“La guerra ai poveri di Meloni che rovina l’Italia”

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«Il Pd, con la segreteria di Schlein, sta raccogliendo sempre più consensi: i cittadini si rendono conto delle leggi assurde di questo governo e della sua assenza in ambito sociale. C’è spazio per l’opposizione per costruire un’alternativa»

Chiara Braga, Presidente del gruppo Pd alla Camera dei Deputati. Il 2024 sta per chiudere i battenti. Sono tempi di bilanci. Che anno è stato per il Partito democratico e per l’opposizione?
È stato l’anno della consapevolezza, quello in cui prendere atto delle condizioni in cui il governo più a destra della storia sta portando il paese e del ruolo fondamentale che può e deve svolgere il Partito democratico. È stato l’anno del consolidamento della segreteria di Elly Schlein. Un anno di prove elettorali importanti, dove abbiamo dato un contributo determinate all’argine contro le forze sovraniste in Europa, vinto elezioni amministrative importanti e mobilitato milioni di cittadini nelle regioni dove abbiamo votato. Il Pd è ora la forza intorno alla quale costruire l’alternativa. Non abbiamo nessuna presunzione di autosufficienza però è sempre più forte un clima di fiducia e speranza verso il Pd, figlio anche dello spirito unitario messo in campo dal nostro partito. Ora si tratta di continuare il dialogo con le altre forze di opposizione. E al tempo stesso di chiedere una mano alle migliori energie che attraversano il paese per battere le destre e scrivere una nuova pagina. Penso al mondo del volontariato e dell’impresa, al mondo della cultura e dei saperi, al civismo diffuso. Nelle campagne elettorali, nei territori, nei luoghi di lavoro e di formazione c’è gente che vuole partecipare al cambiamento, noi ci siamo. Purtroppo, è stato anche l’anno dell’intensificarsi delle guerre e dell’esplosione di nuovi conflitti. Questo non ci è, e non può esserci, estraneo.

Due anni di governo Meloni. Anche qui le chiedo un bilancio.
Un giudizio negativo senza appello. La legge di bilancio è l’ennesima prova di un governo privo di visione, chiuso nei palazzi, ossessionato dai complotti e incattivito dai fallimenti. Assistiamo a una continua mortificazione del Parlamento, al ricorso sconsiderato della decretazione d’urgenza con il record storico di decreti in due anni, alla gestione clientelare della cosa pubblica. Il tutto tenuto da un patto di potere fondato su tre obiettivi che puntano a scardinare l’assetto della Repubblica come l’abbiamo conosciuta finora: l’autonomia differenziata, il premierato e la riforma della giustizia. Al di là di quello che porteranno a casa – e noi faremo di tutto per impedirlo – anche solo con le loro continue spallate, hanno già fatto molto male al paese.

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C’è un disegno strategico, una visione dell’Italia, in tutto questo?
Vogliono spaccare il paese, cristallizzando le diversità, lasciando i territori al loro destino. Vogliono la donna solo al comando, con un’insofferenza totale a ogni organismo di controllo, svuotando le prerogative del Presidente della Repubblica, una figura altissima che ha sempre garantito stabilità ed è stata punto di riferimento fondamentale nei momenti più difficili, come durante la pandemia. E poi l’attacco senza precedenti alla magistratura, alla sua terzietà e indipendenza. Una riforma che punta ad assoggettare progressivamente il potere giudiziario a quello esecutivo, alimentando un clima di sospetto e delegittimazione e non risolvendo in alcun modo i veri problemi di funzionamento della giustizia, dal personale al dramma delle carceri.

Diversi analisti e commentatori politici sostengono che con questa opposizione, così divisa e rissosa al proprio interno, Giorgia Meloni può dormire tra due guanciali.
È un giudizio superficiale e di comodo. Giorgia Meloni è ancora forte e gode ancora di un consenso legato per lo più alla sua persona. Ma intanto assistiamo a un lento logoramento del gradimento dei membri del suo governo e all’esaurirsi del giudizio positivo nei loro confronti e nell’operato dell’esecutivo. Tutti gli appuntamenti elettorali di quest’anno hanno segnato una diminuzione consistente dei voti per FdI e per i partiti della destra. Anche quando hanno vinto, tra astensione e voti alle opposizioni, si registra un calo significativo. Ogni giorno sono meno credibili: il “meraviglioso mondo” della Meloni, quello raccontato occupando social e tv non esiste, e questo gli italiani lo sanno. Un euro e mezzo di aumento delle pensioni, mentre si sprecano 800 milioni di euro per i centri di detenzione degli immigrati in Albania vuoti da mesi, è uno schiaffo in faccia a milioni di persone che ogni giorno devono fare i conti con l’aumento del carrello della spesa, dei costi dell’energia, delle prestazioni sanitarie private a cui sono costretti a ricorrere se non vogliono rinunciare a curarsi, come già fanno 4,5 milioni di italiani.

