Sempre più figli e sempre più perfetti, così la Silicon Valley progetta i bambini del futuro

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Elon Musk di figli ne ha almeno 11: si deve scrivere “almeno”, perché c’è chi ritiene che siano di più. Ma non è l’unico “pronatalista” negli Stati Uniti: un movimento sempre più diffuso e che ha come obiettivo proprio quello di fare più figli, per ostacolare così il declino del mondo occidentale.

Insieme a Donald Trump, il movimento sta per arrivare ufficialmente al governo. Jd Vance si è sempre dichiarato a favore, sostenendo in campagna elettorale che invece i democratici hanno idee ben diverse, fanno pochi figli, e semmai li adottano. Simbolo della deriva – secondo Vance – è ad esempio Taylor Swift, che propone una donna emancipata e “poco madre”.

Ma in realtà la moda “pronatalista” è molto più trasversale, sulla base del modo in cui la si concepisce: coinvolge Sam Altman di Open Ai, Peter Thiel e altri ricchissimi imprenditori, che finanziano start up per la fertilità o congelano il proprio sperma. Con una prospettiva estrema e inquietante, per alcuni: l’obiettivo è solo di far nascere più figli o di creare umani programmati per essere migliori? Non è che in qualche modo stiamo tornando all’eugenetica?

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La questione demografica

Non è un caso che la questione demografica sia tornata così di attualità in questi mesi. Da un lato, è un tema che ha una forte presa sull’elettorato. È ovviamente una bandiera conservatrice, che riveste la campagna per la vita di una veste fortemente identitaria. Dall’altro lato, è una questione che sta trasformando la mappa degli Stati Uniti. La maggioranza di bianchi non ispanici è percentualmente in diminuzione, mentre i latino americani sono in aumento.

Ma l’inverno demografico è anche una questione economica. Una popolazione sempre più vecchia richiede spese diverse e rischia di mettere in difficoltà il sistema previdenziale. Infine, c’è il confronto geopolitico. In effetti anche la Cina sta affrontando al suo modo la questione demografica, dopo anni in cui in ogni famiglia ci poteva essere al massimo un figlio. Da qualche anno si può arrivare a tre.

Sfumature diverse

A queste differenze corrispondono anche sfumature diverse all’interno del movimento pronatalista, fra chi semplicemente crede nella cosiddetta famiglia tradizionale, attraverso associazioni che conosciamo anche in Italia. Si passa poi da chi è contrario all’aborto. E si arriva a chi vede la riproduzione come fine politico prioritario, talvolta senza fare troppe distinzioni se il concepimento avviene in maniera naturale, in vitro o con la cosiddetta gestazione per altri.

Ma la battaglia per le nascite può diventare persino una campagna progressista, che interessa ad esempio la comunità Lgbtq+.

Talvolta, l’aspetto religioso è invece quello fondamentale, e le nascite cercate riguardano solo certe famiglie, escludendo le altre. Altre volte l’intento è di portare avanti un progetto messianico di altro tipo: quello di salvare il mondo facendo più bambini, attraverso appunto una missione che ben si sposa con altri aspetti, come ad esempio il progresso tecnologico a ogni costo o l’esplorazione spaziale. Ed è qui che la moda pronatalista trova terreno più fertile, soprattutto nella sponda ovest, dove sta la Silicon Valley.

La tecnocrazia autoritaria

In un articolo molto influente di quasi un anno fa, mesi prima della discesa in campo di Elon Musk a fianco di Trump, Adrienne LaFrance descriveva sull’Atlantic il movimento politico guidato da alcuni imprenditori della Silicon Valley.

«Il comportamento di queste aziende e delle persone che le dirigono è spesso ipocrita, avido e ossessionato dallo status», ha scritto. «Ma al di sotto di queste meschinità si cela qualcosa di più pericoloso: un’ideologia chiara e coerente che raramente viene identificata per ciò che è davvero: una tecnocrazia autoritaria. Man mano che le aziende più potenti della Silicon Valley sono maturate, questa ideologia è diventata sempre più forte, più autoreferenziale, più illusoria e – di fronte a critiche crescenti – più risentita».

LaFrance sottolineava come la Silicon Valley sia ancora un polo attrattivo per chi crede davvero nella missione di migliorare il mondo, spesso in buona fede. E ammette che anche le più avide società tecnologiche siano riuscite a costruire strumenti meravigliosi, spesso alla portata di tutti. Il problema è semmai che quegli stessi strumenti – su una scala più ampia – possono diventare anche «strumenti di manipolazione e di controllo».

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Il doppio risvolto è facilmente individuabile anche nel movimento pronatalista: da un lato, non c’è nulla di male nell’amore per la vita e magari nel cercare di trovare soluzioni tecnologiche per contrastare l’infertilità, o superare i limiti dell’orologio biologico. Dall’altro lato, sembra che ci sia chi voglia intervenire sui geni per perfezionare gli uomini del futuro, come se si stesse programmando l’algoritmo della prossima intelligenza artificiale. E questo, quanto meno, solleva questioni etiche di non poco conto.

