Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza n. 34808 depositata il 16 settembre 2024
bancarotta documentale – testa di legno
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Campobasso confermava la sentenza del Tribunale di Isernia del 13.04.2022 che condannava G.D. alla pena ritenuta di giustizia, per il reato ascritto al capo D) di bancarotta fraudolenta patrimoniale in concorso con G.M., che definiva la posizione ai sensi dell’art.599 bis cod. proc. pen. con il concordato in appello con rinuncia ai motivi, consistito nell’avere, quale amministratore di diritto della B&G New Tec s.r.l. dal 15.05.2013 alla data del fallimento, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori e di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, distratto, compiendo atti pregiudizievoli per i creditori, beni strumentali pe l’impresa pari ad euro 2.289,33 (3 PC, 2 fotocamere, tende da sole), non facendoli rinvenire al curatore in sede di inventario, né facendo rinvenire il relativo controvalore ovvero dimostrando la destinazione dello stesso al patrimonio aziendale.
2. Contro l’anzidetta sentenza, l’imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, Avv. G. C., affidato ad un unico motivo, qui di seguito sintetizzato nei limiti di cui all’art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo ed unico motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) proc. pen. deducendo manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato conseguente ad erronea applicazione della legge penale, in punto di ritenuta sussistenza della penale responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale quale amministrator di diritto della B&G New Tee s.r.l., nonostante l’esistenza di un amministratore di atto, per avere la Corte territoriale desunto la consapevolezza della esistenza dei beni oggetto della distrazione dal libro dei cespiti, e ritenuto gravante sul fallito la prova della loro legittima fuoriuscita dal patrimonio sociale; deducendo omessa adeguata valutazione della disponibilità da parte della società fallita dei beni strumentali alla data in cui l’imputato assunse la carica di amministratore di diritto ella società ed omessa valutazione delle contro-ipotesi alternative formulate dalla difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il ricorso ripropone in sostanza censure già sviluppate in appello riconducibili all’assenza dell’elemento psicologico del reato contestato al capo D, rivestendo il ricorrente il ruolo di amministratore di diritto della società fallita solo in via Le deduzioni svolte, meramente reiterative, non ravvisandosi vizi rilevanti nel percorso logico-argomentativo dei giudici di appello, che hanno ricavato la consapevolezza del ruolo svolto e dell’attività illecita della società da precisi elementi, idonei al fine di dimostrare l’elemento psicologico in capo all’imputato.
All’uopo, va premesso, che i giudici d’appello hanno fatto corretta applicazione dei principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta, l’amministratore di diritto risponde unitamente all’amministratore di fatto per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire, essendo sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo svolga attività illecita, la quale non può dedursi dal solo fatto che il soggetto abbia accettato di ricoprire formalmente la carica di amministratore; tuttavia, allorché, si tratti di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) o l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale) possono risultare sufficienti per l’affermazione della responsabilità penale.
Specificamente, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, poi, l’amministratore di diritto risponde di tale reato, anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’ amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari.
Inoltre, in tema di bancarotta fraudolenta, per integrare il dolo dell’amministratore di diritto è sufficiente la generica consapevolezza, pur non riferita alle singole operazioni, delle attività illecite compiute dalla società per il tramite dell’amministratore di fatto, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto che come dolo eventuale (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Rv. 271754) (Sez. 5, Sentenza n. 19182 d I 31/01/2022, Rv. 283136 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 32413 del 24/09/2020, Rv,’: 279831 – 01; Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015, Rv. 262767; Sez. 5, sentenza n. 38712/2008 e Sez. 5, Sentenza n. 17670 del 2011).
Tanto premesso, va rilevato che la Corte territoriale sottolinea che i motivi di impugnazione riguardavano la omessa valutazione da parte del Tribunale del breve arco temporale (36 giorni) in cui il G.D. ha ricoperto la qualifica di amministratore di diritto della società fallita, la assenza di elementi per ritenere che i beni asseritamente sottratti fossero ancora nella disponibilità ella B&G New Tee s.r.l. alla data di assunzione della carica da parte del medesima e lo stato e le condizioni del luogo adibito a sede della società (garage abbandonato), da indurre a ritenere che in quel luogo i beni non fossero mai stati custoditi con conseguente esclusione da parte del G.D. sia del possesso che della consapevolezza di fatti illeciti dell’amministratore di fatto all’epoca.
