Ucraina: Trump, Vance e i segreti dietro le quinte

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Donald Trump annuncia di voler porre fine alla “inutile carneficina in Ucraina che non avrebbe dovuto mai iniziare” e incontrare al più presto Vladimir Putin. Il presidente della Federazione russa aveva dichiarato qualche giorno prima durante l’annuale e libero appuntamento di circa cinque ore con compatrioti scelti dall’Intelligenza artificiale di essere pronto al summit. Mentre Trump confermava di voler rispettare quanto promesso, anche sul conflitto in Ucraina, in campagna elettorale, Putin accoglieva il premier socialista della Slovacchia, Robert Fico che, al pari del premier conservatore dell’Ungheria, Viktor Orbàn, mantiene aperti dialogo e collaborazione economica con la Russia, strafregandosene di lagne e avvertimenti degli altri 25 nani chiacchieroni e velleitari, quanto spendaccioni e inconcludenti nelle sventagliate di conciliaboli e pseudovertici a Bruxelles.

Fico a metà maggio fu ridotto in fin di vita dalle pallottole di un attentatore: scampato alla morte davvero miracolosamente e in ospedale per oltre due mesi. Un tentativo d’assassinio che ha preceduto quello di metà luglio contro Trump, miracolato pure lui, e che non pochi hanno associato all’uccisione di John Kennedy per… gli attentatori eliminati. Il premier slovacco qualche giorno fa ha denunciato pubblicamente notizia dalla eco smorzata in Europa che Volodymyr Zelenskyche, con “offerte a porte chiuse”, aveva cercato di corromperlo: “Mi aveva promesso 500 milioni di dollari di beni russi se avessi votato a favore dell’Ucraina nella Nato. Gli ho chiarito che mai avrei accettato una ‘bustarella’ e che era nota la mia opinione contraria all’adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica.

È strano che mi abbia fatto una proposta del genere, (perché) invitare l’Ucraina nella Nato è del tutto irrealistico”. Non solo. Oltre alla proposta di ‘convertirsi’ alla posizione di quanti sono favorevoli all’entrata dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica Fico ha aggiunto che il dittatore di Kiev gli ha detto che “accetterà il transito del gas russo attraverso l’Ucraina soltanto se (Bratislava) non pagherà Mosca fino al termine della guerra”. Risposta di Fico: “Ma quale sciocco ci darebbe gratuitamente del gas? Proposte assurde”. E un commento: “Immaginatevi lo scandalo se queste proposte fossero state avanzate da Putin”. Proprio mentre Fico rivelava trame dietro il sipario “di una guerra persa in partenza” da Zelensky, e Orbàn calcolava in 310 miliardi di euro il supporto finora a Kiev e sottratti allo sviluppo europeo, un pugno di altri leader del settentrione e del meridione del Vecchio Continente si dirigevano addirittura verso il Polo Nord, in Lapponia, per incontrarsi. Motivo: discutere come difendersi sia dall’invasione degli immigrati, e si può capire, sia dalla minaccia d’invasione della Russia, e questo appare semplicemente ridicolo.

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Invasione da una Russia che tra due mesi fanno tre anni non riesce a riprendersi completamente alcuni territori storicamente propri e regalati all’Ucraina in tempi nei quali la famiglia ‘allargata’ dei Rus’ pareva inscindibile. Un recupero, quello di Mosca, provocato dall’allargamento progressivo della Nato (si immagini il paragone con un Canada con armi nucleari puntate sugli Usa) e dettato da profonde ragioni geostrategiche (Sebastopoli e le rotte del Mar Nero verso Mediterraneo, Mar Rosso e Atlantico). Un rifiuto, quello del regime di Zelensky, della neutralità che ha arricchito altri Stati, che solo in parte si spiega con il ricordo della tirannia sovietica, se non aggiungiamo la mappa dell’Ucraina odierna con la ‘compensazione’ o l’annessione di spazi ex asburgici polacchi, ungheresi, rumeni e infine russi: della Crimea e delle aree del Donbass e della costa… Non a caso, gli abitanti chiamati “piccoli russi” nell’impero zarista divennero ‘ucraini’ nella effimera repubblica dell’Ucraina, breve satellite tedesco, poi disegnata da Lenin e accresciuta di territori da Stalin e, infine, da Kruscev appunto con Crimea e Donbass.

Per intuire lo sviluppo della politica estera Usa è forse indicativa anche la difesa del presidente serbo Aleksandar Vucic da parte del vicepresidente in fieri statunitense James David Vance. Vucic è quotidianamente attaccato da Ivana Stradner, che nei suoi articoli lo definisce “il più grande dittatore e criminale” e invece elogia gli islamici della Bosnia-Erzegovina e le autorità dell’autoproclamata Repubblica del Kossovo. Dura la critica di Vance: “Quanti soldi ricevete dai contribuenti americani per questo tipo di campagne politiche che state dirigendo contro i leader liberi del mondo?”. La Serbia è tenuta da Bruxelles in lista d’attesa per l’UE perché ‘colpevole’ di rispettare gli storici legami con la Russia e di ricordare come le fu strappata la culla storica, appunto il Kossovo, in nome di un diritto all’autodeterminazione dei popoli che viene invocato a secondo dei soli interessi americani e di determinati Paesi europei.

E ancora: hanno scosso le accuse di Steve Bannon a Zelensky e alla corruzione nella quale sarebbe immerso assieme al regime. Come ha avuto vasta eco l’intervista di Tucker Carlson a Jeffrey Sachs sulle responsabilità dei disastri internazionali degli Stati Uniti con i presidenti ‘prigionieri’ (salvo la pausa trumpiana) di Neocon, DeepState e complesso militar-industriale, da Bill Clinton a Joe Biden. Vedremo se queste settimane che chiudono un anno bisestile si riveleranno almeno propedeutiche a una stagione di negoziato e diplomazia con l’insediamento di Trump. Se la pace con Mosca, necessaria alla ricomposizione dell’Occidente euro-atlantico con l’Occidente euro-asiatico, non si sprecherà in un miraggio. Se i cancelli spalancati verso l’Arabia Saudita spingeranno gli usci con discrezione dischiusi verso la Cina e lo stesso Iran.

Se i curdi non verranno traditi da Washington come lo sono stati finora troppi alleati e amici dell’America. Se in Siria, fabbrica di cultura laica e pluriconfessionale, non prevarrà l’oscurantismo come in Afghanistan: a Damasco ed Aleppo il fanatismo dei fondamentalisti sunniti islamici allevati nelle regioni più arretrate economicamente e culturalmente dalla Fratellanza musulmana e dalle sette ispirate al più retrivo tradizionalismo viene coraggiosamente denunciato dalle élite intellettuali. Se in Iran, dove cresce la protesta contro il fondamentalismo sciita del khomeinismo, comincerà a scricchiolare il regime assieme alla sua Guida suprema Alì Khamenei.

E se l’UE concentrata a Bruxelles diverrà meno confusa, spocchiosa, costosa. E a volte pericolosa: “Per me sostenitore dell’idea europea è penoso essere testimone di una maggioranza parlamentare dell’UE pazza di guerra e piena di odio e mi chiedo che mostro guerrafondaio abbiamo creato”, Michael von der Schulenburg, già diplomatico all’Onu e europarlamentare della nuova sinistra tedesca Alleanza Sahra Wagenknecht Ragione e Giustizia.

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