Il manifesto

Il punto è lo stesso che ha sottolineato ancora LaFrance nel suo articolo, quando parlava della filosofia che regna nella Silicon Valley: c’è chi si fa guidare dal fondamento dell’inevitabilità, ovvero dall’idea che se qualcosa può essere costruita, allora vada fatta (e se non la faremo noi, la farà qualcun altro). Questo mito per il progresso risuona come una sorta di rivisitazione attualizzata delle teorie futuriste di Filippo Tommaso Marinetti, che non a caso continua a piacere molto anche alla destra italiana.

Marinetti è anche citato tra gli ispiratori del manifesto del tecno-ottimismo scritto da Marc Andreessen, fra i più importanti imprenditori tecnologici e venture capitalist (un grande finanziatore di start up).

Fra i punti messi come priorità c’è proprio la «crescita demografica»: «Le società sviluppate si stanno spopolando in tutto il mondo e in tutte le culture», si legge nel manifesto. «La popolazione umana complessiva potrebbe già essere in calo. L’utilizzo delle risorse naturali ha dei limiti netti, sia reali sia politici. Quindi l’unica fonte di crescita perpetua è la tecnologia».

E poi: «Riteniamo che il nostro pianeta sia drammaticamente sottopopolato rispetto alla popolazione che potremmo avere con intelligenza, energia e beni materiali in abbondanza. Riteniamo che la popolazione mondiale possa facilmente aumentare fino a 50 miliardi di persone o più, e poi andare ben oltre man mano che colonizzeremo altri pianeti».

«Siamo convinti che da tutte queste persone nasceranno scienziati, tecnologi, artisti e visionari che andranno oltre i nostri sogni più sfrenati. Crediamo che la missione ultima della tecnologia sia quella di far progredire la vita sia sulla Terra sia tra le stelle».

E anche: «Crediamo nella natura, ma crediamo anche nel superamento della natura. Non siamo primitivi, che si rannicchiano nella paura del fulmine. Siamo il predatore al vertice; il fulmine lavora per noi».

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Orchid

A dire il vero sembra che i grandi della tecnologia non vogliano pilotare solo i fulmini: in un certo senso il disegno è quello di sovvertire le leggi del caso che ancora governano la natura. Se esistono malattie ereditarie che si passano da una generazione all’altra, allora si possono testare geneticamente gli embrioni, fino a scegliere quali utilizzare per la fecondazione in vitro.

È esattamente ciò che promette Orchid, una start up di test genetici che chiede intorno ai 2.500 dollari per ogni embrione. E che ha ottenuto i finanziamenti di alcuni fra i più importanti investitori della Silicon Valley, attraverso uno slogan particolarmente efficace: «Have healthy babies» («Abbi bambini in salute»).

Testare gli embrioni significa in un certo senso gettare uno sguardo sul futuro dei propri figli, sfruttando il patrimonio di dati che può fornire l’analisi genetica: scoprire chi ha opportunità migliori di avere una lunga vita davanti a sé, o almeno di evitare la spada di Damocle di alcune malattie. Fra i clienti di Orchid ci sarebbe stato anche Elon Musk.

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Secondo i dati di PitchBook, citati anche dal giornale americano The Information, le aziende del settore hanno raccolto finanziamenti record nell’ultimo periodo: circa 400 milioni di dollari fra il 2021 e il 2023, mentre dieci anni fa si raggiungeva a stento la cifra dei 100 milioni.

Sempre secondo PitchBook, al momento non esistono grossi player che abbiano conquistato una posizione dominante del mercato. L’interesse – proprio perché così trasversale – sembra persino superiore all’attuale offerta. E Orchid è solo un esempio.

L’obiettivo è di rendere alcune pratiche – come la fecondazione in vitro, la maternità surrogata e la crioconservazione degli spermatozoi – una pratica sempre più diffusa e ovviamente remunerativa per cliniche e laboratori privati.

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Tutto questo ha ovviamente un particolare appeal per chi mette la carriera al primo posto, rimandando il momento di fare figli spesso a quando è troppo tardi.

Il dilemma morale

Il movimento pronatalista è insomma solo il lato più estremista di un sentimento ben più diffuso e che riguarda questioni etiche che possono riguardare i singoli o intere società.

Anche l’intelligenza artificiale rischia di rendere l’ingegneria genetica sempre più accessibile e dunque diffusa. Il dubbio morale è questo: e se riuscissimo davvero a programmare in anticipo i nostri figli, non vorremmo davvero risparmiargli il rischio di malattie congenite? In uno scenario ancora più fantascientifico, non vorremmo rendere i nostri figli più intelligenti o persino più belli possibile, almeno secondo i canoni più diffusi nelle nostre società?

Se la risposta istintiva è probabilmente un “no secco”, che non si gioca con la natura e con il principio della creazione, bisognerebbe immaginare questo scenario come se fosse davvero possibile. E contestualizzarlo non in un principio astratto, ma in una scelta che potrebbe riguardarci direttamente. Non più “qualsiasi figlio”, ma il “nostro figlio”. È così che il dilemma morale si fa più complicato.

Ed è questo che spinge i ricchissimi imprenditori della Silicon Valley a spendere sempre più soldi per trasformare la fantascienza in realtà.

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