Geopolitica delle criptovalute | La Fionda

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La geopolitica delle criptovalute (Castelvecchi 2024) è un testo duplice, come la materia cui è dedicato.

Da un lato parla di geopolitica, chiamando in causa un insieme di soggetti noti (terroristi islamisti, Cuba, Ucraina, Russia, regime nordcoreano, cartelli di narcos messicani, ecc.) e alcune dinamiche che li riguardano. Dallo scoppio della guerra in Ucraina tale ambito è diventato predominante nel dibattito pubblico.

Dall’altra riguarda le criptovalute, un oggetto un po’ misterioso (in effetti cryptos in greco significa “nascosto”) la cui tecnicalitá non è così familiare al lettore medio. In merito l’autrice, Elham Makdoum, giovane analista indipendente, ci illustra una sorta di continente occulto in cui le potenze ed i soggetti sopra citati sono influenzati nella loro interazione conflittuale o di alleanza proprio da questi oggetti misteriosi. 

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Tale doppio piano si snoda nel testo, ora concedendo di più al primo fattore, ora al secondo. Uno dei percorsi più affascinanti del libro riguarda la matrice ideologica delle criptovalute e la loro parabola.

È noto che il retroterra di internet e del mondo digitale è una visione libertaria che rifiuta le gerarchie e il potere, le cui basi sono rinvenibili negli anni Sessanta. La matrice utopica sarebbe stata presto rovesciata dalla realtà, rendendo più realistica la tetra distopia di William Gibson, autore del termine cyberspazio negli anni Ottanta. In modo simile, il presupposto delle cripovalute è la preoccupazione per la privacy nella comunicazione, e lo strumento è la crittografia applicata ai pagamenti.

Se la crittografia riguarda la trasmissione di messaggi che solo chi possiede una chiave può decifrare, un sistema di pagamenti conforme a tale ideale dovrà essere non rintracciabile. Mentre l’uso di carte di credito e bancomat può rivelare chi compie i pagamenti, un sistema alternativo come può strutturarsi? Il passaggio dalla teoria libertaria alla tecnica attuativa si compie nel 2009 con il bitcoin. Il nuovo sistema sarà decentralizzato, una valuta slegata da Stati e banche centrali la cui coerenza e affidabilità (chi garantisce la correttezza dei rapporti dare/avere senza una autorità superiore?) è legata alla tecnica stessa di complessi calcoli matematici.

Quale sia il rilievo di tale innovazione, di un sistema di pagamenti non rintracciabile  – anzi una pluralità: le cripovalute sono secondo una fonte, ben ventimila (sic!), con differenti caratteristiche e grandi di sicurezza – lo illustrano vari capitoli del testo.

Il primo e il terzo riguardano, rispettivamente, il terrorismo islamista e i narcotrafficanti. È chiaro che un sistema di pagamento non tracciabile è una manna per gruppi e forze al di fuori della legalità, con scopi considerati criminosi. Sorprende un po’ apprendere che l’attentato terroristico alla rivista satirica Charlie Hebdo il 7 gennaio 2015 sia il primo finanziato grazie a criptovalute, o leggere un documento in cui l’autore jihadista argomenta lucidamente sul loro uso per colpire i nemici. Una fonte citata riporta che secondo l’ONU il 5% degli attentati mondiali sarebbe finanziato grazie alle cripto – aggiungendo che altre stime fanno salire la stima al 20%! 

Tutto ciò, al di là del possibile utilizzo per obiettivi criminali, illumina la comprensione l’osservazione dell’autrice secondo la quale le potenzialità tecnologiche “sono state comprese dagli anti-Stati prima degli Stati”, e dai jihadisti prima di altri terrorismi. Ma anche dagli Stati fuori dall’orbita euro-atlantica, il che ci porta ai capitoli successivi, che ci guidano infatti al centro delle trasformazioni geopolitiche determinate dalle cripto: le guerre e i conflitti interstatali.

Il secondo capitolo esplora come tanto l’Ucraina quanto la Russia abbiano fatto uso delle criptovalute. Kiev è riuscita ad avere l’adesione delle comunità cripto, accumulando donazioni private per 225 milioni di $, di cui 125 nel primo mese di guerra. Poco rispetto ai copiosi rifornimenti da parte degli Stati UE e dagli Usa, ma in ogni caso da non sottovalutare per velocità. La Russia non è stata da meno, provvista di un know-how impareggiabile per l’uso dei luoghi più oscuri del web (a volte facendo concorrenza truffaldina agli ucraini, pubblicizzando loro canali per intercettare donazioni per Kiev!) anche per aggirare le sanzioni inflitte dal blocco euro-atlantico e facendosi aiutare dai nordcoreani. E non si tratta solo di autofinanziamento: gruppi di hacker fiancheggiatori o legati a Mosca hanno usato le cripto come remunerazione a chi infliggesse attacchi informatici ad infrastrutture critiche ucraine o di altri alleati. Come si vede, il criptoverso diviene un nuovo campo di battaglia accanto a terra, aria e mare e all’ambito digitale.

