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Le sue radici affondano in una città di mare, a San Benedetto del Tronto, nelle Marche, ma le montagne, soprattutto se innevate, sono ormai il suo ambiente, non solo di lavoro, ma anche per passione. Domenica pomeriggio l’esperto di climatologia statistica e rischio climatico Massimiliano Fazzini, docente Unicam della Sezione di Geologia della Scuola di Scienze e tecnologie, nonché meteorologo (soprattutto per passione) delle gare sciistiche a Cortina è stato a Folgaria per parlare di «Neve e turismo sostenibile: cosa è cambiato negli ultimi 15 anni». Un incontro inserito nella rassegna «Alpitudini» (crasi delle parole altitudine, attitudine e solitudine) nata sugli Altipiani cimbri per celebrare la montagna come luogo di bellezza, cultura, tradizione e innovazione. Un progetto della Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri e dei tre Comuni di Folgaria, Lavarone e Luserna, in collaborazione con l’Apt Alpe Cimbra e Impact hub Trentino.
Non è certo la prima volta che Fazzini arriva a Folgaria. Fu proprio lui, dall’agosto del 2007 al luglio del 2008, a occuparsi in qualità di consulente del Comune di Folgaria della realizzazione di uno studio sulle risorse climatico-turistiche dell’altopiano di Folgaria e Lavarone in relazione allo sviluppo sostenibile dell’area e all’adattamento al cambiamento climatico in aree montane. Chi dunque meglio di lui può tracciare un bilancio dell’evoluzione più recente del turismo invernale in queste zone e, soprattutto, del suo futuro.
Professor Fazzini, a quali conclusioni arrivò il suo studio del 2007-2008?
«Lo studio utilizzò le serie storiche 1991-2008. A Passo Sommo, infatti, si è iniziato a raccogliere i dati solo negli anni Novanta. Si tratta di una località non semplice da studiare perché molto soggetta all’impatto umano, si pensi alla strada che attraversa il passo. Ad ogni modo, i risultati dello studio furono evidenti: senza innevamento artificiale in questa zona non ci sono minimamente le condizioni per garantire la sciabilità nel tempo».
Significa che lo sci a Folgaria non ha futuro?
«Si potrà sempre sciare, il punto è a che condizioni. Se calcoliamo in cento giorni di apertura il periodo che rende sostenibile dal punto di vista economico una stazione sciistica, e di questi cento giorni solo dieci sono garantiti dall’innevamento naturale, significa che occorre un’enorme quantità di acqua per garantire un adeguato innevamento».
I sostenitori dell’industria dello sci affermano che quell’acqua non vada però sprecata perché, una volta sciolta, torna in circolo.
«È fuori di dubbio che l’industria dell’innevamento artificiale e programmato abbia fatto passi da gigante dal punto di vista tecnologico: appena quindici giorni fa a Roccaraso (il fulcro dello sci nel Centro Italia, in provincia de l’Aquila, ndr) sono stati prodotti venti centimetri di neve in una notte con una temperatura di 6 °C. Il problema è che si sostiene che l’acqua impiegata poi torni in circolo nella stessa zona, ma non è corretto, in realtà va persa: se il suolo non è reattivo, infatti, una volta sciolta l’acqua ruscella a valle per finire nei fiumi. Localmente, quindi, il ciclo idrogeologico viene modificato dall’attività sciistica».
Rispetto a quindici anni fa, la situazione è ulteriormente peggiorata?
«Al contrario di quello che si pensa, oggi non nevica meno, il problema è che la neve che cade rimane al suolo circa il 30% di giorni in meno. Questo è dovuto all’aumento di 1,5 °C in atmosfera che, al suolo, corrisponde a un innalzamento di circa 2 °C. Purtroppo non abbiamo serie storiche sufficientemente lunghe e continue per essere più precisi, ma il trend è chiaro. La conseguenza è che a novembre il suolo non gela più, quindi le prime nevicate non attecchiscono e non fanno fondo. A dicembre ci troviamo quindi senza neve naturale al suolo e torniamo così all’innevamento programmato».
Più in generale, non è variata neanche la quantità complessiva di precipitazioni?
«Esatto, a parità di quota le precipitazioni rimangono abbondanti ma, a causa dell’innalzamento della temperatura, sempre più spesso, invece che nevicare, piove».
Sommo si trova esattamente a 1.341 metri sul livello del mare. Qual è l’altitudine sotto la quale il turismo invernale legato all’industria dello sci è destinato a sparire?
«Sotto i 1600-1700 metri di quota lo sci per come l’abbiamo conosciuto noi è ormai un’evidente forzatura. Passo Coe è a 1.610 metri di altitudine, quindi per l’Altopiano di Folgaria questo è un tema vitale, ma già il fatto che la comunità si interroghi organizzando appuntamenti come questo, significa che la sensibilità c’è».
In un territorio che ha incentrato la propria economica sul comparto sciistico, di mezzo ci andranno centinaia di posti del lavoro. Qual è dunque la soluzione?
«Il tema è centrale: tutti ci rimetteranno, dobbiamo trovare l’equilibrio più accettabile per le parti coinvolte. Dal mio punto di vista, ma questo non spetta a me dirlo, l’unica soluzione è destagionalizzare».
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