Anche quest’anno la Fornero si cambia l’anno prossimo

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Carta di credito con fido

Procedura celere

 


L’ultima volta di Matteo Salvini alle prese con la legge Fornero risale a settembre, se non mi sono distratto, quando ha annunciato che sarà smantellata entro la legislatura. Comunque un passo avanti. Tredici anni dopo la riforma delle pensioni del governo Monti, firmata da Elsa Fornero nel dicembre del 2011, gli intenti bellicosi del capitano leghista sembrano perdere di mordente: si sposta la notte, o la frontiera, più in là.

Addio alla trincea, e viene anche un po’ da ridere. Secondo una corposa ma non esaustiva collezione, nella sue varie esperienze di governo Salvini ha promesso di abolire la legge Fornero al primo Consiglio dei ministri, entro le prime settimane, entro i primi cento giorni, entro il primo anno, di smontarla pezzo a pezzo, mattone dopo mattone, sarebbe stato un piacere, sarebbe stato un dovere, un dovere morale, un impegno sacro e, quanto all’autrice, sarebbe stata messa in ginocchio sui ceci, esiliata, mandata su un’isola deserta, su un barcone, a pane e acqua, senza stipendio e senza pensione: tutto testuale. 

Tredici anni dopo, la legge Fornero è ancora lì e ne conosciamo le ragioni e meglio di chiunque le ha spiegate un leghista a cui il capitano Salvini dà poco ascolto, purtroppo: il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. “Senza le riforme Maroni, Sacconi e Fornero, oggi l’Italia spenderebbe sessanta miliardi in più all’anno, il 3 per cento del pil, e avrebbe molti meno occupati”. Dichiarazione di inizio luglio, quasi sei mesi fa. E che spiega perché neanche a questo giro la riforma Fornero è stata non dico smantellata, non dico smontata, secondo il vocabolario salviniano, ma nemmeno superata o aggiustata o riformata. 

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Eppure nessuno riesce a togliere dalla testa di Salvini l’idea che fra le urgenze degli italiani ci sia quella di andare in pensione prima. E nonostante le sue quote, la cento e la centotré, e non ricordo se ci siano state una centuno e una centodue, ma una quarantuno sì, sono durate il tempo di un giro di giostra, e l’ultimo giro è contenuto nella legge di bilancio che sta per essere approvata, con l’anticipo della pensione per chi abbia compiuto 64 anni e sia titolare di questo e quel requisito (leggete qui la nostra notarella): in totale, un centinaio di persone.

Qui lo abbiamo scritto spesso: questa storia dell’urgenza di andare in pensione in anticipo è mitologica. Si era previsto che nel 2023, con quota centotré, sarebbero andati in pensione anticipata 41 mila lavoratori, e sono stati 24 mila; nel 2024, previsti 17 mila, forse non si arriva nemmeno a 10 mila. 

Probabilmente la Lega, e l’intera maggioranza di governo, dovrebbero preoccuparsi non tanto o non soltanto delle pensioni di oggi ma di quelle di domani. La questione è la solita: come reggerà l’Inps all’aumento dell’aspettativa di vita e al costante calo demografico, ossia, detto facile, a una società con sempre più anziani e sempre meno giovani? La risposta, lo sanno tutti, è nell’immigrazione, specialmente se gestita con una generosa politica di flussi: lo dicono Confindustria, l’Istat, lo stesso Inps, e persino qualche rapporto ministeriale dell’attuale governo.

L’ipotesi di puntare sulla natalità appare non soltanto debole (l’esperienza francese insegna che si può aumentare di qualche decimale il numero medio di figli per madre, però non in quantità decisiva e a costi elevatissimi) ma anche a termine molto lungo. Gli immigrati, invece, arrivano adesso. Non è un discorso così innovativo. Eppure, proprio pochi giorni fa, un paio di giornali più vicini al governo hanno derubricato a illusione la speranza che saranno anche gli immigrati a pagare le pensioni dei prossimi anni. Al contrario, è stato detto, finiranno col costarci più di un po’: oggi guadagnano poco, versano poco, eppure la pensione varrà anche per loro. 

Il ragionamento sta in piedi solo in parte ma non è del tutto sbagliato. Un immigrato guadagna in media 13 mila euro l’anno, mentre un italiano 20 mila. Non del tutto sbagliato ma comico assai: siccome paghiamo agli immigrati stipendi ridicoli, versano pochi contributi, e poi magari vogliono pure la pensione. Ecco servono più immigrati e servono stipendi dignitosi, senza aspettare che ci pensi Babbo Natale. 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Microcredito

per le aziende

 

Source link