Si sono presentati con una versione gipsy swing di uno dei brani più famosi di Paolo Conte, Via con me, dichiarando l’ispirazione profonda a una delle personalità più importanti in grado di mettere insieme cantautorato, jazz e grande ironia. E hanno riproposto, in finale, il loro inedito Caravan, che fin dal titolo richiama il classico di Duke Ellington (in realtà scritto da un trombonista della sua orchestra, Juan Tizol), stravolto in chiave balkan e rappato.
I Patagarri sanno suonare e divertire, e hanno il grande merito di aver portato per la prima volta a X Factor un sound differente, quel jazz praticato per anni improvvisando esibizioni nei mercati rionali dei dintorni di Milano. E colpiscono anche perché si sono formati in autonomia, lontano da club e studi celebri, ma con tante ore trascorse tra sala prove e concerti in prima linea.
Ma il jazz si impara per strada o si insegna al conservatorio? È tutto cuore, istinto e improvvisazione, o invece non si può suonare se non dopo molti anni di studio di composizione e di armonia? E come sta la scena jazz italiana oggi, dove accadono le cose più interessanti?
Nei festival
Un racconto del jazz in Italia non può che partire da Umbria Jazz, il più importante festival di jazz in Italia, dove, a quanto pare, le due dimensioni comunicano ininterrottamente. Ogni anno, a metà luglio, appassionati da tutto il mondo si riuniscono a Perugia, dove l’evento ideato da Carlo Pagnotta ha da poco compiuto i suoi primi cinquant’anni.
I concerti più raffinati e che richiedono un ascolto più attento si svolgono all’interno del teatro Morlacchi, ma il cuore del festival si trova all’aperto, con i palchi in giro per la città e i molti buskers che accorrono per far ascoltare a chi passa le proprie doti musicali, alimentando un dialogo fertile tra piazze e «accademia», con la collaborazione con la scuola Berklee di Boston e la sezione di educazione musicale per i più piccoli.
E da Bologna, culla del jazz fin dal Dopoguerra, fino a Pescara, dove nel 1969 è nato il primo festival italiano, al raffinato JazzMi di Milano, fino a Torino, dove le sonorità sono più legate all’avanguardia, sono moltissimi gli appuntamenti in cui ospiti internazionali e musicisti italiani si ritrovano a suonare. Come Ruth Goller, bassista originaria di Bressanone (ma da molti anni residente a Londra) che la scorsa estate è tornata a casa, al Sudtirol Jazz Festival, dove si è esibita con due progetti diversissimi, la misteriosa entità Skylla e poi il trio italo-tedesco Training, tra sperimentazione e improvvisazione pura.
E, tra gli emigranti, l’ultimo album del compositore Damian Dalla Torre, italiano che da tempo vive a Lipsia, è appena stato messo al primo posto dal Guardian tra i migliori dischi contemporanei del 2024, con quel mix tra ambient e jazz che I Can Feel My Dreams esprime davvero in modo magistrale (tra gli ospiti c’è proprio Ruth Goller).
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Progetti e rassegne
Mentre a inizio dicembre, alla Casa del Jazz di Roma, si è svolta la rassegna Take Five, con alcuni dei progetti più interessanti nati dai cinque Centri di produzione musica che si occupano prevalentemente di musica jazz e che hanno potuto accedere al Fondo unico per lo spettacolo che ha finanziato per un triennio alcuni centri che sono al contempo spazi concertistici e luoghi di produzione di musica nuova. Tra questi, quello legato alla Fondazione musica per Roma, Adrimusic a Pescara, WeStart a Novara, il Centro Toscana Produzione Musica Ets e Insulae Lab a Berchidda, in Sardegna.
Una rassegna di questo tipo è utile per farsi un’idea di quel che sta accadendo ora in diverse parti d’Italia, come il progetto del sassofonista Rino Cirinnà, Sketches of Islands, ispirato al viaggio e alla Sicilia, l’interessantissimo trio guidato dalla violinista Anaïs Drago, che vuole reinterpretare in chiave musicale i lavori di artisti come Paul Klee e Alejandro Jodorowsky, l’evocativo duo formato dal sassofonista Lorenzo Simoni e dal trombettista Iacopo Teolis e poi il trio Fedra, che mette in comunicazione il jazz con la musica antica.
E c’è poi il progetto Rodari Connection di Valentina Fin alla voce e sax insieme a Effe Effe, che partendo dal jazz e sviluppando derive elettroniche, rileggono in chiave giocosa le Favole al telefono di Gianni Rodari, cercando di esprimerne tutta la leggerezza e al contempo la profondità. Valentina Fin è inoltre cofondatrice, insieme al musicista Augusto Dalle Aste, di Bacàn, una start-up nata a Vicenza che esplora nuovi approcci alla musica contemporanea, organizzando residenze artistiche per giovanissimi musicisti e intrecciando rapporti con realtà internazionali e aziende del territorio.
Una missione per giovani
Quanto a Insulae Lab, il cuore della Gallura, ormai da qualche anno, è uno dei punti di riferimento del jazz in Italia. Questo grazie alla passione di Paolo Fresu, uno dei jazzisti italiani più celebri, che fin dalla fine degli anni Ottanta ha deciso di portare il meglio di questo genere musicale nel suo paese natale, organizzando prima un festival, il Time in jazz cresciuto esponenzialmente negli anni, e poi corsi e seminari che hanno preso una forma compiuta con la nascita di Insulae Lab, che vuole porsi in connessione anche con le esperienze e le tradizioni musicali delle altre isole del Mediterraneo.
L’approccio eclettico e aperto a influenze diversissime ha formato artisti che poi hanno avviato un tragitto molto personale, come nel caso di Daniela Pes, musicista gallurese di formazione jazz passata anche per i seminari di Berchidda, che poi ha realizzato uno degli esperimenti recenti più interessanti di musica elettronica, innovando anche il cantato con l’invenzione di una lingua propria.
Tra i nomi più in vista spicca l’esordio su disco di Evita Polidoro, batterista diplomata all’accademia di Siena (che resta uno dei punti di riferimento per il jazz nel nostro paese) che ha suonato con Enrico Rava e Francesca Michielin e con Nerovivo propone un inaspettato esperimento molto vicino al post rock, in cui suona e canta.
Ma ci sono anche i 72-Hour Post Fight, band che partendo dall’improvvisazione si muove tra influenze di musica elettronica, hip hop, math rock. E poi il chitarrista Michele Bonifati, che mette insieme mondi che traggono ispirazione tanto dall’elettronica degli Autechre quanto da John Lennon e i Rage Against The Machine.
Oppure gli approcci differenti allo stesso strumento, il contrabbasso, di Federica Michisanti e di Jacopo Ferrazza, quest’ultimo tra i musicisti sostenuti dal progetto Nuova Generazione Jazz per il 2024, voluto dall’associazione I-Jazz per supportare i nuovi talenti italiani. E ancora, la leggerezza del quartetto Yabai insieme alla musicista e cantante Any Other, che viene da tutt’altro mondo musicale, oppure il disco della cantante Camilla Battaglia che racconta alcune figure femminili della Grecia antica.
«Non suonare quello che c’è, suona quello che non c’è», indicava Miles Davis nella sua autobiografia. Missione non facile, ma di certo i giovani jazzisti italiani ci stanno provando.
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