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Il Patent Box, da sempre considerato appannaggio delle sole grandi imprese, si può trasformare in un’opportunità concreta anche per le piccole realtà.
Con regole semplificate e benefici accessibili, anche aziende senza dipendenti possono sfruttare questa agevolazione fiscale. Scopriamo come trarre vantaggio da un sistema ora alla portata di tutti.

Patent Box: opportunità per le piccole imprese

patent box piccole impreseLa disciplina del Patent Box è stata introdotta nel nostro ordinamento già da circa dieci anni. Nonostante essa abbia subito diverse modifiche nel corso degli anni, anche molto importanti dal punto di vista procedurale, la ratio sottostante è rimasta sempre la stessa: concedere un beneficio fiscale alle imprese che possiedono e sviluppano beni immateriali (da qui il nome Patent Box).

Tale agevolazione fiscale ha subito preso piede in maniera significativa tra le imprese di grandi dimensioni, concedendo importanti benefici fiscali agli operatori che hanno saputo cogliere la palla al balzo, ma ha da sempre fatto fatica a diffondersi tra le imprese di minori dimensioni.

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Le motivazioni alla base di questo fatto possono essere le più disparate, ma è possibile individuarne sicuramente due principali: la compresenza del (più immediato) vecchio e caro credito ricerca e sviluppo e la difficoltà di accesso al beneficio Patent Box.

Ma le cose oggi sono cambiate e i due ostacoli principali alla diffusione del Patent Box tra le piccole e medie imprese sono sostanzialmente caduti. Proviamo a capire brevemente quali sono, ad oggi, le opportunità che questo strumento offre alla portata di tutti, addirittura alle imprese con pochi (o nessun) lavoratore dipendente.

 

La storia del Patent Box in breve

Il Patent Box è stato introdotto nell’ordinamento italiano dall’art. 1 comma 37 – 45 della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) con il fine, ampiamente condiviso e discusso in ambito OCSE, di incentivare lo sviluppo e la monetizzazione dei beni immateriali da parte delle imprese residenti, anche allo scopo di evitare delocalizzazioni artificiose di tali asset in Paesi c.d. a fiscalità privilegiata e disincentivare fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva ed erosione della base imponibile.

Senza entrare troppo nei dettagli, in prima stesura (e per diversi anni a seguire), è stato possibile agevolare (esentare) fino al 50% dei redditi derivanti da:

  • software coperto da copyright;
  • brevetti industriali;
  • marchi d’impresa (con alcune limitazioni temporali);
  • disegni e modelli;
  • processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili;
  • due o più dei suddetti beni immateriali, collegati tra loro da un vincolo di complementarietà tale per cui la realizzazione di un prodotto o di una famiglia di prodotti o di un processo o di un gruppo di processi sia subordinata all’uso congiunto degli stessi.

Benché la ratio di esentare i redditi derivanti dallo sfruttamento (diretto o indiretto) di tali redditi fosse, a parere di chi scrive, totalmente in linea con la logica di un sistema di agevolazioni che prima aiuta gli operatori a sostenere i costi di sviluppo (con il credito ricerca e sviluppo e a prescindere dai risultati economici ottenuti dalla ricerca), e poi ne premia la monetizzazione (con i redditi detassati da Patent Box), l’applicazione pratica di detto sistema non ha trovato il successo aspettato tra gli operatori.

Infatti, il calcolo del “reddito agevolabile” derivante dallo sfruttamento dei beni immateriali risultava assai macchinoso e dotato di un importante livello di soggettività intrinseco.

Nella sostanza, si utilizzava la stessa tecnica adoperata nella gestione del Transfer Pricing, quindi ben nota ai gruppi multinazionali ma totalmente sconosciuta alle piccole e medie imprese.

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Infine, l’obbligatorietà della procedura di “ruling” con l’Agenzia delle Entrate per l’utilizzo “diretto” dei beni immateriali (cioè il più diffuso), con i suoi tempi astronomici di svolgimento e chiusura, ha contribuito a rendere il tutto non facilmente fruibile e altamente rischioso.

Per ovviare al problema dei tempi astronomici del ruling e del rischio di sanzioni derivanti dalla soggettività del reddito agevolabile, nel 2019, con l’art. 4 del DL 34/2019, è stata prevista la possibilità (sostanzialmente morta ancor prima di nascere) di autoliquidare il reddito agevolabile, con l’obbligo di predisporre uno specifico set documentale e fruire della “penalty protection” (cioè dell’esimente sanzionatoria) in caso di disconoscimento dell’agevolazione, rimandando al futuro eventuali controlli.

