Intervista a Gennarino De Fazio

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IL DUBBIO: Si a indulto e amnistia – Intervista a De Fazio

l 2024 si sta per concludere con 88 persone detenute e 7 poliziotti penitenziari che si sono tolti la vita. L’ultimo detenuto a morire era un ragazzo di vent’anni, nel carcere di Viterbo. Da sempre Gennarino De Fazio, segretario Generale del sindacato UilPa Polizia Penitenziaria, denuncia la precarietà delle nostre carceri. Come giudica l’anno appena trascorso all’interno del sistema penitenziario italiano? Le condizioni di vita detentive sono inaccettabili. Lo sono da sempre, ma quella di quest’anno è, senza dubbio, una situazione peggiore del passato. Sono condizioni inumane che pesano su chi è recluso e su chi, quotidianamente, lavora all’interno degli istituti. Vorrei ricordare che nell’ottobre del 2022 nel discorso di insediamento alle Camere di Giorgia Meloni, la Presidente citò espressamente l’inciviltà delle carceri sia per chi vi è detenuto, sia per chi vi lavora. E indicava il numero dei suicidi come elemento di riflessione collettiva. Vorrei far notare che all’ottobre di quest’anno, ma soprattutto ora, i suicidi rispetto al dato a cui faceva riferimento Meloni sono notevolmente aumentati. Ovvero: è aumentato il livello di inciviltà delle carceri.

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È evidente che questo governo ha ereditato almeno 25 anni di abbandono degli istituti da parte di tutte le forze politiche che si sono alternate alla guida del Paese, ma è anche vero che in due anni non solo non c’è stata una inversione di tendenza ma c’è stato un peggioramento. E non è una opinione, è la restituzione di tutti gli indicatori numerici. In questi giorni lei ha sottoscritto un appello promosso da venticinque tra giuristi, funzionari pubblici, docenti universitari e garanti per arrivare all’approvazione di una iniziativa di clemenza nelle carceri. È quindi d’accordo all’ipotesi di un provvedimento di amnistia o di indulto all’interno degli istituti come forma immediata di rimedio al sovraffollamento? Io sì, sono assolutamente d’accordo. Mi sembra l’unica soluzione percorribile e che possa avere un effetto in tempi ragionevoli. Abbiamo 16.000 detenuti oltre la capienza regolamentare, più di 18.000 unità mancanti alla polizia penitenziaria e carenze di ogni genere. È chiaro che bisogna deflazionare la densità detentiva. Io credo che questo sia sotto gli occhi di tutti e non può essere negato. Non lo negano neanche dal governo.

Ma si tratta di mettere in atto rimedi credibili. Per capirci, credo che il Commissario straordinario all’edilizia penitenziaria non servirà a nulla o a molto poco. In passato è già stata sperimentata questa strada con effetti fallimentari (da lì a poco ci sarebbe stata la sentenza Torreggiani e la condanna dell’Italia per trattamenti inumani e degradanti). È evidente che non ci possa essere un incremento della capienza detentiva, e d’altronde anche se riuscisse, bisognerebbe fare i conti con la mancanza di personale. L’unica misura che in questo frangente permette di intervenire drasticamente, per poi procedere con delle riforme complessive che possano stabilizzare il sistema (come del resto è specificato nell’appello), è un provvedimento di clemenza nei termini proposti. E questo al di là di qualsiasi convinzione ideologica. Sui suicidi in carcere c’è disparità tra i numero effetti e quelli del Dap. Nel 2020 lei dichiarò che era in atto un “oscurantismo dei dati reali da parte del Dap” sui contagi Covid. Ancheper i suicidi si può parlare di oscurantismo dei dati? Non lo so, non vorrei dire questo. Più che oscurantismo, mi pare ci sia una lettura asettica di quelle che sono le certificazioni del medico legale.

Mi spiego: è successo che un detenuto in un penitenziario del sud-Italia si fosse suicidato (secondo noi) ostruendo le vie respiratorie con la carta igienica. Per il medico legale pare che non sia evincibile direttamente il fatto che il detenuto volesse suicidarsi: potrebbe essere stata una causa accidentale. Quindi questa morte, come altre, viene inserita direttamente tra i casi da accertare. Ecco, io credo che il Dap dovrebbe fare uno sforzo maggiore che porti anche all’individuazione delle fenomenologie tipiche che precedono e conducono al suicidio. Voglio sottolineare, inoltre, il passaggio offensivo di quella nota in cui ci si riferisce al numero dei morti “per mera informazione statistica”. Peccato che qui non si sta parlando di statistica, ma di vite consegnate nelle mani dello Stato e che vengono spezzate. Come risponde a chi, come i cappellani degli istituti penitenziari lombardi, ha denunciato l’aumento degli eventi critici a seguito dell’interruzione della sorveglianza dinamica? Il fenomeno andrebbe indagato maggiormente, ma la correlazione sicuramente c’è con il sovraffollamento e quindi, di conseguenza, con l’insufficienza di tutti i servizi penitenziari che vengono offerti.

I servizi sono carenti già in condizioni normali, figuriamoci in questa situazione di sistematico sovraffollamento. Comunque, quando era stata declamata la sorveglianza dinamica (concepita, tra l’altro, quando vicecapo del Dipartimento era l’attuale parlamentare della Lega Simonetta Matone che disse che la sorveglianza dinamica era un concetto “di cui tutti si sono riempiti la bocca”), era stata spacciata per qualcosa che non è mai stata. Era una apertura generalizzata delle celle senza offrire ai detenuti un qualcosa con cui impegnare il tempo. E questo ha provocato una serie di effetti collaterali, tra cui soprusi di detenuti più forti a danno dei più deboli. Le cause dei suicidi possono essere molteplici, ma la ragione principale è un sistema penitenziario – o a celle aperte o a celle chiuse – diffusamente illegale. A proposito di soprusi, attualmente sono 200 i poliziotti penitenziari indagati per violenze nelle carceri italiane. Dopo i fatti denunciati nell’Ipm di Milano Beccaria, lei ha detto che la disfunzionalità del sistema incattivisce le coscienze generando atrocità da ambo le parti. C’è, secondo lei, una correlazione fra le condizioni di vita all’interno degli istituti e l’acuirsi di fenomeni di violenza a danno delle persone recluse? Il carcere è un generatore di violenza.

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È criminogeno e lo dimostrano tutte le inchieste in corso. Per argomentare meglio voglio anche dire che sono circa 3.500 quest’anno le aggressioni subite dagli operatori penitenziari da parte dei detenuti. Polizia che evidentemente è mal organizzata e mal gestita e si trova a operare in un sistema che non riesce a proteggere né i detenuti – come sarebbe doveroso – né le persone in divisa. Dopo il Beccaria ci sono state altre inchieste, l’ultima quella di Trapani e anche in quella occasione ho detto che non si può parlare di mele marce, ma di una cesta marcia che fa imputridire tutto quello che c’è dentro. È chiaro che, se non si interviene rispetto a tutti questi fenomeni degenerativi, si crea l’effetto Lucifero di Zimbardo. È impensabile che ci sia una premeditazione di base. È, piuttosto, l’intero sistema patogeno che induce alla degenerazione

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