Truffa dei Superbonus nel Cosentino, il metodo utilizzato dal gruppo di Cetraro per raggirare lo Stato

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#finsubito

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 


Il gruppo specializzato nel simulare ristrutturazioni di immobili ed edifici aveva accumulato una fortuna con i crediti d’imposta monetizzati e poi riciclati in preziosi, ma quella piccola fortuna non è stata ancora ritrovata 

Se vivete a Cosenza, non pensate di avvalervi delle prestazioni professionali dell’ingegner Pietro Leonardi o, in alternativa, di rivolgervi al suo collega Carlo Taranto; i signori in questione, infatti, non solo non sono ingegneri, ma nella vita reale nemmeno esistono. Taranto e Leonardi sono due dei tanti personaggi di fantasia che fanno capolino nelle pratiche farlocche dei “Superbonus” confezionate a Cetraro: inesistenti gli immobili e i palazzi indicati come oggetto di ristrutturazione; false le fatture esibite a conferma dell’avvenuta esecuzione dei lavori; inventati i nomi delle persone fisiche – tecnici e commercialisti – citate per dare una parvenza di regolarità alla documentazione. Tutto contraffatto, dalla A alla Z. Talmente falso, da sembrare vero.

I cervelli del raggiro

Sono questi gli ingredienti della truffa milionaria che, ideata nella cittadina tirrenica, tra il 2021 e il 2023 ha dispiegato i suoi effetti in tutta la provincia di Cosenza; da Roggiano Gravina ad Acquappesa, passando per San Marco Argentano, Rende e la città capoluogo. A sovrintendere all’imbroglio, secondo gli investigatori, c’erano l’idraulico Maurizio Bellavista (63 anni) e sua moglie Elvira Chimenti (58), con in primo piano anche il trentatreenne Guido Bellavista, nipote della coppia. Sono loro le tre persone finite in carcere nell’ambito dell’inchiesta che annovera in tutto cinquantuno indagati, di cui sette per associazione a delinquere. Tra questi, figurano anche i procacciatori dei prestanome a cui erano intestati i finti lavori di ristrutturazione e altre due persone deputate al riciclaggio del denaro.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

La regola “cetrarese”

Il metodo che adottavano è tanto semplice quanto efficace e s’insinua nelle pieghe degli incentivi statali sugli interventi in edilizia. Tra Ecobonus, Sismabonus e Bonus facciate, ce n’è per tutti i gusti, e chi ne usufruisce ottiene una mole di crediti d’imposta da scontare in fattura o compensare annualmente con le tasse. C’è una terza via, però, che consente di monetizzare in modo più rapido a fronte di un leggero ribasso del capitale: la cessione del credito a Poste Italiane. La regola “cetrarese” predilige proprio questa soluzione. È accaduto decine di volte, ventinove gli imbrogli scoperchiati dagli investigatori in provincia di Cosenza, dell’entità minima di centomila euro e massima di trecentomila, ma con punte da un milione e mezzo, che in totale fanno i quindici milioni oggetto dell’indagine. Un raggiro che, però, potrebbe essere di dimensioni molto più ampie, considerato che, in un’intercettazione, uno degli indagati si vanta di aver portato all’incasso almeno cento pratiche di questo tipo.

La trappola è servita

Lo schema era sempre lo stesso, tant’è che ogni vicenda ricostruita da finanzieri e poliziotti, si presenta come la fotocopia di quella precedente. La documentazione fasulla veniva inoltrata, di volta in volta, all’Agenzia delle entrate e a Poste italiane che, ignare del raggiro in atto, cadevano puntualmente nella trappola. La prima, tratta in inganno dalla coerenza e dall’apparente regolarità dei documenti, concedeva il suo nulla osta e, a ruota, l’altra provvedeva a versare il denaro sul conto corrente del prestanome di turno. Trovarne sempre di nuovi, pronti a interpretare quel ruolo, non era complicato. In tanti aderivano al progetto con entusiasmo perché allettati dalla prospettiva del guadagno facile; su per giù il 10% del capitale ottenuto con l’imbroglio. E fra pregiudicati, piccoli truffatori o, più semplicemente, disoccupati in lotta per la sopravvivenza, il bacino a cui gli “scout” del gruppo potevano attingere era pressoché sterminato.

Il tesoro nascosto

Nessuno di loro, gestiva realmente quei conti, sebbene ne fossero intestatari. Quella, infatti, era una prerogativa dei capi che, non a caso, a bonifici eseguiti, provvedevano subito a stornare i soldi altrove per farne perdere le tracce. Il passaggio successivo era quello di riciclare il capitale, sempre attraverso le solite teste di legno, convertendolo in oro da investimenti. Al momento, di questo piccola fortuna sembra non esservi traccia; tutte le perquisizioni hanno dato esito negativo. Nel corso delle indagini, ne sono stati recuperati solo tre chili in monete, ma il grosso degli ori che si ritiene gli indagati abbiano accumulato nel tempo, non è stato ancora trovato. Anche per questo, il sequestro impeditivo disposto dal gip – con tanto di mandato a sottrarre alle persone coinvolte tutto ciò che può essere loro sottratto per legge – vale per il momento come dichiarazione d’intenti: in una storia di pirati, non poteva mancare la caccia al tesoro.



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