Ad oggi, con l’art. 6 del DL 146/2021, il sistema è stato completamente stravolto (e oltremodo semplificato), abolendo sostanzialmente il Patent Box come lo abbiamo conosciuto agli albori, per trasformalo semplicemente in una “super deduzione dei costi di ricerca e sviluppo” (e aggiungerei io, di innovazione tecnologica, spesso dimenticata).

Il Patent Box oggi in breve

La disciplina attuale del Patent Box, come accennato in precedenza, si discosta significativamente da quella del passato e consiste in un’agevolazione fiscale dalla durata di 5 anni, rinnovabile, rivolta alle imprese che sostengono (o hanno sostenuto in passato) costi per attività di ricerca, sviluppo, innovazione e design al fine di sviluppare e/o accrescere determinati beni immateriali quali:

  • software protetto da copyright;
  • brevetti industriali (inclusi i brevetti per invenzione, le invenzioni biotecnologiche e i relativi certificati complementari di protezione), brevetti per modello d’utilità, brevetti e certificati per varietà vegetali e le topografie di prodotti a semiconduttori;
  • disegni e modelli giuridicamente tutelati;
  • due o più dei suddetti beni immateriali collegati tra loro da un vincolo di complementarietà.

Il focus del beneficio si sposta nettamente, passando dall’agevolazione dei redditi prodotti dalla “scatola” dei beni immateriali ai costi sostenuti dall’azienda per svilupparli. L’agevolazione consiste infatti tecnicamente in una (semplice) maxi-deduzione dei costi di Ricerca e Sviluppo/Innovazione rilevanti, in misura pari al 110%.

Ciò significa che, per esempio, se un’impresa ha sostenuto nel corso dell’anno 100.000 euro di costi di ricerca e sviluppo per sviluppare un software coperto da copyright, potrà dedurre dalle imposte sul reddito (IRES, IRPEF e IRAP) maggiori costi, pari a 110.000 euro.

Le norme e i provvedimenti individuano puntualmente quali sono le attività di ricerca e sviluppo rilevanti e le relative spese agevolabili connesse allo svolgimento di dette attività.

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In particolare, la disciplina individua tra le attività che danno diritto all’agevolazione le seguenti:

  • le attività classificabili come ricerca industriale e sviluppo sperimentale ai sensi dell’art. 2 del DM 26.5.2020 (relativo al credito d’imposta ricerca e sviluppo);
  • le attività classificabili come innovazione tecnologica ai sensi dell’art. 3 del DM 26.5.2020;
  • le attività classificabili come design e ideazione estetica ai sensi dell’art. 4 del DM 26.5.2020;
  • le attività di tutela legale dei diritti sui beni immateriali.

A ben vedere, si tratta di attività ben conosciute dalle imprese che hanno già usufruito, o usufruiscono tutt’ora, del Credito Ricerca e Sviluppo, Design e Innovazione e si rifanno alle definizioni del famoso (per i professionisti del settore) “D.M. 2020” e ai manuali di Frascati e di Oslo, ormai entrati a far parte quasi a pieno titolo delle nostre fonti del diritto interne.

A parere di chi scrive, questo avvicinamento della disciplina del Patent Box ai concetti propri del Credito Ricerca e Sviluppo rappresenta già un’importante semplificazione per gran parte delle aziende (anche piccole).

Venendo alle “spese” sostenute per svolgere le attività di cui sopra e che possono essere oggetto della maxi-deduzione, il provvedimento Agenzia delle Entrate 15.2.2022 n. 48243 elenca:

  • spese per il personale titolare di rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo o altro rapporto diverso dal lavoro subordinato, direttamente impiegato nello svolgimento delle attività rilevanti (lett. a);
  • quote di ammortamento, quota capitale dei canoni di locazione finanziaria, canoni di locazione operativa e altre spese relative ai beni mobili strumentali e ai beni immateriali utilizzati nello svolgimento delle attività rilevanti (lett. b);
  • spese per servizi di consulenza e servizi equivalenti inerenti esclusivamente alle attività rilevanti (lett. c);
  • spese per materiali, forniture e altri prodotti analoghi impiegati nelle attività rilevanti (lett. d);
  • spese connesse al mantenimento dei diritti su beni immateriali agevolati, al rinnovo degli stessi a scadenza, alla loro protezione, anche in forma associata, e quelli relativi alle attività di prevenzione della contraffazione e alla gestione dei contenziosi finalizzati a tutelare i diritti medesimi (lett. e).