La Corte territoriale con motivazione corretta ed immune a censure di illogicità, richiamando interamente la sentenza del Tribunale, ha ritenuto irrilevanti la brevità della durata della carica di amministratore in capo al G.D., nonché le deduzioni difensive sulla assenza di prova della disponibilità dei beni fraudolentemente distratti da parte della società fallita e le evidenze fattuali, quali le condizioni e lo stato della sede della società (garage abbandonato), suggestive della dimostrazione che non vi fossero mai stati custoditi, che l’imputato non avesse mai avuto il possesso né che fosse stato consapevole della loro esistenza sussistendo un preciso onere di dimostrazione in capo all’amministratore della loro destinazione, nella specie al G.D., che non ha mai escluso di avere piena contezza della sua qualità di legale rappresentante e amministratore di diritto della società, in assenza di alcuna indicazione offerta dallo stesso nonché fondando la sua responsabilità sugli artt.110 e 40, comma 2, cod. pen. (Sez. !5, Sentenza n. 17228 del 17/01/2020 Rv. 279204 – 01).
A fronte di tale motivazione, il ricorso risulta generico, ponendosi in termini meramente contestativi di quanto ricostruito in sentenza, sottolineando la qualifica formale di amministratore di diritto in capo al G.D. e la presenza di un amministratore di fatto, invocando una diversa valutazione dei fatti, in termini del tutto inammissibili alla luce della motivazione adottata dai giudici di merito che appare congrua e priva di illogicità manifeste, peraltro in “doppia conforme”.
Invero, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le sentenze di primo e secondo grado possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, Sentenza n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
2.1 Entrambi i giudici del merito hanno ricavato la consapevolezza dell’imputato dell’attività illecita svolta dalla società e dall’amministratore di fatto non dal ruolo formale di amministratore, rivestito dall’imputato, bensì sulla base dei doveri di vigilanza gravanti sulla posizione di garanzia di cui è investito, rilevanti ai sensi dell’art. 40 cod. pen., per non essere intervenuto ad impedire la realizzazione dei reati da parte dell’amministratore di fatto, imponendo l’art.2392 cod. civ., in via di principio generale, che il legale rappresentante si attivi in presenza di atti pregiudizievoli, nonché sulla base delle concrete conoscenze dello stesso, valorizzate dalla Corte territoriale, – oggetto di accertamento di merito solo genericamente contestato in ricorso e comunque privo di profili di illogicità – che ha ritenuto la consapevole partecipazione del G.D. alla distrazione fraudolenta dei beni di cui al capo D.
Deve sicuramente escludersi che l’attribuzione di responsabilità al G.D. si fondi sulla mera posizione di garanzia dipendente dal ruolo di amministratore della società, sia pure per un breve arco temporale, giacché la stretta correlazione tra la bancarotta fraudolenta patrimoniale e la bancarotta documentale semplice contestata al capo A in relazione al quale è stata emessa declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione consentono di valorizzare la consapevolezza di quest’ultima per illuminare l’elemento psicologico che sorregge il consapevole concorso nella seconda (Sez. 5, Sentenza n. 19182 del 31/01/2022, Rv. 283136 – 01).
Ne consegue l’inammissibilità del motivo, per quanto ribadito anche dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtellì Rv. 268823),
in ragione del principio per cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
Invero, nel caso in esame, il motivo si limita a riprodurre le censure dedotte in appello, solo con il riferimento in premessa alla richiesta di annullamento della sentenza impugnata, difettando del tutto di critica argomentata avverso il provvedimento ‘attaccato’ e dell’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico-giuridico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo e altri, Rv. 254584).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesimo consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila i!n favore della Cassa delle Ammende.
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