conto da un miliardo. Le mosse del ministero per ridurre il ricorso agli esterni

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Sfiora il miliardo di euro il conto per pagare i “gettonisti” nella sanità pubblica. Una voce di spesa addirittura raddoppiata tra il 2022 e il 2023. La stima del miliardo – che gira tra le Regioni, cioè gli enti deputati a saldare le prestazioni – è riferita al 2023, ma secondo il leader dell’Anaao Pierino Di Silverio, il principale sindacato dei medici, «anche nell’anno appena trascorso, il 2024, le Asl e le aziende ospedaliere hanno impegnato cifre identiche, se non superiori», per corrispondere gli emolumenti alle cooperative – una trentina in tutto – che a loro volta forniscono ai nosocomi medici e infermieri in deficit di personale. 
Strutture che, senza gettonisti, dovrebbero altrimenti issare bandiera bianca. E che sono costrette ad affidarsi a sanitari, che si sono licenziati da altri ospedali per darsi alla libera professione: guadagnano fino al 30 per cento di più rispetto ai dipendenti del servizio sanitario nazionale, ottengono condizioni di vita e di lavoro migliori. 

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I CORRETTIVI

Il governo Meloni ha inserito una serie di correttivi per frenare questi sprechi. Che finiscono per acuire le contraddizioni che vive dal punto di vista organizzativo la sanità italiana e che si sono sedimentate negli anni. Soltanto nelle strutture ospedaliere mancano circa 15mila medici e oltre 60mila infermieri. Si scontano gli effetti del numero chiuso nei corsi di medicina, che ha ridotto la platea del personale rispetto a una popolazione sempre più vecchia; i ritmi di lavoro sempre più frenetici dopo il Covid; i tagli decisi dopo gli anni 2000 dovuti sia al blocco del turnover sia al ripianamento dei debiti; la circostanza che un camice bianco in Italia ci mette 20 anni per arrivare al massimo dello stipendio, mentre nel resto d’Europa è sufficiente un lustro. Intanto nel 2023 5mila medici ospedalieri in età di lavoro si sono dimessi, non hanno aspettato la pensione per lasciare quel posto fisso pubblico in corsia, che una volta sembrava irraggiungibile. L’anno precedente avevano seguito la stessa scelta in 3.600. Sempre nel 2023 un terzo delle borse di studio per specializzare i futuri dottori è andato vacante. A chiudere il cerchio in questo scenario il numero degli accessi al pronto soccorso: nel 2024 sono stati 20 milioni le prestazioni richieste, due milioni in più rispetto a quelle effettuate nell’anno precedente. 
In questa situazione cresce il peso nella sanità dei gettonisti. Un numero preciso e certificato manca, ma secondo le stime che girano tra gli esperti del settore, soltanto tra i medici, si aggirano intorno alle 10mila unità. Cinque anni prima erano poco più di tremila. Sarebbero triplicati in questo lasso di tempo, durante il quale si sono licenziati 8.500 camici bianchi dal servizio sanitario nazionale. 
Per capire meglio il fenomeno è utile riprendere uno studio dell’Anac, l’autorità nazionale anticorruzione: ha calcolato che tra il 2019 e il 2022 le Regioni hanno dovuto spendere per queste forniture quasi 1,7 miliardi. Soprattutto si sono spartite questo giro d’affari appena 30 cooperative, con cinque realtà più grandi che sul fronte dei medici si sono aggiudicate il 64 per cento dei bandi soprattutto in regioni come Lombardia, Piemonte, Abruzzo o Veneto.
Il miliardo impegnato in questa direzione è pari al 2,5 per cento di quanto il servizio sanitario nazionale spende per pagare i suoi medici e i suoi infermieri. Può sembrare una cifra residuale, ma non è così. Intanto, come spiega Di Silverio, «questi soldi sarebbero serviti a reclutare altri 25mila dottori». Soprattutto spaventa la crescita di questa voce. 

IN COMMISSIONE

Ha chiarito bene la situazione Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, durante un’audizione in commissione Affari sociali alla Camera. «Nell’arco di 11 anni – ha fatto sapere – si è ridotta di 28 miliardi di euro la spesa per i dipendenti mentre nel 2023 è raddoppiata quella per l’impiego dei gettonisti». Infatti la fondazione Gimbe, elaborando le ultime rilevazioni della Ragioneria dello Stato sul pubblico impiego, ha calcolato che la spesa nel solo periodo gennaio-agosto 2023 è stata pari a 476,4 milioni di euro. Una cifra che non solo conferma la stima che gira tra i governatori, ma che è doppia rispetto agli oltre 230 milioni che si sono spesi nell’anno precedente.
Il governo su spinta del ministro della Sanità, Orazio Schillaci, sta provando ad alzare gli stipendi per i medici ospedalieri e ha inserito una serie di correttivi per frenare la spesa verso i gettonisti. Dal 2025 si potrà ricorrere alle cooperative soltanto «nei casi di necessità e urgenza», in un’unica occasione e senza possibilità di proroga. I medici non potranno essere pagati più di 85 euro all’ora nei pronto soccorso e la rianimazione, 75 per altri servizi medici; per gli infermieri la tariffa oraria varierà dai 25 ai 28 euro. Alcune Regioni hanno varato strutture – come i Cau in Emilia Romagna e i Pir in Toscana – per offrire una migliore prima assistenza, la Lombardia ha introdotto il cosiddetto contratto libero professionale per venire incontro al personale che non intende sottostare ai ritmi degli ospedali, mentre il Lazio ha programmato nuove assunzioni. I primi effetti sulla spesa sono attesi da quest’anno.

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