«Non solo estro, non solo inventiva. Stiamo imparando dal calcio, l’importanza assoluta della parola programmazione. Conte lo sta trasferendo a Napoli e Napoli lo sta trasferendo a Conte.
È una misura sartoriale, che sembra tagliata addosso al momento della squadra e della città». Parla di sartoria non a caso, Carlo Palmieri, vicepresidente di Pianoforte Holding, l’azienda di Carpisa, Yamamay e Jaked, e vicepresidente anche di Sistema Moda Italia e dell’Unione Industriali di Napoli. «Oltre che grandissimo tifoso del Napoli – precisa -. Anzi, patito, malato del Napoli. Abbonato da anni, nella buona e nella cattiva sorte. In casa, al Maradona, e anche in trasferta».
È possibile un parallelo tra questo Napoli, che sa soffrire, che ha disciplina e rigore, con la città, che sembra più consapevole dei suoi mezzi e più ordinata nelle sue ambizioni?
«Non solo è possibile ma lo constato continuamente anche nei miei giri per lavoro. Mi confronto con i miei colleghi, anche nei miei ruoli istituzionali. E la reputazione di Napoli, del Calcio Napoli e della città di Napoli, è cresciuta molto, quasi in parallelo. Parlo delle voci di fuori, quelle più critiche. Non è un sentimento campanilistico ma un’analisi vera. Dall’aspetto sportivo alla crescita generale, c’è un’attenzione e una considerazione per quello che sta avvenendo molto alta. Questo, però, fa crescere la responsabilità. Abbiamo un legittimo scatto di orgoglio. Ma ora dobbiamo mettere radici».
Conte ha costruito un Napoli operaio che sembra saper vincere anche di sofferenza e non solo di fuochi pirotecnici, è questo il segreto per riuscire nella vita e nell’impresa?
«Operaio, certo, ma io lo definirei un Napoli sartoriale. Conte mi sembra davvero un buon sarto. Non è una cliente facile, la città di Napoli, ma lui è riuscito a costruirle addosso un modo di essere. Uno stile. E mi pare uno scambio virtuoso tra squadra e città. Vedo una maturazione complessiva. In questo senso, il tecnico del Napoli mi pare una moderna figura di manager. Non è solo l’allenatore di campo, come poteva essere il pur amato Sarri. È una figura totale: agisce sulla mente, sulla psicologia, sul gruppo e sa intermediare con la società. Anche questo è un segno di crescita del Napoli e di Napoli».
Decisionismo e abbracci: Conte sa essere duro e sa essere caloroso. La città ha da imparare da questa nettezza dei sentimenti?
«Ha da imparare e ha da insegnare. Credo che ci sia uno scambio costante tra il tecnico del Napoli, la sua squadra e la città. Conte, non napoletano, ma comunque uomo del Sud, capisce il valore dell’estro, dell’inventiva. Ma capisce anche che ci vuole solidità. Non era facile, dopo uno scudetto vinto in quel modo, e dopo lo scorso anno, così drammatico. Conte dice alla sua squadra e dice alla città che non bisogna abbattersi e bisogna mettersi al lavoro. Si dice che i calciatori che lavorano con Conte, dopo una stagione, siano esausti. Vedremo se sarà così anche qui. Ma certo, la lezione è che si vince con il lavoro e con l’impegno».
Una parola è entrata più di tutte nel linguaggio di questi mesi di calcio, a Napoli, ed è: progettualità. Ne ha bisogno anche la città?
«Tutte le attività ne hanno bisogno. Senza programmazione, senza la pazienza di fare ogni passo con la giusta misura, senza sacrificio, non si raggiunge niente nella vita. Questo è uno dei punti nei quali dobbiamo tutti metterci il nostro».
Un grande calciatore georgiano come Kvara arriva a Napoli e poi forse se ne va. Lo accusano di essere un mercenario ma è solo un professionista. Anche fare pace col professionismo è un segno di maturità?
«Lo è ma Napoli sta già dimostrando maturità. Sono lontani i tempi di Core ‘ngrato. Dopo un primo momento di sbandamento, di delusione, che pure ci sta perché Kvara ha acceso i cuori di tutti con le sue giocate, nelle ultime ore si sta creando un clima diverso, più saggio, più equilibrato. L’ho sentito domenica allo stadio, la città sta avendo il giusto approccio. Può essere addirittura un vanto, uno come Kvara che qui si esalta, esplode, e poi va nel mondo. Noi facciamo i campioni. Magari accadesse anche con i giovani in altri campi. Su una cosa, però, io dico che dobbiamo ancora crescere, come tifosi e anche come cittadini, come napoletani. Ci vuole più coesione. Dobbiamo essere più uniti, fare più comunità. C’è ancora una parte della città che mastica amaro, che critica, che guarda con insistenza quello che non va. Guardiamo il turismo, per esempio. È chiaro che porta anche qualche disagio. Ma guai a demonizzare le opportunità che sta creando. Ben vengano questi problemi. Li affronteremo e li risolveremo. Non puntiamo sempre il dito, magari al primo inciampo. Facciamo gruppo e guardiamo con fiducia alla nostra forza e al nostro lavoro. È così che si costruiscono le vittorie, in campo e fuori».
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