo di ricerca ha dimostrato come l’antibiotico minociclina, già in uso da anni e che agisce sulla microglia, sia efficace nel trattamento del dolore in un modello animale della malattia di Anderson-Fabry. Il trattamento con la minociclina permette di bloccare l’attività della prochineticina, una molecola che svolge un ruolo importante nella regolazione sia nel dolore sia nell’infiammazione. Questo studio si propone di approfondire quali sono i meccanismi associati al dolore nei pazienti con malattia di Fabry e di testare gli effetti sul dolore di una combinazione di nuovi trattamenti analgesici con la terapia enzimatica sostitutiva, la terapia cardine per i pazienti, nel modello animale della malattia, al fine di individuare nuovi e migliori trattamenti per il dolore.

Chiara Zuccato, docente di Farmacologia presso il dipartimento di Bioscienze e e ricercatrice della Istituto Nazionale di Genetica Molecolare (INGM), studierà la Corea di Huntington, una malattia neurodegenerativa ereditaria causata dalla mutazione del gene Huntington e dalla conseguente produzione di una proteina chiamata huntingtina mutata che è tossica per i neuroni.  Le aree del cervello più colpite nella Corea di Huntington sono la corteccia e lo striato, uniti tra loro dalla via cortico-striatale. In questa via, i neuroni corticali proiettano lunghi prolungamenti che fanno contatti con i neuroni dello striato. È stato dimostrato che l’espressione della proteina huntingtina mutata nei neuroni corticali altera il funzionamento della via cortico-striatale, danneggiando i neuroni dello striato e provocando la malattia. La compromissione della corteccia è, dunque, uno degli elementi chiave che dà inizio alla patologia.  Per questo motivo, è fondamentale intervenire sulla corteccia per prevenire l’insorgenza o rallentare la progressione della malattia. Il fulcro di questo studio è un enzima chiamato ADAM10 che svolge un ruolo chiave nel mantenimento del buon funzionamento del cervello.  Nei pazienti con Corea di Huntington l’attività di questo enzima è troppo alta nei neuroni, contribuendo al malfunzionamento dei circuiti cerebrali. Considerata l’importanza della disfunzione corticale nella Corea di Huntington, questo progetto si propone di inibire l’enzima ADAM10 nella corteccia di un modello murino della malattia con l’obiettivo di contrastare le alterazioni della via cortico-striatale, rallentare la degenerazione dei neuroni striatali e prevenire l’insorgere dei sintomi. Se questo approccio si rivelasse efficace, potrebbe aprire la strada a nuove terapie per la malattia di Huntington mirate a inibire l’enzima ADAM10 nella corteccia. Poiché la corteccia è più facilmente raggiungibile dai farmaci rispetto allo striato, eventuali risultati positivi permetterebbero di accelerare lo sviluppo di inibitori di ADAM10 per uso clinico.

 

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