TORINO «Sono rientrato in Calabria nell’ottobre 2017 ma mi è stato chiesto di ritornare perché la droga non arrivava a Gioia Tauro». È ancora l’ex potente broker del narcotraffico internazionale legato alla ‘ndrangheta calabrese, Vincenzo Pasquino, a raccontare i dettagli della sua attività criminale svolta negli ultimi anni. Una carriera legata a doppio filo con le famiglie piemontesi e di San Luca. Alle autorità brasiliane, ancor prima di essere estradato in Italia e avviare ufficialmente la collaborazione con la giustizia, Pasquino ha spiegato quindi di essere tornato in Brasile «e con Patrick Assisi stavamo organizzando un carico di 50 kg di cocaina dal porto di Santos a Gioia Tauro. Patrick aveva incaricato due ragazzi di Praia Grande che dicevano di essere sommozzatori, di fissare le borse con la cocaina alla griglia che si trova accanto alla chiglia. Questi due ragazzi avevano utilizzato borse di colori fosforescenti e quindi sono stati notati dalla polizia che ha sequestrato il carico a Santos».
I dettagli sono emersi in seguito al fermo di indiziato di delitto eseguito nei giorni scorsi dai Carabinieri ed emesso dalla Distrettuale antimafia di Torino, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri. Patrick Assisi, classe 1983, menzionato da Pasquino, è al momento detenuto in Brasile ed è uno degli indagati nell’inchiesta “Samba”.
Da quel momento, racconta Pasquino, non è più andato via dal Brasile. E spiega i dettagli di un altro “viaggio” di droga organizzato dal Brasile verso l’Europa. «Un altro lavoro è stato fatto due mesi dopo con 300 kg di cocaina con destinazione Anversa e “salita” da Santos, con destinazione finale Milano e Torino, dove la sostanza era destinata anche a Michelangelo Versaci». Ma, come spiegato dal collaboratore, il carico era stato sequestrato dalla polizia a Santos «poiché il container aveva tracce di sporco che li hanno insospettiti (…) si trattava di un carico a metà tra Patrick Assisi e metà di altri tra i quali Francesco Reitano, alcuni cittadini albanesi ed altri paesani…». E ancora: «(…) i pacchi di cocaina li prendevamo dai brasiliani, per questo carico in particolare, 150 kg li abbiamo presi dai brasiliani di San Paolo che erano in contatto con Patrick Assisi, quelli marchiati “Dolce & Gabbana”, gli altri 150 kg sono parte dei 200 kg che dovevamo fare col veliero. Questa era roba che Patrick aveva sottratto agli spagnoli, nella vicenda del veliero». Ovvero: «Gli aveva rubato, in soldi, 1.750.000 euro. Per questa vicenda Francesco Sforza ebbe un inferno in Spagna perché lo ritenevano responsabile avendo lui presentato gli spagnoli a Patrick. In merito a questi spagnoli preciso che il padre di uno di loro è stato arrestato a Palermo con 1.000 kg di fumo», spiega ancora Pasquino.
Come spiegato da Vincenzo Pasquino, quindi, non tutti i carichi di droga provenienti dal Sudamerica e dal Brasile effettivamente riuscivano ad arrivare oltreoceano e in Europa. A proposito dei 300 kg di cocaina caduti, il pentito spiega alle autorità brasiliane di aver litigato con tutti, «anche con Francesco Reitano e i santolucoti che avevano già pagato la salita e pretendevano la restituzione dei soldi per la caduta del carico. Allora con Patrick Assisi avevamo insieme 25 pacchi di cocaina, ogni pacco era 1 kg, organizziamo una salita con una nave “Grimaldi”, nascosti all’interno di un’autovettura». Pasquino spiega però di non essere riuscito ad organizzare il viaggio perché «chi la deteneva a Rio de Janeiro, l’aveva nascosta in una barca e la polizia l’ha trovata, 50 pacchi neri che chiamavamo “carbonia”, e altri 25 se non ricordo male “Bugatti”, comunque credo lo stesso timbro rispetto a quelli sequestrati ad Anversa…».
Vincenzo Pasquino ha poi spiegato che Michelangelo Versaci «è venuto tre volte a trovarmi in Brasile. Veniva per vedere come stavano le situazioni qua e incontrarsi coi brasiliani. (…) si presentava come il figlio di Rocco Barbaro “u Castanu”. Io rappresentavo loro qua in Brasile, intendo dire i platioti, cioè “il Tirchio”, Pino Perre, i Barbaro, gli Agresta e, in particolare, Antonio Agresta classe ’60 che, all’epoca, era in carcere». «Quando Versaci è venuto a trovarmi la prima volta nel 2018 io abitavo a San Paolo».
Era prassi, ha spiegato ancora Pasquino, che «quando dovevo dimostrare ai brasiliani la mia autorità qui, veniva Michelangelo Versaci che era uomo di Antonio Agresta, e io mi presentavo ai brasiliani con lui. Noi operavamo a nome di Antonio Agresta, anche se poi tutti erano interessati solo ai soldi. I brasiliani mi davano credito perché appartenevo a una famiglia, che era quella di Antonio Agresta». (g.curcio@corrierecal.it)
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