Silenziosa e impenetrabile. La mafia cinese cresce nell’omertà

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Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 05-01-2025

Sono le 22 e 40 del 5 ottobre 2024. Siamo su una Audi A3, in uso a Bing Zhou nato in Cina nel 1984, e residente a Milano, in via Sarpi. Ora a San Vittore, arrestato come mandante di un triplice omicidio.
Le cimici piazzate dai Carabinieri del comando provinciale di Milano, intercettano una conversazione. Una tra le tante.
Uomo, ridendo: “Il posto dell’incendio sono morte tre persone?
Bing Zhou: “Si”.
Uomo: “Si trova vicino qua?
Bing Zhou: “… vicino al civico 3 (di Via Cantoni, ndr)”.
Era la tarda serata del 12 settembre dello scorso anno. Intorno alle ore 23.00. Un incendio doloso divampa all’interno del locale showroom con insegna “Wang”, in via Ermenegildo Cantoni 3, a Milano, sede della ditta individuale Li Junjun. All’interno dello stabile durante le operazioni di spegnimento vengono rinvenuti i corpi senza vita di tre giovanissimi ragazzi, Dong Yindan (nata nel 2005), Liu Yinjie (nato nel 2006) e Pan An (nato nel 2000).
L’Uomo seduto di fianco al posto di guida insiste: “Sicuramente ha dato fuoco versando la benzina. Come mai le persone non riuscivano a scappare? è strano… ”.
Bing Zhou: “Non mi frega un cazzo! Sicuramente perché la porta era chiusa con la chiave, hai capito? Erano chiusi dentro!
La conversazione poi vira. Sulla droga.
Emerge che Bing Zhou è amico di un latitante, in Cina, leader di un gruppo che spaccia a Milano ecstasy, ketamina e shaboo. Un uomo, a detta loro, importante nell’ambito della malavita. Nel giro delle loro conoscenze e nel corso del dialogo, compare anche un altro uomo, un broker di sostanze illegali, originario di Wen Cheng, (località della provincia di Zhe Jiang). Pare che “nessuno” abbia “il coraggio di sfidarlo (in Toscana, ndr)”. Risponde l’uomo.
Bing Zhou ha un coindagato, Yijie Yao, arrestato anche lui come mandante dell’incendio, erano anche “soci in affari di droga” e il secondo aveva un debito di 80 mila euro nei confronti del primo, debito scaturito per una partita di droga non pagata. Bing Zhou fu tratto in arresto qualche anno fa e Yijie Yao “approfittò” di tale circostanza, così dice l’ordinanza di custodia cautelare, per non saldare il suo debito, decidendo di smerciare comunque la merce.
Ricapitolando: giro d’affari lecito, nel Nord Italia, dal Friuli alla Lombardia, fatto di edilizia e ristrutturazioni. L’estorsione per un presunto debito. Quindi l’incendio, assoldando un uomo, definito da loro, “Il pazzo”, giunto per l’occasione dall’Olanda. E poi tanta droga. Questo è il quadro che si delinea attorno alla morte dei tre giovani.

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Un fatto criminale gravissimo. Uno dei più gravi. Non ne ricordo, a Milano, negli ultimi trent’anni uno analogo. Declassato come evento secondario.
Gli arresti di Bing Zhou e di Yijie Yao avvenuti a inizio dicembre passati sotto silenzio. Pochi i siti online che li citano.
Quasi come se fosse un fatto appartenente a una comunità a parte: quella cinese. E non fosse maturato nei quartieri della capitale delle mafie nel nord Italia.
Un fatto criminale che offre uno spaccato inquietante delle organizzazioni criminali cinesi. Ancora non degne di essere chiamate mafie. Tranne che a Prato.
Nella relazione semestrale della DIA del 2024, le organizzazioni criminali cinesi vengono citate, coinvolte in traffico di droga e soprattutto in diversi reati fiscali e finanziari.
Il 25 ottobre 2024, l’ultima operazione: una rete di società cinesi, 500 i milioni di euro sottratti a tassazione, tre miliardi di transazioni effettuate. Operazione su delega dell’European Public Prosecutor’s Office (EPPO) sedi di Milano e Bologna, che ha smantellato in tutta Italia “un’associazione per delinquere cinese, finalizzata a una frode fiscale internazionale e al riciclaggio”.
Il denaro è transitato in diversi stati (tra cui Grecia, Bulgaria, Francia, Spagna, Germania, Estonia, Danimarca, Irlanda e Gran Bretagna) prima di inviarlo in Cina e, in parte, farlo tornare anche in Italia.
Spesso lo spostamento da nazione a nazione avviene grazie alla rete internazionale costituita da cittadini di nazionalità cinese attraverso il meccanismo di compensazione dei debiti, denominato “Fei ch’ien” (denaro volante). Oppure anche detto Hawala, a seconda di chi lo utilizzi.
Il cliente deve trasferire dei fondi, senza che siano tracciati, dal paese dove risiede (A) al paese in cui risiede il creditore o venditore (B). Contatta una persona che viene chiamata Havaladar in A. La transazione viene autorizzata in base ad una parola d’ordine. L’hawaladar in A contatta l’hawaladar in B informandolo dei dettagli dell’operazione e gli comunica la parola d’ordine che deve essere utilizzata dal beneficiario in fase di ritiro dei fondi. L’hawaladar in A e l’hawaladar in B provvedono poi, a regolare le partite di debito/credito, mediante compensazioni periodiche fra gli stessi.
La relazione evidenzia la sempre più frequente emersione di sodalizi criminali stranieri che a vario titolo, si confrontano e interagiscono con consorterie nazionali, anche con quelle più strutturate. Quella cinese è particolarmente ostica a causa della sua natura silenziosa e impenetrabile.
Ecco, forse bisogna rompere l’omertà diffusa.
Per assurdo proprio i vertici di quella comunità possono svolgere un ruolo prezioso.
“Noi”, dovremmo ricordare Dong Yindan, Liu Yinjie e Pan An, il 21 marzo: Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.



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