toghe unite contro la riforma

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Il mantra, dopo l’assemblea straordinaria dell’Anm, che ha deliberato una o più giornate di sciopero, è «dobbiamo spiegare» i pericoli della riforma. Il timore è di trovarsi isolate contro la separazione delle carriere

La magistratura associata ha ritrovato unità contro la riforma costituzionale della separazione delle carriere, ora però dovrà trovare la strada per contrastare nel modo più efficace il medesimo progetto di riforma diventato cavallo di battaglia del governo.

Il mantra, dopo l’assemblea straordinaria dell’Anm che ha deliberato una o più giornate di sciopero, è: «Dobbiamo spiegare». Questa, infatti, è la vera impellenza che filtra dai gruppi associativi e non a caso il primo punto della mozione approvata è «far conoscere alla cittadinanza i pericoli derivanti dalla riforma».

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I magistrati, infatti, sanno di muoversi su un crinale sottile. La categoria avverte l’impellenza di avversare una riforma che viene considerata vessatoria, ma anche pericolosa perché porta con sé il pericolo di trascinare i pubblici ministeri nell’orbita dell’esecutivo. Tuttavia, c’è la consapevolezza del rischio che la protesta venga considerata un capriccio della categoria in opposizione al governo. Di qui l’esigenza di lavorare soprattutto per invertire una narrazione non favorevole, attraverso «iniziative» con la società civile, la «creazione di luoghi di confronto» e il «rafforzamento di una strategia comunicativa». E lasciando solo in ultima istanza la possibilità di scioperare.

La prudenza è giustificata anche da un fatto: l’attuale Anm è in scadenza. Il 26, 27 e 28 gennaio si svolgeranno le elezioni per il nuovo comitato direttivo centrale, con la conclusione del mandato del presidente Giuseppe Santalucia, espressione del gruppo progressista di Area. Il documento votato domenica ha trovato ampia convergenza, dunque il mandato politico rimarrà. Tuttavia – soprattutto per quanto riguarda l’ipotesi dello sciopero – le valutazioni sul quando e sul come saranno demandate alla prossima giunta. Del resto, la paura che nessuno si nasconde è quella di replicare il fallimento dello sciopero del 2022 contro la riforma Cartabia dell’ordinamento giudiziario, con una adesione appena del 48,5 per cento e picchi negativi nei grandi tribunali (a Roma il 38 per cento, il 36 per cento a Milano).

Il referendum

Tra i gruppi associativi, infatti, c’è la consapevolezza che uno sciopero disertato diventerebbe un assist formidabile per la propaganda del governo a favore della riforma. Dunque ogni passo andrà ponderato con attenzione e soprattutto con la consapevolezza che la riforma costituzionale sta ora muovendo i primi passi del percorso d’aula in cui è necessaria la doppia lettura e con tutta probabilità sarà possibile anche procedere a referendum costituzionale. Non a caso proprio prepararsi a questa eventualità è il primo punto della mozione: «Istituzione di un comitato operativo per la promozione del no al referendum».

Questo, quasi più dello sciopero, è considerato dirimente. Anche perché, anche se non è argomento mediaticamente forte, tra i magistrati solleva grande preoccupazione anche la seconda parte della riforma, che sostanzialmente smembra il Csm creandone uno per i giudicanti e uno per i requirenti e una Alta corte con funzione disciplinare; e introduce il sorteggio puro per l’elezione dei suoi membri.

Anche in questa direzione si è rivolto l’occhio dell’assemblea, con una delibera approvata all’unanimità su proposta del gruppo di Articolo 101 in cui si sono chieste le dimissione dalla carica di componente del Csm della laica di Fratelli d’Italia, Rosanna Natoli, attualmente sospesa dal consiglio e indagata per rivelazione di segreto.

La consapevolezza delle toghe, però, è di rischiare di trovarsi isolate. Accanto alla maggioranza, infatti, si è schierata anche l’Unione camere penali italiane. I penalisti, che già erano stati promotori di una legge per la separazione, hanno fatto sapere che faranno controinformazione per smontare «la falsa rappresentazione della riforma come uno strappo al tessuto costituzionale» e «a difesa della verità di una riforma necessaria ai fini della realizzazione del giusto processo». La battaglia, tuttavia, è appena cominciata: la prima lettura dovrebbe concludersi nel luglio 2025, la seconda buona probabilità potrà concludersi nel 2026.

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