Con la cultura si mangia. Ma non ad Avellino

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La legge di Bilancio fa saltare quasi mezzo miliardo dai fondi per la cultura. Nonostante, secondo Unioncamere, per ogni euro investito in attività culturali ne vengono restituiti uno e ottanta in indotto, anche di più se si fanno le cose sul serio.

È questo il presupposto da cui parte l’ultima inchiesta di Milena Gabanelli e Andrea Priante pubblicata sul Corriere della Sera. Che continua prendendo ad esempio il percorso della Reggia di Venaria, alle porte di Torino.

Nel Seicento – scrivono, ma un estratto si trova anche QUIera la riserva di caccia dei Savoia, poi utilizzata da Napoleone. Agli inizi del Novecento fu abbandonata a se stessa, vandalizzata nel tempo e diventata fatiscente, fino a passare sotto la proprietà del Ministero della Cultura. Nel 1996, il governo di centrosinistra decide di rilanciarla, stanziando 41 milioni di euro. La Regione Piemonte, allora guidata dal centrodestra, aggiunge 11 milioni, mentre l’Unione Europea ne stanzia ben 196.

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I cantieri durano dieci anni, immensi. Nel 2007 la Reggia viene inaugurata e restituita alla popolazione. In questi diciassette anni, cos’è successo? È stato creato un comitato di gestione che investe 6 milioni all’anno, composto dal Ministero della Cultura, dalla Regione, dal Comune e da due Fondazioni. La Reggia conta 60 ettari di giardini e 80 mila metri quadri di spazi interni. Il biglietto d’ingresso costa 16 euro, ma ai visitatori è offerta anche la possibilità di avere un Royal Pass valido per quattro giorni che dà accesso a sedici residenze sabaude, alla Basilica di Superga, oltre ad uno sconto per il Museo Egizio. È dotata di ristoranti, negozi, shop e il modello di gestione garantisce sia arte e cultura per addetti ai lavori, che visite adatte a tutti, famiglie con bambini comprese.

Il risultato? Nel 2023 il sito ha fatturato 16 milioni di euro, e quest’anno si stima arriverà a 17 milioni. La ricaduta sul piccolo comune di Venaria – 32 mila abitanti – è impressionante. Un rapporto del 2007 descriveva la città come un dormitorio, un luogo impoverito sia a livello economico che sociale, con bassa scolarizzazione. Oggi, grazie alla Reggia, sono stati aperti nuove attività, 22 ristoranti, 20 alberghi e 61 B&B.

Il reddito medio è passato da 13.900 euro del 2007 a 22.400 euro attuali. La disoccupazione è scesa dall’8% al 7%. È aumentata la scolarizzazione: i laureati sono raddoppiati e i diplomati sono passati dal 18% al 43%.

Questo è quello che accade quando una comunità non si arrende: val la pena ricordare che i tentativi di riportare in vita questo inestimabile patrimonio da parte di Associazioni e Comitati sono stati ignorati per decenni. E quando finalmente hanno trovato ascolto, l’investimento è stato fatto con un piano coordinato e di lungo periodo.

Dunque con la cultura si mangia – concludono gli autori – eppure per la cultura l’Italia impegna ancora troppo poco: lo 0,3% del Pil .

Adesso che abbiamo un contesto, possiamo anche permetterci di passare dal generale al particolare: dalla Città Metropolitana di Torino alla piccola Avellino. Ebbene serve una breve ricostruzione, per intenderci: più o meno cinque anni fa il Capoluogo cominciava a sentir parlare della Fondazione Città di Avellino per la cultura, ovviamente ideata e promossa dall’allora Sindaco-Presidente-Assessore, panacea di tutti i mali, Gianluca Festa. Si tratta di un modello di gestione unico per tutte le strutture culturali: vale a dire il Teatro Comunale Carlo Gesualdo, il Museo di Villa Amendola, il Casino del Principe e la Casa della Cultura Cinematografica Camillo Marino e Giacomo D’Onofrio. In futuro probabilmente – quando i lavori di recupero e restauro saranno terminati – rientrerà anche la Nuova Dogana.

In premessa vale la pena ricordare che questi beni sono quasi tutti chiusi o sottoutilizzati. A pieno regime è tornato a funzionare il Massimo cittadino e anche Villa Amendola è fruibile, con la Biblioteca, gli spazi espositivi e la sala per i convegni, invece le grotte e il giardino restano location per eventi sporadici. Per lo storico Casino del Principe esisterebbe un progetto, quello di farne la sede dell’Agenzia di promozione turistica dell’area vasta. Mentre la Casa della Cultura Cinematografica – già ex Cinema Eliseo – ha ospitato due mostre d’arte contemporanea e ovviamente l’unica edizione del Premio Ettore Scola che ne ha inaugurato le attività, a cui – due anni dopo – sono seguite le proiezioni e gli eventi legati al Festival Internazionale del Cinema Laceno d’Oro.

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Intanto la città è andata al voto e nel settembre del 2024 – dopo l’insediamento della nuova amministrazione guidata dalla Sindaca Laura Nargi – è arrivata la firma del professore Angelo Maietta che ha assunto formalmente l’incarico come Direttore Generale. Ammessi i tempi tecnici per far rientrare questi beni nella disponibilità della Fondazione, tutto resta ancora sospeso.

Piccolo particolare non trascurabile, in cinque mesi di governo Nargi la mancanza più pesante è stata certamente quella di un nome per l’assessorato alla cultura, che continua ad essere un mistero, anche ora che si ragiona del primo rimpasto in Giunta.

Perciò, delle due l’una: o resteremo a bocca aperta per le competenze, la professionalità e la capacità di visione della persona che ricoprirà l’incarico; oppure questo è il segno più evidente del fatto che ad Avellino le politiche culturali siano un’eterna Cenerentola, un fastidioso problema senza soluzione. Invece quello sulla cultura dovrebbe essere l’unico investimento di valore su cui l’amministratore pubblico avrebbe bisogno di puntare, con coraggio, per far crescere una società civile, per ritrovare centralità e identità.

Venaria Reale insegna, Avellino può solo imparare la lezione.

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