Il che porta a quale conclusione?
Questo vuol dire che c’è spazio per le forze di opposizione per costruire l’alternativa cominciando con il riportare al voto quanti hanno deciso di non farlo. Non è un percorso facile e neanche scontato, ma dobbiamo farlo per dare al paese una speranza. Al Partito democratico, in quanto principale forza di opposizione, spetta il compito di fare da punto di riferimento e baricentro valorizzando le diversità, le risorse e le potenzialità all’interno di una coalizione alternativa. È un progetto a cui sta lavorando con grande determinazione la segreteria di Elly Schlein e a cui anche noi in Parlamento diamo ogni giorno il contributo.

Lavori poveri, precarizzazione diffusa, tagli alla sanità pubblica: la lotta alle diseguaglianze e per i beni comuni non dovrebbe essere il centro dell’agire politico della sinistra?
Esattamente, è intorno a un’altra idea di paese che si costruisce l’alternativa. Giorgia Meloni ha condotto in questi due anni una battaglia contro i poveri, contro i fragili, contro la parte più in difficoltà del paese. A noi spetta il compito di restituire all’Italia fiducia e speranza nel futuro. Tuttavia, sappiamo che non basta la denuncia delle loro contraddizioni e inadeguatezze, e la ferma opposizione alle loro scelte pericolose e fallimentari. Serve piuttosto la capacità di proporre un’alternativa. Non partiamo da zero. C’è stata una battaglia forte in questi mesi contro la loro legge di bilancio, una manovra ingiusta che taglia servizi, non finanzia la sanità pubblica, non aumenta né salari, né pensioni. Non investe sulla scuola, sull’università e la ricerca e non aiuta settori essenziali della nostra economia come l’automotive che dovrebbe essere accompagnato nella transizione tecnologica. Con la manovra Meloni, gli ultimi saranno sempre più soli e abbandonati. Mentre i furbetti dei condoni, più ricchi e protetti. Intanto va avanti la battaglia comune sul salario minimo: la scorsa settimana abbiamo consegnato alla Camera le firme per una legge d’iniziativa popolare. Non ci fermeremo, chiederemo di calendarizzare la legge già a gennaio e prima o poi Meloni dovrà riconoscere che sotto i 9 euro non è lavoro ma sfruttamento. C’è una strategia precisa per indebolire il lavoro: lo vediamo nella crescita della precarietà nel continuo attacco ai sindacati, teso a far saltare il sistema di relazioni industriali per come lo conosciamo. Non interventi episodici ma continui, verso tutti quei settori che provano a contrastare il loro disegno reazionario.

Altro?
Noi continueremo senza sosta nella difesa della sanità pubblica: questo governo sta portando al minimo storico gli investimenti in sanità rispetto al Pil, a fronte di una popolazione che invecchia e che avrà sempre più bisogno di una sanità territoriale pronta ed efficiente. Il Partito democratico continuerà a battersi contro i tagli che stanno affossando la sanità pubblica universalistica e contro la privatizzazione strisciante che questa destra sta portando avanti. Perché noi abbiamo un’idea di società dove nessuno deve sentirsi solo di fronte ai problemi, nessuno deve rimanere indietro, le difficoltà e le fragilità non sono una colpa o qualcosa di cui vergognarsi. Noi abbiamo un’idea della cura che non è un peso individuale o familiare come pensa la destra, bensì la prima e più grande responsabilità collettiva.

Il 2024 ci lascia un mondo in guerra, dall’Ucraina al Medio Oriente.
È la grande angoscia di questi anni: la guerra mondiale a pezzi, ogni tanto se ne aggiunge un tassello, dall’Ucraina a Gaza, dalla Siria al Libano. Quello che spaventa non è solo il moltiplicarsi dei conflitti e la destabilizzazione dovuta al protagonismo di personaggi poco inclini al dialogo, ma anche il ridimensionamento del ruolo dell’Europa e dentro questa di Paesi che, insieme al nostro, per decenni hanno garantito stabilità, come Francia e Germania. In questa situazione di incertezza, l’Italia spicca per assenza. Non c’è stato un solo dossier su cui il nostro governo abbia fatto sentire la sua voce. Nel giro di un paio d’anni ci siamo giocati la credibilità della più forte forza diplomatica nel Mediterraneo. Non una sola volta la Meloni, che quest’anno era anche a capo del G7, ha imposto le ragioni del cessate-il-fuoco e del dialogo. Anche in questo caso la destra ha un’idea privatistica della politica internazionale: alla fine ognuno gioca la sua partita basandosi sulla forza e sulle proprie capacità. Noi invece pensiamo che è indispensabile, oggi più di ieri, ribadire la scelta per una politica multilaterale e per la difesa delle organizzazioni internazionali che ne sono lo strumento, ed esigere una maggiore incisività, dell’Italia e dell’Europa, come forze promotrici del dialogo e della cooperazione internazionale. Per costruire un futuro di pace, perché le ragioni dell’odio e della guerra non possono avere la meglio.



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