Vi spiego i nuovi conflitti per l’acqua. Parla Tocci (Iai)

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La carenza di acqua è sempre stata causa di conflitti. Ma oggi le tensioni si sono fatte ancora più forti perché la scarsità idrica sta aumentando. Conversazione con Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, pubblicata sulla rivista Start Magazine

L’acqua, elemento vitale per ogni forma di vita, ma anche per il benessere economico e la stabilità delle società e delle nazioni, sta diventando una risorsa sempre più scarsa a livello globale. Le conseguenze di questa crisi idrica, di cui misuriamo quotidianamente la sua crescente gravità, si ripercuotono non solo sull’ambiente e sulle economie nazionali, ma anche sulla stabilità geopolitica mondiale. Per discutere questo aspetto globale della grande questione della scarsità d’acqua abbiamo intervistato Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali e docente in diverse università europee come l’European University Institute e l’Università di Tubinga in Germania.

La prof.ssa Tocci ha alle spalle anche una intensa esperienza a Bruxelles come special adviser dell’Alto rappresentante dell’Ue Federica Mogherini e di Josep Borrell. Con lei esploreremo le implicazioni di questa emergenza, analizzando i conflitti potenziali, le migrazioni di massa e le nuove dinamiche di potere che potrebbero emergere.

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La scarsità d’acqua è una delle principali sfide globali di questa complessa fase storica. In che modo essa può portare a conflitti tra nazioni o all’interno delle nazioni stesse?

C’è da fare una premessa: la scarsità idrica è sempre stata un problema e una causa di conflitti. Basti pensare al Medio Oriente e alla questione israelo-palestinese. La condivisione delle risorse idriche è stata un argomento del conflitto ma anche un elemento negoziale. Il processo innescatosi durante la Conferenza di Madrid nel 1991 diede vita agli accordi di Oslo del 1993, in quel caso la questione idrica fu una dimensione dei negoziati e del processo di pace.

Quindi la scarsità di acqua è sempre stata causa di conflitti e, mi verrebbe da dire, sempre lo sarà. Cos’è che oggi la rende diversa e quindi potenzialmente molto più pericolosa? Il fatto che questa scarsità idrica sta aumentando. Ad aggravarla intervengono vari fattori. Da un lato ci sono i motivi legati ai cambiamenti climatici, agli eventi meteorologici estremi e al degrado ambientale, che va a intaccare la qualità delle acque. Dall’altro lato si registra un aumento di domanda d’acqua in settori economici come l’agricoltura e quello energetico. Pensiamo alle tecnologie che usano l’idrogeno che, sebbene siano ancora in fase embrionale, generano un enorme consumo di acqua. Alla pressione economica si somma quella demografica in alcune aree geografiche. È un fattore che nella nostra parte di mondo percepiamo meno, giacché viviamo una fase di declino demografico, ma in altre regioni – e cito soprattutto l’Africa – la richiesta di acqua è in forte aumento per la popolazione. Dunque, da un lato abbiamo una offerta che si riduce, dall’altro una domanda che aumenta in un contesto in cui l’acqua è e sarà sempre a un tempo dimensione di potenziale conflitto e potenziale pace: è evidente che ne viene fuori un cocktail esplosivo.

Quali sono le conseguenze sociali ed economiche della scarsità d’acqua? Che impatto ha questo problema sui flussi migratori?

Anche qui è necessario fare una riflessione più ampia, non specifica all’acqua ma che riguarda generalmente i beni pubblici. Vi rientra l’acqua, ma anche ad esempio l’energia o la sanità. La scarsità di una determinata risorsa – dall’acqua ai vaccini, per intenderci – tende a colpire maggiormente classi sociali o geografie che hanno minori possibilità. È dunque un discorso generale che interviene per spiegare il fenomeno delle migrazioni e che vede il nesso tra diseguaglianza e risorse o beni pubblici. Questo contesto generale si ripercuote sia all’interno dei singoli paesi che, naturalmente, nei rapporti internazionali. Sul versante internazionale, il tema della scarsità idrica riguarda un po’ tutti, ma in particolar modo quelle regioni che da un lato sono più colpite dai cambiamenti climatici, e dunque vedono aumentare la scarsità della risorsa acqua, e dall’altro registrano un aumento demografico. C’è un solo continente che ha questa combinazione letale: l’Africa. La scarsità idrica in questo caso non è necessariamente una causa diretta, ma funge inevitabilmente da amplificatore dei flussi migratori. Su questo punto però è necessario fare una puntualizzazione per evitare il rischio di alimentare demagogia: i flussi migratori riguardano principalmente l’Africa stessa e hanno a che fare con spostamenti interni, in grandissima parte dalle aree rurali, maggiormente colpite dai problemi che citavo prima, a quelle urbane. Una minima parte, su cui si concentra il dibattito politicizzato da noi, riguarda flussi dal sud al nord.

