(a cura di Bernardo Venturi, Head of Research and Policy, Agency for Peacebuilding)
Se avete avuto l’impressione che le guerre siano aumentate nell’anno che si sta chiudendo, purtroppo avete ragione. I dati pubblicati qualche giorno fa dall’Armed Conflict Location and Event Data (ACLED) stimano che nel 2024 almeno 233 mila persone sono state uccise direttamente da episodi bellici, un aumento del 30 percento rispetto al 2023.
Stime, tra l’altro, da considerare per difetto. Le crisi sotto i nostri occhi – dal Levante all’Ucraina, da Myanmar al Sudan – sono parte di un peggioramento nella pace a livello globale negli ultimi anni. Il consueto Global Peace Index pubblicato dall’Institute for Economics and Peace di Sydney aveva già mostrato nel luglio scorso che sono attivi 56 conflitti violenti, il numero più alto dalla fine della seconda guerra mondiale. In questo quadro, vanno messi in luce cinque trend su pace e conflitti emersi o cresciuti nel corso dell’anno. Prima di tutto, si è fatta più chiara la connessione tra macro regioni, soprattutto a causa dell’espansionismo russo. Mentre da mesi truppe ucraine e russe si combattono anche in Sudan, appare chiaro a tutti come la transizione in Siria sia interconnessa con l’invasione dell’Ucraina. In secondo luogo, è continuato il deterioramento del sistema multilaterale per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 30 anni. Le Nazioni Unite, ma anche le organizzazioni regionali, continuano a perdere spazio e potere sia politico, sia d’influenza. Il 2024 è stato anche l’anno nel quale le Nazioni Unite hanno provato a rilanciarsi con la Nuova Agenda per la Pace a luglio e poi con il Patto per il Futuro a settembre. Azioni che per ora non hanno dato nuovo slancio all’ONU, anche a causa della limitata intraprendenza del suo Segretario Generale: nonostante l’ampia autonomia di cui gode (non ha bisogno del Consiglio di Sicurezza per agire), difficilmente António Guterres ha svolto missioni in aree di crisi in modo tempestivo.
Collegato a questo punto, vi è stato un significativo balzo in avanti nello sgretolamento, parziale ma progressivo, del diritto internazionale. In particolare, Israele ha provato a normalizzare un’operazione militare a Gaza senza misura e limiti e ora sta rafforzando la sua presenza nelle alture del Golan approfittando della situazione della Siria.
Un altro dato che colpisce è la tragica marginalità delle vittime di guerra, sia civili, sia militari. Nelle analisi e negli scambi politici l’orrore della guerra rimane praticamente sempre fuori dalle narrazioni. Si tende a lasciare totalmente in secondo piano che ogni giorno in più di guerra porta distruzione e i numeri delle migliaia di morti restano un numero di cui si perde il significato e la proporzione. In una rara dichiarazione sulle vittime, il presidente ucraino Zelensky ha parlato di 43 mila soldati ucraini uccisi dall’inizio dell’invasione russa su vasta scala e 370 mila feriti, mentre dal lato russo sarebbero 198 mila i deceduti e 550 mila i feriti. Anche il numero dei mutilati è estremamente alto, costituendo un orrore e una sofferenza che durerà per generazioni. Un ulteriore trend chiaro del 2024 è l’accelerazione nell’aumento delle spese militari su scala globale, che ha raggiunto i 2.443 miliardi di dollari, la cifra più alta di sempre. Mentre con un focus stretto si possono comprendere alcuni aumenti – come in Europa in seguito all’invasione russa – allargando lo zoom il dato non può che essere indice di maggiore insicurezza su scala globale. Inoltre, l’aumento delle spese militari ha un altro costo: il calo dei finanziamenti per la prevenzione dei conflitti e il peacebuilding. Mentre nello scorso anno alcuni governi hanno dichiarato che non avrebbero fatto tagli, arrivati a oggi il trend è chiaro. Paesi come la Svezia e i Paesi Bassi, tra i più importanti finanziatori della società civile, hanno già operato notevoli riduzioni Infine, peacebuilding e mediazione, in mezzo a ridimensionamenti faticano ad aprire nuove piste. Ripensando all’anno che si conclude, è difficile pensare a un accordo di pace che rimarrà nella storia.
Nonostante ciò, lontano dai riflettori, prosegue una professionalizzazione della mediazione per la pace, anche se appare più relegata a un binario parallelo rispetto alle politiche estere delle principali potenze. In questo quadro, i paesi dei Golfo, dal Qatar all’Arabia Saudita, si confermano come mediatori affermati. I nove scambi di prigionieri tra Russia e Ucraina negoziati dall’Arabia Saudita hanno un peso politico che va oltre il negoziato umanitario.
Immaginare la fine delle guerre rimane un compito difficile e spesso controcorrente, ma va rilanciato a partire da azioni concrete benché settoriali. Dal controllo degli armamenti nucleari allo scambio d’informazioni, dal rispetto del diritto internazionale alla tutela dei civili, invertire il trend di morte e distruzione del 2024 rimane possibile.
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