Tali spese, fermo restando il rispetto dei principi generali di effettività, inerenza e congruità, rilevano nel loro ammontare fiscalmente deducibile e sono imputate, ai fini del calcolo della maggiorazione del 110%, a ciascun periodo di imposta in applicazione dell’art. 109 comma 1 e 2 del TUIR, indipendentemente dai regimi contabili e dai principi contabili adottati dall’impresa, nonché dall’eventuale capitalizzazione delle stesse.

Per documentare la congruità, l’inerenza e l’effettività di tali spese, sarà opportuno per l’azienda predisporre un set documentale chiaro e ben definito. Anche nell’attuale versione del Patent Box, resta ferma la possibilità (ben vista) per il contribuente di predisporre e conservare un set documentale, dotato di particolari requisiti formali secondo quanto previsto dal provvedimento Agenzia delle Entrate 15.2.2022 n. 48243, per fruire dell’esimente sanzionatoria in caso di parziale disconoscimento dell’agevolazione.

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L’agenzia delle entrate, con la circolare n. 5/E del 24 febbraio 2023, ha anche ammesso la cumulabilità (con i dovuti aggiustamenti) dell’agevolazione Patent Box con il credito Ricerca e sviluppo, design e innovazione, con il quale, evidentemente, condivide la stessa base di costi agevolabili.

Più ghiotto e chiaro di così, come poteva essere?

 

Le opportunità per le piccole imprese

Essendo quindi oggi totalmente mutato il quadro delle agevolazioni per le imprese che possiedono beni immateriali, quali sono le opportunità che potrebbe sfruttare una piccola impresa, anche senza (o quasi) alcun lavoratore dipendente?

In primis è possibile fare subito le seguenti osservazioni:

  • l’accesso all’attuale disciplina del Patent Box risulta assai più semplice rispetto al passato, per cui anche i costi per l’ottenimento dell’agevolazione risultano più alla portata delle imprese di minori dimensioni
  • il credito Ricerca e Sviluppo, ampiamente in voga anche tra le imprese più piccole, non è più, da solo, così attrattivo come una volta in termini di beneficio fiscale ottenibile
  • esistono delle forti “economie di scopo” tra credito ricerca e sviluppo e Patent Box. Nel caso in cui un contribuente avesse i presupposti per l’ottenimento di entrambe le agevolazioni, con un unico sforzo (o quasi) sarebbe possibile ottenere due benefici tra di loro complementari e cumulabili. A parere di chi scrive, un’azienda che fa ricerca e sviluppo con successo, è fisiologicamente portata alla creazione di beni immateriali giuridicamente tutelabili (che ricordiamo rappresentano uno dei requisiti oggettivi del Patent Box), per cui è altamente probabile che chi ottiene (o ha ottenuto in passato) il credito Ricerca e Sviluppo possa ottenere oggi anche l’agevolazione Patent Box.

Tornando ora al punto di partenza del nostro discorso, proviamo ad affrontare specificamente il caso di un’impresa senza lavoratori dipendenti. All’interno dell’attuale disciplina del Patent Box non si rinvengono divieti o limitazioni assolute per le imprese (anche in forma societaria) che operano senza l’utilizzo di lavoratori dipendenti subordinati.

Il caso può a prima vista apparir bizzarro, ma rappresenta in verità una situazione sempre più in voga tra le piccole imprese “digitali”.

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Esempio

Si pensi ad esempio ad una S.R.L. nel campo dei servizi digitali, che opera principalmente attraverso i suoi soci operativi e/o amministratori in maniera “decentralizzata”, prevalentemente da remoto, avvalendosi quotidianamente di una rete di collaboratori e fornitori esterni (freelance e/o altre imprese) altamente integrati nel proprio business.

Esiste un modo per sfruttare efficacemente il Patent Box in queste condizioni? A parere di chi scrive, si.

