Domenico Pace libero con un permesso premio di 6 ore

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La decisione di concedere a Domenico Pace, condannato per l’assassinio del giudice Rosario Livatino, un permesso premio di sei ore ha fatto molto parlare. Pace, appartenente alla Stidda di Palma di Montechiaro, è stato protagonista di uno dei crimini più cruenti degli anni ’90. Dopo 35 anni di carcere, la sua richiesta di un breve allentamento della pena è stata accolta dal tribunale di Sorveglianza de L’Aquila, sebbene la decisione abbia suscitato un ampio dibattito sull’opportunità di tale concessione.

Il percorso giudiziario e la posizione della procura

La decisione di concedere il permesso premio è stata presa dal tribunale sulla base del comportamento di Pace durante il periodo di detenzione. Gli esperti hanno notato come l’individuo non abbia cercato di riprendere legami con la criminalità organizzata, e che non ci siano riscontri che suggeriscano nuovi contatti con altri membri della mafia. Tale evoluzione ha portato Pace a intraprendere un cammino di riabilitazione che lo ha spinto a scrivere lettere in cui si scusava per le sue azioni passate.

Nonostante ciò, la Procura generale ha contestato fermamente la decisione, considerando la concessione prematura e fuori luogo. Secondo l’accusa, un personaggio con un passato mafioso di tale portata non dovrebbe beneficiare di alcun vantaggio, soprattutto considerando la gravità del crimine commesso. La Cassazione, però, ha respinto il ricorso, lasciando intatta la scelta dei giudici aquilani.

Il passato mafioso di Domenico Pace

Domenico Pace è stato uno dei più noti esponenti della Stidda, un’organizzazione criminale che ha avuto un ruolo centrale nelle dinamiche mafiose siciliane negli anni ’80 e ’90. La sua condanna per l’assassinio di Rosario Livatino, avvenuto nel 1990, è stata uno degli eventi che ha segnato la lotta contro la mafia. Livatino, un magistrato noto per il suo coraggio nell’affrontare la criminalità organizzata, è stato ucciso in un agguato da parte della Stidda, in un episodio che ha segnato profondamente la magistratura italiana.

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L’assassinio di Livatino è stato un tentativo diretto di fermare il lavoro di un giudice che, con le sue indagini, minacciava il potere della mafia. Pace, che già ricopriva un ruolo di rilievo all’interno della Stidda, è stato arrestato poco dopo il crimine e ha iniziato a scontare una lunga pena detentiva. Durante il periodo in carcere, ha manifestato segni di pentimento e ha intrapreso un percorso di redenzione religiosa.

La mafia siciliana e la sua evoluzione

Negli ultimi decenni, la mafia siciliana ha subito profondi cambiamenti. Le vecchie organizzazioni, come Cosa Nostra e la Stidda, pur mantenendo ancora un certo grado di potere, non sono più in grado di operare con la stessa forza di un tempo. Le strutture di potere mafioso si sono frammentate, dando vita a gruppi più piccoli e meno centralizzati, ma altrettanto pericolosi. Nonostante ciò, la mafia resta un problema serio per la società e per le istituzioni, e continua a minacciare la stabilità delle comunità locali.

L’assassinio del giudice Livatino rientra in quel periodo in cui la magistratura e le forze dell’ordine erano impegnate in una battaglia senza quartiere contro la criminalità organizzata. La sua morte non ha solo rappresentato un durissimo colpo per la giustizia, ma ha anche dimostrato la determinazione delle organizzazioni mafiose nel voler esercitare il proprio controllo, anche con l’uso della violenza più brutale.

La giustizia e la sua difficoltà di bilanciare perdono e severità

La decisione di concedere un permesso premio a un ex membro di una delle più temibili organizzazioni mafiose solleva inevitabili dilemmi morali. La giustizia penale italiana ha il compito di offrire una possibilità di riabilitazione ai detenuti, ma come è possibile applicare questo principio a chi ha commesso crimini così gravi? La morte di un giudice, soprattutto uno come Rosario Livatino, impegnato nella lotta alla criminalità, è un crimine che tocca non solo la vittima ma l’intera collettività.

Se da una parte è giusto che i detenuti possano avere una chance di reintegrare la società, dall’altra è difficile non chiedersi se, in alcuni casi, la severità non debba prevalere, soprattutto nei confronti di chi ha fatto parte di un’organizzazione così violenta e pericolosa. L’applicazione del diritto, quindi, non è mai un atto meccanico, ma deve essere attento e ponderato, in modo da non minare la fiducia nelle istituzioni.

La questione della riabilitazione e il rischio di un ritorno alla criminalità

Uno dei punti più discussi riguarda il possibile rischio che Pace, come altri ex mafiosi, possa riprendere i contatti con il mondo della criminalità organizzata. Nonostante il suo percorso di cambiamento, infatti, non è possibile escludere totalmente il rischio che, una volta fuori dal carcere, un ex membro della mafia possa tornare a delinquere. Il suo perdono potrebbe essere visto come un segno di debolezza da parte delle forze dell’ordine e della società, e il suo ritorno alla vita civile potrebbe non risultare del tutto privo di pericoli.

La giustizia deve fare attenzione, quindi, a non concedere permessi che possano sembrare ingiustificati e che possano minare il principio di equità. La protezione della società e delle vittime deve restare al centro di ogni decisione, soprattutto quando si tratta di chi ha avuto un ruolo attivo in uno degli episodi più tragici della storia recente del nostro paese.

Il permesso premio concesso a Domenico Pace per l’assassinio del giudice Rosario Livatino riaccende il dibattito sulla giustizia e sulle difficoltà di bilanciare la riabilitazione con la necessità di garantire la sicurezza collettiva. Nonostante il suo percorso di pentimento, la gravità del crimine commesso rende difficile accettare un trattamento di favore per chi ha partecipato alla morte di un magistrato così importante. La decisione del tribunale, seppur legittima dal punto di vista legale, solleva interrogativi legittimi sulla coerenza del sistema giudiziario e sulle sue priorità quando si tratta di criminali di tale portata.

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Vincenzo Ciervo



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