Era gremito di persone l’auditorium di via Giotto 36 del Gruppo San Paolo per la tradizionale messa di Natale, tra dipendenti, parenti, amici e collaboratori ormai in pensione. Una tradizione che si ripete festosa in cui valorizzare anche chi, da 25 anni, opera e si dedica al gruppo editoriale. Con un’attenzione particolare, nell’omelia, al carisma della congregazione, ovvero la comunicazione. Ed ecco perché l’appello di don Roberto Ponti, che ha concelebrato la messa con don Giuseppe Musardo, consigliere di Amministrazione e Direttore Generale e don Antonio Rizzolo, amministratore delegato, si è rivolto proprio a quel fenomeno strisciante e onnipresente degli algoritmi che tendono a uniformare e omologare la nostra società e a cui dobbiamo “rispondere” con la novità del Vangelo.
«Cari fratelli e sorelle, le letture di oggi ci invitano a riflettere sulla novità del Vangelo, che rompe schemi chiusi e abitudini consolidate, anche nella nostra epoca segnata dalla comunicazione algoritmica».
Cosa significa comunicazione algoritmica si è chiesto don Ponti. «Viviamo in un’epoca in cui gran parte delle informazioni che riceviamo sono filtrate da algoritmi, strumenti matematici utilizzati per selezionare e personalizzare ciò che vediamo sui social media, nei motori di ricerca e nelle piattaforme digitali». Ma questi algoritmi non sono neutri: «Funzionano per mantenerci coinvolti il più possibile, mostrandoci contenuti che confermano i nostri interessi, le nostre opinioni e i nostri desideri. Questo meccanismo rischia di chiuderci in una bolla informativa (echo chamber), dove ascoltiamo solo ciò che conferma le nostre idee, escludendo ciò che potrebbe sfidarci o arricchirci. La comunicazione algoritmica, quindi, tende a orientare le nostre scelte e il nostro modo di pensare, creando un mondo in cui tutto sembra progettato su misura per noi, ma che in realtà può isolarci e limitare la nostra visione».
L’auditorium San Paolo
Ecco perché diventa centrale la Promessa che rompe i confini «sfida il nostro atteggiamento moderno, influenzato dagli algoritmi, che spesso ci porta a vedere solo ciò che vogliamo vedere, rimanendo chiusi nelle nostre convinzioni. La parola di Dio, invece, ci invita a guardare oltre, a rompere le logiche chiuse che ci isolano. Non si lascia ingabbiare dalle nostre aspettative, ma porta una verità più grande e universale». «Spesso, influenzati dagli algoritmi, ascoltiamo solo ciò che conferma le nostre idee, ignorando ciò che è diverso o sfidante. Ma il Vangelo ci invita a un ascolto che trasforma: un ascolto della parola di Dio e degli altri, anche quando ci sfidano o ci mettono in discussione».
Un Regno, quello di Dio, a cui tutti noi tendiamo che «non si costruisce sull’autoreferenzialità, ma sull’incontro con l’altro, sul servizio ai poveri, sull’apertura alla novità. Al contrario, la logica degli algoritmi rischia di costruire un “nostro regno” basato sulle nostre opinioni e preferenze. Il Regno di Dio, però, è un regno che si espande rompendo ogni barriera. È un invito a uscire da noi stessi e a cercare quella giustizia e pace che nasce dall’incontro con la verità di Cristo».
Non poteva mancare in conclusione un riferimento al Giubileo 2025 che sta per iniziare: «un’occasione straordinaria per riscoprire il cuore della nostra fede: Cristo, volto del Padre misericordioso. Questo Anno Santo, con il tema Pellegrini di speranza, ci invita a camminare insieme verso una Chiesa più aperta, sinodale e missionaria. Nel contesto di questa preparazione, il carisma di don Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina, ci offre una luce preziosa. Alberione ci ha insegnato a vivere il Vangelo come una novità comunicativa: non un messaggio statico, ma una Parola che si fa strada nei linguaggi del nostro tempo, dalle pagine stampate ai mezzi digitali».
Ecco perché tutti noi, figli del carisma paolino, siamo chiamati «a portare Cristo Via, Verità e Vita nel cuore della comunicazione contemporanea, anche quella algoritmica. Questo significa:
- Uscire dalle nostre “bolle” per raggiungere ogni persona con il linguaggio della speranza.
- Testimoniare una verità che non isola ma unisce, trasformando ogni strumento tecnologico in un mezzo per evangelizzare.
- Vivere la missione paolina come servizio alla comunione universale, proprio come Alberione sognava: una Chiesa che parla al mondo intero, ma che ascolta con umiltà e amore.
Il Giubileo ci ricorda che siamo tutti pellegrini, chiamati a uscire dalle nostre chiusure, anche spirituali, per incontrare la novità sempre viva di Cristo. Come don Alberione, facciamo della nostra vita e del nostro apostolato un ponte che unisce, una voce che invita, un segno che indica il cammino verso il Regno di giustizia e di pace».
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