Il quarto capitolo, Guerra mondiale nel criptoverso, ci porta al centro della dinamica geopolitica per eccellenza, la sfida dei Brics all’ordine euro-atlantico, o meglio al gruppo di paesi alleati degli Usa, e al loro principale strumento di egemonia: il dollaro e il sistema finanziario legato ad esso. L’allargamento del ristretto gruppo di cinque potenze ad altri membri è uno dei processi più promettenti per un futuro multipolare, ed è noto il lavoro diplomatico per costruire un sistema di pagamenti alternativo. Nel testo si illustra come membri del gruppo quali Russia, Brasile, Iran stiano sperimentando in tale direzione, e che possiedano le capacità per creare una criptovaluta comune. Operazione indubbiamente complessa che non sappiamo quante realistiche possibilità abbia, ma il dato di fatto è che vari Stati, in testa la Russia, hanno orientato la propria legislazione verso una legittimazione del mondo cripto da quando la guerra in Ucraina ha reso le sanzioni rilevanti nel dibattito di attualità internazionale; soprattutto per il rischio che esse colpiscano anche coloro che continuano ad intrattenere rapporti con la Russia tramite triangolazioni e simili.

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In tutto questo gli Usa non stanno a guardare: a gennaio 2024 è arrivata luce verde a BlackRock per lanciare un fondo speculativo legato al bitcoin. La prima cripovaluta sbarca a Wall Street. Ulteriore fattore di deregolamentazione della finanza Usa? Mossa che vuole istituzionalizzare questo mondo consentendo ulteriori profitti in cambio del passaggio sotto una regolazione occidentale? La lettura che il testo propone è  quest’ultima: alla fine negli Usa si capisce l’importanza di questi elementi e si intende “affidare a BlackRock, Vanguard Group e gli altri giganti della finanza speculativa l’allunaggio degli Stati Uniti nel criptoverso”.

Il testo di Makdoum è quindi prezioso e per prepararsi ad un futuro che in potenza sta già plasmando le relazioni internazionali. Il percorso delle cripto è un po’ paradossale, partendo da una visione libertaria e divenendo strumenti per forze eversive e di Stati considerati autoritari nel mainstream euro-atlantico, fino a diventare armi che le potenze si puntano addosso l’un l’altra. Il testo è assai leggibile, salvo presupporre alcuni termini un po’ ardui (tipo “tokenizzare”) al lettore del tutto digiuno dal mondo cripto. Chiudono il volume tre brevi interviste (a un funzionario Interpol, a un anonimo funzionario Usa che lavora sui temi della sicurezza e al noto stratega Eduard Luttwak!) in cui ognuno dà il suo punto di vista sul fenomeno. Vere chicche finali sono, in appendice, due testi che hanno segnato questo percorso: il documento chiave del protocollo Bitcoin lanciato a gennaio 2009 dal misterioso Natoshi Sakamoto (probabilmente uno pseudonimo dietro a cui nessuno è mai riuscito a sapere chi si celasse) e la Dichiarazione di indipendenza del cyberspazio, un breve testo di John Balow che condanna il mondo reale come gerarchico e controllato mentre prefigura l’utopia del digitale come luogo di costruzione di un regno della libertà più umano e più bello rispetto a quello, delle multinazionali e delle leggi liberticide.

Un testo senz’altro da leggere, ma che va preso rispettandone la prospettiva: l’uso delle cripto nell’agone geopolitico, militare e di rapporti fra stati. Restano intatti tutti i dubbi su tali strumenti, che potremmo sommariamente esprime in due ordini di considerazioni. 

In primo luogo i sostenitori delle cripto ne parlano in termini idealistici ed entusiastici, sia per la positività delle loro conseguenze (in termini di libertà dei singoli) che dell’ampiezza del loro impatto; rivoluzione è un termine che ricorre spesso. Ma a parte l’uso per attività illegali e come strumento geopolitico, non piccola parte degli entusiasmi pare generata dalla prospettiva di arricchimento individuale, derivante tanto dalla speculazione sulla oscillazione del loro valore quanto dall’attività di mining – il compiere dei complessi calcoli per il funzionamento della criptovaluta, remunerata con la creazione di nuovi bitcoin. Come possiamo considerare il saldo fra l’arricchimento individuale e eventuali danni alla società – per esempio nella portata assai energivora del mining?

A livello più macro il punto è semplice: i più entusiasti sostenitori vorrebbero sbarazzarsi delle banche centrali (e pure dello Stato, già che ci siamo); come sarebbe una politica monetaria in cui le cripto riescono a scalzare in modo significativo le valute tradizionali? 

Ci sono tutti i motivi per pensare che un mondo modellato su tale utopismo anarco-libertario potrebbe essere molto problematico. Sia nelle piccole sperimentazioni che in prospettive più ampie i sistemi presentati come armonici, auto-organizzati escludendo gerarchie e autorità si sono dimostrati infondati, per cui non sarebbe troppo da stupirsi se le promesse più impegnative non fossero rispettate. Si tratta di prospettive ancora lontane, ma sarà bene iniziare una riflessione per tempo, soprattutto se è vero quello che il nostro testo asserisce: le cripto in ogni caso sono qui per restare.

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