Congedi parentali in calo nel Friuli Venezia Giulia

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Meno congedi parentali e per un tempo minore. In controtendenza rispetto al resto d’Italia e anche rispetto al Nord Est, nel 2023 in Friuli Venezia Giulia è diminuito il ricorso al periodo di astensione facoltativa dal lavoro che lavoratori e lavoratrici dipendenti possono usare per prendersi cura dei figli, una volta esaurito il periodo di congedo obbligatorio per maternità o paternità.

A dirlo sono i numeri dell’ultimo Osservatorio sulle prestazioni a sostegno della famiglia, pubblicato dall’Inps.

A livello nazionale i beneficiari di congedo parentale tra i dipendenti del settore privato hanno raggiunto quasi le 361 mila unità, segnando un aumento del 2,5% rispetto all’anno precedente. Anche le giornate di congedo sono aumentate (+3%). Stesse percentuali sempre in crescita in tutta l’area del Nord Est, che include oltre alla nostra regione, Trentino Alto Adige, Veneto ed Emilia Romagna.

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In regione

In Fvg, invece, nel 2023 i beneficiari sono stati 8.324, poco più di un centinaio in meno del 2022 (-1,5%). Ancor più significativo il calo delle giornate di congedo autorizzate: nel 2023 sono state 364.610, erano diecimila in più l’anno precedente (-2,7%). Dividendo il totale delle giornate per il numero di lavoratori che ne hanno fatto richiesta, si ottiene una media di 43,8 giorni di congedo fruiti da ciascun lavoratore. Circa un mese e mezzo.

Madri e padri

Ad assentarsi dal lavoro per prendersi cura dei figli sono ancora in prevalenza le madri: in regione sono 6.018 le lavoratrici che nel 2023 hanno beneficiato del congedo, contro i 2.306 lavoratori. Sebbene siano ancora in minoranza, sono sempre di più anche gli uomini che decidono di prendere una pausa dal lavoro per dedicarsi alla famiglia: dal 2022 al 2023 sono cresciuti del 25%. Il calo registrato in regione è, quindi, da attribuire soprattutto al comportamento delle lavoratrici: in un anno è sceso del 9% il numero delle donne che hanno chiesto di assentarsi per dedicarsi al lavoro di cura.

I servizi

Perché? «Nel momento in cui aumentano i servizi disponibili, per ragioni legate alla retribuzione, ai percorsi di carriera o al fatto di lavorare in imprese medio-piccole, è possibile che madri e padri preferiscano avvalersi di altri servizi o altre forme di flessibilità lavorativa», è la lettura che ipotizza Roberta Nunin, ordinaria di Diritto del lavoro all’Università di Trieste.

«La diminuzione dei fruitori potrebbe essere legata a un miglioramento dei servizi per la prima infanzia. Siamo ancora lontani dall’obiettivo europeo, che punta a garantire posti in asilo nido per almeno il 45% dei bambini entro il 2030. Potremmo quindi pensare che in una regione come la nostra, che ha investito in un aumento dei servizi a livello comunale e nelle somme erogate a sostegno delle famiglie, ciò abbia favorito i genitori e abbattuto il ricorso al congedo parentale, che è pagato poco».

Come funziona

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Nonostante le recenti riforme, infatti, ricorrere al congedo rappresenta ancora un costo per le famiglie. Ciascun genitore ha diritto a tre mesi di congedo retribuito fino ai sei anni di età del bambino, non trasferibili all’altro.

I genitori hanno poi diritto, in modo alternativo tra loro, a un periodo ulteriore di tre mesi. Nel 2023 – anno cui si riferiscono i dati – solo per il primo mese di congedo parentale era riconosciuta un’indennità pari all’80% dello stipendio, ridotta al 30% per i mesi successivi. Nel 2024 i mesi pagati all’80% sono diventati due e, a seguito dell’ultima legge di bilancio, a partire dal 2025 saranno tre. «Sono comunque pochi», sottolinea la professoressa.

Fase di transizione

«Siamo in una fase di transizione: dovremo misurare se l’importo economico maggiorato per le tre mensilità aumenterà il periodo medio di fruizione del congedo e approfondire quale sarà l’impatto dello smart working». Con l’ultima riforma aumentano i mesi con retribuzione all’80%, ma possono essere utilizzati da un solo genitore. E dopo i sei anni di età del bambino, i mesi residui possono essere utilizzati fino al compimento dei 12 anni, ma senza indennità.

C’è poi ancora una questione di genere. Secondo l’ultima rilevazione dell’Inps i padri friulani e giuliani hanno preso in media 17 giorni di congedo parentale, le madri 54 ovvero poco meno di due mesi. Ancora una volta incide il bilancio familiare, visto che una riduzione consistente della retribuzione può scoraggiare l’uso del congedo per il genitore con lo stipendio più elevato – di regola il padre. «Pur essendo un diritto riconosciuto in modo paritario dal 2000, il fatto che le donne vi ricorrano in misura maggiore ci fa pensare che la fruizione dei padri sia fortemente legata all’ammontare della retribuzione e che vi possa essere la tendenza a evitare il congedo per timore di ripercussioni sulla carriera».

Scelte e smart

Secondo una ricerca Save the Children, pubblicata a marzo dello scorso anno, a utilizzare i congedi sono tendenzialmente padri con lavoro stabile, reddito medio-alto e occupati in imprese medio-grandi in cui la percezione dell’assenza è meno problematica. «Nella nostra regione, che è territorio di piccole e medie imprese, anche piccolissime, i padri hanno delle remore e chi fruisce del congedo è spesso la madre, che di solito guadagna meno», prosegue Nunin.

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Con l’avvento dello smart working la situazione è in parte cambiata e i numeri del Friuli Venezia Giulia potrebbero segnare l’inizio di una nuova tendenza. Perché rinunciare al 70% dello stipendio quando si può lavorare da casa, dando un occhio al bambino, sperando di inserirlo presto al nido? «Si può immaginare che la flessibilità oraria e lo smart working aiutino a mantenere lo stipendio. E questi dati ci dicono che, se esistono altre vie, le coppie tendono a sceglierle, anche per questioni economiche». —



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