A rendere incerto il futuro dell’acqua è anche la competizione fra potenze. Quali strategie geopolitiche vengono attuate per mitigare i conflitti legati all’acqua?

Innanzitutto, quello che colpisce in questo contesto di competizione geopolitica è il modo in cui le due principali potenze – Stati Uniti e Cina – enfatizzano i propri investimenti nel settore idrico. Questo credo che sia un dato interessante perché testimonia un riconoscimento implicito ed esplicito del valore dell’acqua nel contesto di scarsità della risorsa che abbiamo descritto sinora. Se valutiamo gli impegni dell’amministrazione Usa da un lato e del governo cinese dall’altro, giungiamo a somme davvero importanti. Per gli Usa presumibilmente si aggirano attorno ai 125 miliardi di dollari, mentre per la Cina arriviamo a 175 miliardi di dollari, in un orizzonte temporale ristretto solo fino al 2035. Si tratta di ingenti investimenti nelle infrastrutture idriche realizzati da due superpotenze consapevoli che l’acqua è una risorsa che ha un valore e che quindi si innesta in un contesto di scontro geopolitico.

Per quanto riguarda invece l’azione e gli sforzi delle grandi potenze per mitigare questi conflitti direi che stanno, ahinoi, facendo molto poco. Qui però è utile estendere la riflessione a dimensioni che vanno oltre il tema dell’acqua. Perché in verità è come se noi stessimo attraversando una trasformazione sistemica. Un tempo vivevamo in un mondo in cui c’era un solo poliziotto, gli Stati Uniti, che volente o nolente era il primo paese chiamato in causa per risolvere o mitigare i conflitti. A volte ci riusciva, altre no e altre ancora finiva con il complicare ulteriormente le situazioni: ma era l’unica superpotenza riconosciuta. Ora invece viviamo in una condizione in cui manca un chiaro responsabile, un poliziotto riconosciuto, una potenza che viene responsabilizzata a gestire i conflitti. In questa situazione accade che quando emergono conflitti in grado di occupare l’attenzione primaria dei media – penso all’Ucraina, a Gaza, un domani a Taiwan o al Mar cinese Meridionale – allora naturalmente queste superpotenze sono le prime a entrare in gioco. Quando invece i conflitti sono geopoliticamente di secondo livello, cioè non attraggono tanto l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, come sono ad esempio quelli che si sviluppano in Africa, le superpotenze li ignorano. Ma sono proprio questi i conflitti che hanno una dimensione idrica molto pronunciata. Pensiamo alla guerra in Sudan tra i due gruppi del Consiglio di sovranità di transizione, l’esercito sudanese e le Rapid Support Forces, alle diverse crisi nell’Africa centrale, alla situazione ad Haiti: in tutti questi conflitti nessuno si assume la responsabilità di fare qualcosa.

Come possono i governi e le organizzazioni internazionali collaborare per gestire meglio le risorse idriche?

Le organizzazioni internazionali che si occupano di tutela dell’acqua e delle sue implicazioni sono le varie agenzie dell’Onu. Mi riferisco a quelle che si che si occupano della protezione degli oceani, o tutelano i settori dell’agricoltura o affrontano i problemi e i drammi legati alle migrazioni. Pensiamo all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), il Programma alimentare mondiale (Pam/Wfp) e il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad). Queste si occupano di tutto quello che è connesso al cibo, all’agricoltura, all’emigrazione. Sono organizzazioni che affrontano i problemi della scarsità dell’acqua in tutti i suoi nessi, e sono tutte agenzie dell’Onu. E di conseguenza soffrono una fase come quella che stiamo attraversando, in cui, proprio alla luce della rinnovata conflittualità geopolitica, si assiste a un loro svuotamento, a un’erosione del loro potere di azione e intervento. Su di loro si ripercuote lo stallo geopolitico. Riallacciandoci alla domanda precedente, viviamo una situazione drammatica, perché da un lato è venuto a mancare un attore politico che si assume la responsabilità di gestire e provare risolvere i conflitti legati alle risorse (acqua compresa), dall’altro quelle organizzazioni che in qualche modo dovrebbero implementare strategie e politiche mirate alla risoluzione dei conflitti non sono messe nella condizione di operare. E quindi il problema aumenta.

