Una speranza, tra guerre e paure. Un rito antico, che segue codici secolari, all’interno di un mondo stravolto da conflitti dagli esiti imprevedibili. All’interno, soprattutto, di un cattolicesimo in fortissima evoluzione. Papa Francesco apre la Porta Santa di San Pietro per inaugurare, davanti a migliaia di fedeli, il Giubileo della speranza. E interpreta questo atto come “l’invito a compiere un passaggio, una Pasqua di rinnovamento, a entrare in quella vita nuova che ci viene offerta dall’incontro con Cristo”. È l’invito a guardare oltre i disordini del mondo. Forse anche a lavorare per superarli. Ma il passaggio verso la pace, sempre evocata a ridosso di ogni Giubileo, è quanto mai complesso, in un momento in cui altrettanto complessa – o quantomeno molto diversa rispetto ai decenni precedenti – è la posizione del Vaticano negli equilibri mondiali.
“Il Giubileo si apre in un quadro ben più complicato dei precedenti. Quando si è celebrato quello straordinario del 2015, ad esempio, non c’erano stati ancora momenti di rottura come la Brexit e l’arrivo di Trump”, spiega a HuffPost Massimo Faggioli, storico delle religioni, docente del Dipartimento di Teologia e studi religiosi dell’Università di Villanova, a Philadelphia, e autore del libro “Da Dio a Trump, crisi cattolica e politica americana”. “I Giubilei ancora precedenti – argomenta il professore – sono arrivati prima di grandi sconvolgimenti mondiali, come quello del 2000, o dopo, come quello del 1950, celebrato a pochi anni dalla fine delle guerre”. Il Giubileo della speranza arriva invece in uno dei momenti più complicati della storia recente dell’umanità. “Avviene – argomenta Faggioli – proprio nel mezzo di un periodo di rottura. E si apre nel momento di maggior incertezza. Quando, cioè, non si sa ancora cosa accadrà, con l’inizio della seconda amministrazione di Donald Trump, il 20 gennaio. Quando, inoltre, la Francia e la Germania hanno una situazione politica instabile. Quando, infine, il cattolicesimo interagisce con un’Unione europea spaccata”.
Tra tensioni politiche, conflitti, il rischio attentati – avvertito maggiormente dopo i fatti tragici di Magdeburgo che ha portato il ministro Matteo Piantedosi a incrementare il dispositivo di sicurezza – diseguaglianze sociali e crisi ambientali, che valenza ha dunque il Giubileo? E a quali evoluzioni potrebbe ancora portare? C’è un valore simbolico, innanzitutto. Che in un mondo che cambia non è banale. Ma il valore aggiunto dell’Anno Santo, in un Occidente sempre più secolarizzato, va ben oltre il fattore religioso. “Il Giubileo – spiega ancora Faggioli – rappresenta il ritorno dei cattolici a Roma, nel segno dell’unità dei popoli. Un messaggio, questo, complicato da mandare in tempi di frammentazione, in cui sono in corso due movimenti speculari: da un lato ci sono spinte alla deglobalizzazione, dall’altro, invece, il cattolicesimo si globalizza sempre di più. Ed è sempre meno dipendente da Roma”. E questa spinta verso luoghi che prima erano considerati periferia del cattolicesimo è sempre più evidente. Si nota, ad esempio, nell’inedita alleanza della Chiesa del Nord America con quella africana in antitesi all’omosessualità. Si vede, soprattutto, nella posizione del Vaticano rispetto ai principali conflitti attivi in questo momento: quello in Medioriente e quello in Ucraina.
Il Papa ha subito anche dure critiche – l’ultima pochi giorni fa con Israele, perché ha accusato lo stato ebraico di “crudeltà” nei confronti dei bambini di Gaza. E più volte ha chiesto una pace incondizionata, dando al mondo ebraico l’impressione di essere poco attento alle sue ragioni. Il governo di Netanyahu ha risposto accusando il Pontefice di ignorare la realtà. E vari sono stati i momenti di attrito con il governo ucraino, mitigati solo in parte dall’ultima visita di Volodymyr Zelensky alla Santa Sede, lo scorso ottobre. La costante richiesta di negoziati e di pace con la Russia, paese aggressore, ha fatto sì che il Pontefice fosse perfino additato di filoputinismo.
Questi fattori gettano qualche nube sul Giubileo e collocano il Vaticano in seconda fila nello scacchiere dei movimenti diplomatici che dovrebbero portare alla pace nei teatri di guerra. Il Giubileo potrebbe offrire l’opportunità di aprire una nuova stagione per la Santa Sede: “Le tensioni su temi importanti della politica internazionale – continua Faggioli – non sono dovute solo allo stile poco ortodosso di Francesco, perché potrebbero diventare una normale dinamica nel futuro, con un Vaticano sempre più internazionale, sempre meno allineato all’Occidente sulle questioni politiche”. Il Vaticano del futuro, insomma, potrebbe essere lo specchio del cattolicesimo presente. Un cattolicesimo, spiega ancora Faggioli, “sempre meno occidentale, sempre più latinoamericano, africano, asiatico. Che ha, rispetto a Israele e alla Russia, una visione della storia molto diversa da quella che avevano Giovanni Paolo II o Benedetto XVI. Che vede gli ultimi due secoli di storia con filtri diversi e fa molta leva sul colonialismo”. Il cattolicesimo odierno, argomenta Faggioli, “tende ad ascoltare meno la lettura degli eventi dei media e dei governi occidentali”. Il Giubileo, insomma, potrebbe essere celebrato in un contesto di una Chiesa ancor meno europea di quella attuale. E, quindi, più ricettiva rispetto le istanze di quelli che sono considerati avversari dell’Occidente – come la Russia – e meno ricettiva nei confronti delle istanze degli amici storici dell’Occidente, come Israele. Ma se questo accadrà davvero, evidenzia ancora Faggioli, “si capirà con il prossimo Conclave”.
L’incognita Trump aleggia su tutto, in queste settimane, e quindi anche sul Giubileo. Che i rapporti tra il presidente eletto e la Santa Sede non siano mai stati idilliaci è cosa nota, ma non è escluso che le cose possano cambiare: “È possibile – ipotizza Faggioli – che il Vaticano scelga di moderare i toni nei confronti di Trump, perché vede nella sua amministrazione una possibile soluzione per i conflitti in Ucraina e in Israele. Alcuni momenti giubilari, come i discorsi del Papa, potrebbero essere utili anche a mandare questo tipo di messaggio”. Se il Vaticano sarà morbido con Trump, non è però detto che riceva un trattamento analogo. Le prime mosse del prossimo presidente degli Stati Uniti sembrerebbero suggerire il contrario: Trump ha scelto come ambasciatore Brian Burch, cattolico ultraconservatore che ha molto criticato Francesco, e che è vicino alle posizioni dello scomunicato Carlo Maria Viganò. Un segnale tutt’altro che distensivo. Lanciato, peraltro, pochi giorni prima dell’apertura della Porta Santa.
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