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Cucinelli BC ha aperto la stagione delle trimestrali delle società del lusso italiane. Nelle prossime settimane sarà la volta di Ferragamo, Moncler e Prada. Gli investitori, però, guardano anche ai risultati del gruppo francese Kering, proprietario del marchio Gucci.

I numeri preliminari del brand italiano del cashmere hanno evidenziato una crescita dei ricavi del 12,2% rispetto al 2023, grazie a un +11% nel quarto trimestre. L’azienda ha mostrato un progresso delle vendite in doppia cifra sia negli Stati Uniti (+17,8%) che in Asia (12,6%), mentre nel Vecchio continente non è andata oltre il 6,6%.

Il management ha confermato le aspettative per una crescita in doppia cifra anche nel 2025 e nel 2026, nonché l’obiettivo di raddoppiare il fatturato del 2023 (di EUR1,1 miliardi) entro il 2030.

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Dopo aver achiviato i risultati preliminari di Cucinelli, il mercato si prepara per quelli di Salvatore Ferragamo SFER.

Un momento difficile per Ferragamo?

Nei primi nove mesi dell’anno, l’azienda italiana ha registrato un calo del fatturato del 10% rispetto al 2023, anch’esso conclusosi con una contrazione delle vendite del 7,6%. Il brand fiorentino sta attraversando un momento difficile: negli ultimi tre anni i profitti e il margine operativo si sono dimezzati e quest’anno rischiano di farlo nuovamente. Cosa aspettarsi dunque dai numeri del 2024 e perché Ferragamo è così in difficoltà?

Jelena Sokolova, Senior Equity Analyst di Morningstar, che nelle sue previsioni relative al 2024 stima un calo dei ricavi e degli utili rispettivamente del 9,6% e dell’86%, va a fondo su quelle che sono le ragioni della debolezza del brand italiano: “Ferragamo è un player molto piccolo nel settore della pelletteria e delle calzature, mercati estremamente competitivi dove i grandi marchi come LVMH MC e Kering KER fanno la parte del leone. Ferragamo non ha tratto vantaggio dalla forte crescita del settore nel 2023 e sta perdendo rilevanza”.

A causa delle ridotte dimensioni, l’azienda italiana ha anche chance ridotte di recuperare il terreno perduto: “A Ferragamo manca il budget dei grandi gruppi per investire nel marketing necessario a competere in uno spazio sempre più consolidato”, sottolinea Sokolova. “Inoltre, l’azienda ha cambiato diversi CEO e direttori creativi, che non sono riusciti a migliorarne le prestazioni”. La via obbligata, aggiunge l’analista, sembrerebbe quella della vendita: “Secondo i rumors di mercato, l’azienda è stata messa in vendita qualche tempo fa, ma alla fine non è stato trovato un acquirente o il giusto prezzo per concludere l’accordo”.

Al momento il titolo viene scambiato leggermente al di sotto rispetto al fair value di Morningstar, pari a EUR7,10, e viene valutato con un rating di 3 stelle.

Moncler: i rischi arrivano dal mercato asiatico

A metà febbraio toccherà a Moncler MONC, che ha chiuso i primi nove mesi dell’esercizio in crescita del 6% rispetto al 2023. Il gruppo italiano, che oltre al brand omonimo ha in portafoglio anche il marchio Stone Island, ha però rallentato la sua marcia nel terzo trimestre, riportando una contrazione delle vendite del 3%. Sokolova illustra le aspettative per Moncler sottolineando l’incertezza attorno ai futuri risultati del gruppo: “Le nostre aspettative sulle vendite, relativamente al 2024, indicano un progresso del 3,5%, mentre prevediamo una piccola contrazione dei margini di profitto.

“Moncler ha sovraperformato la media dei competitor sui mercati asiatici, registrando un +11% nei primi nove mesi dell’anno, ma è possibile che l’appeal del marchio si stia un po’ raffreddando. Nel terzo trimestre le vendite nella regione sono scese del 2% e ci aspettiamo che anche nell’ultimo quarter risentano del calo della fiducia dei consumatori cinesi”.

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Al momento il titolo è valutato con un rating di 3 stelle, poiché scambiato sul mercato a prezzi leggermente superiori al fair value di Morningstar di EUR47,50. Secondo i rumors di mercato, l’azienda italiana sarebbe tra le potenziali acquirenti del marchio britannico Burberry, ma l’analista è scettica sulla possibilità che Moncler possa chiudere il deal: “Penso che alle attuali condizioni, sia improbabile l’acquisizione del brand inglese da parte di Moncler. La strategia del nuovo CEO di Burberry sembra dare i primi frutti, per questo motivo è lecito prevedere che il consiglio di amministrazione dell’azienda britannica voglia aspettare che si manifesti una svolta in termini di risultati e che il prezzo di mercato delle azioni si riprenda prima di pensare a un accordo”.

Gucci: difficile prevedere le tempistiche di una ripresa

Il prossimo 11 febbraio il colosso francese del lusso Kering pubblicherà i numeri del 2024 e allora avremo qualche informazione in più anche sullo stato di salute del marchio Gucci, uno dei brand più prestigiosi della moda italiana. Jelena Sokolova, che copre il titolo Kering con un fair value di EUR448 e un rating di 5 stelle, fa il punto sul momento di difficoltà di Gucci, il marchio di punta del portafoglio del gruppo: “Gucci, che pesa per circa il 50% sul giro d’affari complessivo di Kering, si appresta a chiudere un anno in forte calo.