Molte di queste piccole società spesso sviluppano (in)consapevolmente, soprattutto su iniziativa dei soci fondatori e con il contributo imprescindibile dei propri collaboratori esterni, un patrimonio immateriale rilevante che viene poi monetizzato ogni giorno attraverso la fornitura di servizi: può trattarsi, il più delle volte, di software tutelabile o di potenziali invenzioni/modelli di utilità brevettabili.

Allora, a questo punto, è necessario fermarsi a pianificare ed a formalizzare l’innovazione per poter provare a rientrare nelle seguenti casistiche di spesa:

  • spese per il personale titolare di rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo o altro rapporto diverso dal lavoro subordinato, direttamente impiegato nello svolgimento delle attività rilevanti (lett. a);
  • quote di ammortamento, quota capitale dei canoni di locazione finanziaria, canoni di locazione operativa e altre spese relative ai beni mobili strumentali e ai beni immateriali utilizzati nello svolgimento delle attività rilevanti (lett. b);
  • spese per servizi di consulenza e servizi equivalenti inerenti esclusivamente alle attività rilevanti (lett. c);
  • spese per materiali, forniture e altri prodotti analoghi impiegati nelle attività rilevanti (lett. d);
  • spese connesse al mantenimento dei diritti su beni immateriali agevolati, al rinnovo degli stessi a scadenza, alla loro protezione, anche in forma associata, e quelli relativi alle attività di prevenzione della contraffazione e alla gestione dei contenziosi finalizzati a tutelare i diritti medesimi (lett. e).

È chiaro infatti che, nello svolgimento delle attività di sviluppo e innovazione, anche la piccola società si avvarrà di personale (anche se soci/amministratori/lavoratori autonomi esterni), materiali e consulenze.

La circolare N.5/E del 24 febbraio 2023, tra l’altro, ammette espressamente la possibilità di esternalizzare, in tutto o in parte, le attività di ricerca e sviluppo all’esterno, facendo però bene attenzione al fatto che:

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l’investitore (n.d.r. la società) deve gestire e mantenere la piena assunzione dei rischi tecnici e finanziari, cui è collegato il godimento degli eventuali futuri benefici, compresi quelli di natura fiscale”.

Ripercorrendo quanto affermato dalla circolare:

“è fondamentale la dimostrazione, in capo al committente, della direzione tecnica e dell’assunzione di tutti i rischi, di tipo tecnico, operativo e finanziario connessi all’investimento effettuato, nonché il sostenimento dei relativi costi, di cui lo stesso committente deve restare definitivamente inciso. L’assunzione e il pieno controllo di tali rischi da parte del contribuente e quindi la sua natura di investitore è, in linea di principio, solitamente riscontrabile nei casi di attività di ricerca e sviluppo svolta intra muros”.

Quindi, per poter sfruttare efficacemente queste opportunità che sembrano essere totalmente avallate anche dall’interpretazione dell’amministrazione finanziaria, sarà di fondamentale importanza prevedere una puntuale rendicontazione, corredata altresì da contratti dai quali si evince la direzione tecnica interna, (per esempio a cura dell’amministratore o del socio operativo), la natura dell’attività, dei rischi e dei benefici della stessa, nell’ottica di una pianificazione sistematica ed effettiva dei processi di innovazione dell’impresa.

Dunque, l’opportunità di fruire del Patent Box anche per le piccole imprese e/o startup senza (o quasi) alcun lavoratore dipendente sembra essere totalmente avallata anche dalle interpretazioni dell’amministrazione finanziaria. Tuttavia, sarà di fondamentale importanza prevedere una chiara e puntuale rendicontazione, requisito imprescindibile per mettersi al riparo da facili contestazioni da parte dell’organo verificatore.

In particolare, bisognerà prestare la massima attenzione alla descrizione particolareggiata delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione svolte, dei soggetti coinvolti in dette attività e alla corretta ripartizione dei rischi e dei benefici delle stesse. Tra gli elementi probatori più importanti da predisporre e conservare ci saranno sicuramente lettere d’incarico e contratti, dai quali sia possibile evincere chiaramente l’oggetto delle prestazioni svolte e la direzione tecnica da parte dell’impresa la quale, ricordiamo, deve rivestire obbligatoriamente la qualifica di “investitore” ai sensi del provv. Agenzia delle Entrate 15.2.2022 n. 48243. Il tutto nell’ottica di una pianificazione sistematica ed effettiva dei processi di innovazione aziendali.

 

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Gianmarco Pollice

Mercoledì 8 gennaio 2025



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