I diritti violati dalle autorità italiane in occasione della manifestazione nazionale per la Palestina

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Non va dimenticata la gestione da parte delle autorità italiane della “Manifestazione nazionale per la Palestina” del 5 ottobre 2024 a Roma. I fatti che si sono verificati in quell’occasione, segnala Amnesty International, richiedono invece l’avvio di un’indagine indipendente, approfondita e imparziale per verificare se siano stati violati diritti umani -tra cui in particolare quello della libertà di espressione e di riunione pacifica- come teme l’organizzazione.

Amnesty ha riportato le sue preoccupazioni in un report pubblicato a fine 2024, nel tentativo di mantenere alta l’attenzione sul comportamento delle forze dell’ordine durante la manifestazione a cui hanno partecipato migliaia di persone provenienti da tutta Italia -duemila secondo la questura, diecimila secondo gli organizzatori- per dimostrare la loro preoccupazione in merito a quanto sta avvenendo in Palestina.

L’analisi di Amnesty international si è basata sulle informazioni raccolte prima, durante e dopo la protesta e nello specifico sulle testimonianze di due membri dei gruppi di organizzatori, di sette persone manifestanti, quattro avvocati che rappresentano le persone colpite dalle misure amministrative, un’organizzazione per i diritti umani e soprattutto i rapporti e i filmati dei suoi osservatori. Amnesty ha infatti formato una squadra di attivisti e attiviste con il compito di partecipare e monitorare l’andamento di determinate situazioni pubbliche, come proteste, cortei, manifestazioni, accertandosi che si svolgano senza rischio per l’incolumità delle persone e che siano garantite trasparenza e responsabilità sull’uso della forza da parte della polizia.

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Per prima cosa il rapporto definisce discriminatorio il divieto preventivo, emanato dal questore di Roma il 24 settembre 2024, di quello che inizialmente è stato notificato come corteo tra piazza della Repubblica e piazza S. Giovanni con il fine di “riaffermare il riconoscimento dello Stato di Palestina, la libertà del suo popolo e chiedere la fine della guerra”. Già a inizio mese il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva dichiarato la sua intenzione di vietare questo tipo di manifestazioni per evitare la “celebrazione di un massacro”, facendo riferimento agli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 in Israele.

Amnesty, che ha avuto accesso al provvedimento di divieto, riporta le motivazioni del questore di Roma: “La manifestazione avrebbe potuto alimentare una spinta ideologica celebrativa del massacro consumato in danno dello Stato di Israele”, e il timore legato al fatto che gli organizzatori volessero protestare nonostante le dichiarazioni del ministro, definendolo un atteggiamento “antigiuridico”. La polizia ha quindi concluso che l’incontro pubblico non sarebbe stato “compatibile” al diritto di manifestare pacificamente, in quanto avrebbe potuto rappresentare “gravi turbative per l’ordine e la sicurezza pubblica”.

Queste formulazioni di pericolo, seppur vaghe, sono state ritenute però fondate dal Tribunale amministrativo del Lazio che ha rifiutato il ricorso presentato il 2 ottobre 2024 dagli organizzatori. Inoltre, il Tar non ha sospeso il divieto di manifestazione poiché ha ritenuto troppo stretti i tempi per svolgere un’indagine approfondita, venendo dunque meno agli obblighi previsti dagli standard internazionali che richiedono un riesame efficace e tempestivo.

Qualche minuto prima dall’orario previsto per l’inizio della protesta, la Digos ha parlato con uno degli organizzatori, riferendogli che avrebbero potuto manifestare purché senza muoversi da piazzale Ostiense. Non è stato mai presentato alcun provvedimento scritto. La mancanza di chiarezza sul divieto potrebbe aver causato confusione tra gli agenti incaricati di gestire l’ordine pubblico durante la protesta, sottolinea il rapporto di Amnesty. Questo cambio di decisione a poche ore dall’inizio della manifestazione potrebbe inoltre aver rappresentato un limite al diritto di protesta pacifica. Molte persone potrebbero aver deciso di non partecipare all’evento in quanto vietato e potrebbero non aver saputo in tempo della decisione di consentire un raduno statico.