C’è poi il fenomeno dello sfruttamento irriguo nei paesi più poveri da parte di fondi sia privati che statali, il cosiddetto Water and Land Grabbing. Quali sono le motivazioni che spingono tali fondi a investire in terreni agricoli nei paesi in via di sviluppo e nei Brics?

Ci sono sempre state aziende internazionali che hanno investito finanziariamente su risorse naturali, come ad esempio accaduto per gli idrocarburi o i minerali critici, in paesi più fragili o a economie emergenti. Questo è un fenomeno che è sempre accaduto e vale anche per l’acqua. Non dispongo tuttavia di dati o informazioni specifiche per poter dire, riguardo alla risorsa idrica, se siamo di fronte a un fenomeno in crescita o se non vi sia stato più semplicemente uno spostamento di settori nei quali tali aziende e fondi investono. Sta accadendo proprio nel mercato dei minerali critici, che attirano investimenti che si estendono all’acquisto dei terreni connessi, e questo è determinato dallo sviluppo di una catena del valore legata alle tecnologie rinnovabili. Per quanto riguarda la risorsa idrica in maniera specifica, non ho però dati per esprimere una valutazione accurata.

Come influisce la gestione delle risorse idriche sulla stabilità politica in aree come il Medio Oriente e l’Africa Sub-Sahariana?

Nel Medio Oriente abbiamo avuto molti casi di conflitti legati alle risorse idriche tra paesi, meno casi in cui essa ha rappresentato un fattore di proteste all’interno dei paesi. È vero che in Siria uno dei fattori scatenanti la guerra civile nel 2011 è stato quello del cibo, ma la questione era più legata all’aumento dei prezzi dei beni alimentari che al tema della scarsità della risorsa acqua. Restando in Medio Oriente c’è invece un tema iracheno che ha molto più a che fare con il degrado ambientale: la scarsità idrica causata anche dal prosciugamento dei fiumi Tigri ed Eufrate. Un fenomeno che sta rendendo vaste aree dell’Iraq sostanzialmente non abitabili e che sta generando tensioni.

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Diverso è il caso dell’Africa, in particolare dell’Africa centrale. Anche perché qui ci troviamo davanti non solo a un problema di cattiva gestione della risorsa idrica scarsa, possiamo chiamarlo un malgoverno dell’acqua, ma a un problema di malgoverno tout court. Perché nel caso africano la scarsità della risorsa non spiega da sola le enormi crisi che si succedono, è che tale scarsità viene pure gestita male.

Ci sono aree geografiche che stanno gestendo bene la loro scarsità d’acqua e che possono essere considerate dei modelli per aree che invece soffrono più drammaticamente tale problema?

Riprenderei l’esempio delle attuali due maggiori potenze, gli Stati Uniti e la Cina. I loro investimenti massicci nelle infrastrutture idriche, per quanto ancora troppo recenti per poter dire se funzioneranno per gestire bene l’emergenza, mi paiono molto interessanti. E sono di sprone non solo per Paesi che immaginiamo da sempre più colpiti, ma anche per l’Europa e per l’Italia stessa. Come dicevo, ci mancano ancora dati e informazioni per valutare l’efficacia degli investimenti americani e cinesi, ma certo è una strada giusta, che anche un Paese assetato come il nostro dovrebbe perseguire. Quel che possiamo dire a oggi è che quelle di Usa e Cina sono sicuramente delle performance migliori rispetto a quelle europee dove, in proporzione, gli investimenti sono di gran lunga più esigui. Cina e Stati Uniti non saranno Paesi perfetti, ma sul tema della scarsità dell’acqua se la stanno cavando molto meglio di noi.

(estratto di un’intervista contenuta nell’ultimo numero della rivista Start Magazine)



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