Dopo il -6% nelle vendite registrato lo scorso anno, nel 2024 è previsto un calo del 20% in linea con i risultati riportati nei primi nove mesi. Le avvisaglie del momento negativo di Gucci si erano avute già nel 2022, quando si è registrato un forte rallentamento della crescita, dal 31% dell’anno precedente all’8%. Le ragioni a cui poter ricondurre questi numeri sono diverse: le collezioni di De Sarno non hanno avuto lo stesso successo di quelle di Alessandro Michele e ora l’immagine del brand è in una fase di appannamento.

Inoltre, Gucci è tra le aziende maggiormente esposte ai consumi cinesi”. L’analista, però, è convinta che Kering abbia tutte le risorse necessarie per risollevare le sorti del marchio: “I cicli della moda durano dai 2 ai 7 anni. Quindi, mi aspetto un’inversione di tendenza soprattutto in considerazione della forza e della riconoscibilità del brand Gucci e delle risorse del gruppo Kering che possono essere investite nel marketing. Va poi aggiunto che se in questo momento il contesto macro è sfavorevole al marchio italiano, nel lungo periodo rappresenta un punto di forza. Il consumo di beni di lusso è fortemente correlato alla crescita della ricchezza di un paese e alla quota di salari elevati, due metriche che sono destinate a salire in Cina e a recuperare progressivamente il gap nei confronti delle economie sviluppate.

Sokolova, però, non riesce a fare delle previsioni sulle tempistiche del recupero di Gucci: “Non è semplice capire quando avverrà questa inversione. Anche perché Gucci è fortemente esposto alla spesa dei consumatori aspirazionali, che sono i più colpiti dalla crisi del costo della vita, mentre altri brand come Bottega Veneta, Hermes, Loro Piana e Cucinelli, stanno sovraperformando il settore perché più esposti al trend del quiet luxury, ovvero dei prodotti di altissima qualità e dallo stile sobrio”.

Prada: quanto durerà il momento di Miu Miu?

Discorso diametralmente opposto vale per Prada 01913, che pubblicherà i risultati del 2024 a inizio marzo. Nei primi 9 mesi, l’azienda italiana, che è quotata sulla Borsa di Hong Kong, ha visto salire i ricavi del 18%, anche grazie alla forte performance del marchio Miu Miu e alla crescita delle vendite nel mercato asiatico.

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Sokolova spiega le ragioni della sovraperformance di Prada rispetto al settore e traccia le prospettive di breve e medio termine: “Miu Miu sta beneficiando di uno slancio molto forte del marchio, in particolare tra il pubblico della generazione Z, e quest’anno è destinato a raddoppiare i ricavi. I picchi di popolarità di un marchio, però, sono difficili da prevedere e non sono duraturi. Quindi sarei cauta nell’estrapolare dai dati recenti quelle che saranno le tendenze per il futuro.

“Prada viene da tre anni in cui è cresciuta in media del 25% e si appresta a chiudere il 2024 con un progresso dei ricavi del 15%. I cicli dei brand della moda durano in genere dai 2 ai 7 anni, per questo ci aspettiamo nei prossimi tre anni un rallentamento delle vendite a un ritmo medio inferiore al 10%”.

Il mercato riconosce al momento al titolo Prada un premio di circa il 20% rispetto al fair value di HKD51 stimato dagli analisti di Morningstar e un’ulteriore spinta alle quotazioni di Borsa potrebbe arrivare da un deal con Capri Holdings CPRI per la cessione del marchio Versace. Dopo lo stop dell’antitrust americano alla fusione con Tapestry, si fanno sempre più insistenti le voci di un interesse di Capri Holdings alla vendita del brand Versace.

L’analista di Morningstar giudica interessante, da un punto di vista strategico, l’acquisizione da parte di Prada, ma ne evidenzia le difficoltà: “L’ingresso di un brand italiano arricchirebbe ulteriormente il portafoglio del gruppo milanese. Inoltre, Prada sarebbe in grado di gestire meglio il brand Versace, rispetto a quanto fatto fino ad ora da Capri. Il settore dell’abbigliamento di lusso, diversamente dal mercato della pelletteria, è estremamente frammentato. Dunque, non dovrebbero esserci ostacoli da parte dell’antitrust. Il problema è che Prada non è l’unico possibile acquirente. LVMH è sempre alla ricerca di brand di valore da aggiungere al suo portafoglio e non ha problemi di liquidità. Richemont potrebbe essere un altro rivale, anche in ragione della sua disponibilità di cassa.

“Il secondo problema è rappresentato dal prezzo. Sotto la gestione di Capri Holdings, il marchio Versace è cresciuto in maniera significativa e ora ha solidi fondamentali. Per questo motivo, il gruppo americano non se ne priverà a prezzi stracciati”.

L’autore o gli autori non possiedono posizioni nei titoli menzionati in questo articolo. Leggi la policy editoriale di Morningstar.

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