La seconda preoccupazione espressa da Amnesty riguarda invece le misure amministrative adottate contro i manifestanti prima e durante l’evento. Nelle ore precedenti, le forze dell’ordine -in particolare polizia, carabinieri e Digos- hanno effettuato numerosi controlli preventivi e verifiche dei documenti d’identità, bloccando le persone sulle vie d’accesso alla città, lungo le autostrade e nelle stazioni ferroviarie.

In molti casi le persone fermate sono state trasferite nelle stazioni di polizia e nelle questure per il controllo dell’identità dove sono state trattenute per diverse ore senza ricevere alcuna informazione sulle ragioni della loro detenzione. Questo è avvenuto, secondo le interviste raccolte da Amnesty, anche in assenza delle due circostanze che devono verificarsi per essere trasferiti in una stazione di polizia: il rifiuto di fornire un documento d’identità o prove sufficienti che i documenti o le informazioni presentate siano false.

A molti di loro è stato inoltre notificato il “foglio di via” che prevedeva l’obbligo di lasciare Roma entro un’ora e di non farvi ritorno per un periodo compreso tra i sei mesi e i quattro anni. Questa misura era già stata criticata da Amnesty in quanto imposta dalle autorità senza un preventivo vaglio giudiziario, spesso basandosi su motivazioni vaghe: nata per sostenere la lotta alla criminalità organizzata, è stato rilevato come questa sia sempre più usata come strumento di ritorsione contro gli attivisti per impedire loro di esercitare il diritto di riunione pacifica. Secondo Amnesty, “i ‘fogli di via’ violano anche i principi di legalità e di presunzione di innocenza, sono in contrasto con le garanzie del giusto processo e possono anche violare i diritti alla libertà e alla libertà di movimento”.

Da ultimo Amnesty si concentra sulla violazione del diritto alla libertà di riunione pacifica causato dalla dispersione ingiustificata del raduno statico e dall’uso della forza contro chi manifestava, nella maggior parte dei casi, pacificamente. Secondo quanto osservato da Amnesty, la polizia ha risposto ai tentativi di un piccolo gruppo di manifestanti di sfondare il suo cordone usando cannoni ad acqua e sparando gas lacrimogeni direttamente sulla folla, senza preavviso, e non tentando di calmare le tensioni e di trattare individualmente con chi stava assumendo comportamenti violenti.

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I punti di ingresso/uscita dell’area della manifestazione erano inoltre limitati e controllati dalla stessa polizia e questo ha creato grande confusione, oltre che problemi di sicurezza. Successivamente, sempre senza alcun annuncio, la polizia in antisommossa ha iniziato a caricare con i manganelli nel tentativo apparente di disperdere i manifestanti, colpendo chiunque riuscisse a raggiungere, comprese le persone che non erano impegnate nella violenza. La squadra di osservatori di Amnesty ha riferito di aver visto almeno dieci feriti. Secondo fonti della polizia, anche 30 agenti di polizia hanno riportato lesioni.

Come sottolineato da Amnesty, il ruolo delle autorità è quello di rispettare, proteggere attivamente e facilitare i diritti delle persone alla libertà di espressione e di riunione pacifica, evitando qualsiasi interferenza ingiustificata con l’esercizio di questi. Le restrizioni sono consentite dal diritto internazionale ma in circostanze specifiche e devono essere necessarie e proporzionate al raggiungimento di uno scopo legittimo.

Inoltre l’approccio generale delle autorità dovrebbe prediligere la comunicazione e la prevenzione dell’insorgere di conflitti attraverso il dialogo e la mediazione, garantendo che coloro che rimangono pacifici possano continuare a esercitare i loro diritti. Prima di usare la forza, la polizia deve infine avvertire che intende usarla, dando tempo sufficiente alle persone per rispondere all’avvertimento e allontanarsi.

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