Verde a tutti i costi? I dubbi di Lombardi e Maglio

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Alcuni fattori combinati rendono il Green deal un campo minato di potenziali difficoltà economiche, sociali e politiche che l’Unione europea dovrà navigare con estrema cautela. L’analisi di Domenico Lombardi, professore di Pratica delle politiche pubbliche e direttore del Luiss policy observatory, e di Gabriele Maglio, research fellow presso il Luiss policy observatory

22/12/2024

Sin dai suoi albori, il progetto Green deal (Egd) è stato presentato come una delle iniziative più ambiziose dell’Unione europea per affrontare il cambiamento climatico, avendo come obiettivo ultimo quello di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050. Una cosa, però, è certa: questo piano promette più di quello che si può realizzare nel lasso temporale imposto. Il Green deal si caratterizza per un approccio complesso e multiforme, capace di includere un insieme di rigorose regolamentazioni, paventati incentivi per l’innovazione e sedicenti investimenti su larga scala in tecnologie verdi. In realtà, pur supportando le premesse logiche alla base del progetto, così come il suo obiettivo ultimo, l’approccio della Ue al cambiamento climatico non sembra essere del tutto vincente.

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Il confronto tra le strategie di neutralità del carbonio di Ue, Stati Uniti e Cina rivela significative disparità sia nelle politiche sia nei contributi alle emissioni globali di CO2, sottolineando criticità specifiche nell’approccio della Ue. Ad esempio, nel 2022, la Cina era in testa nella produzione di emissioni di carbonio per il 31%, seguita dagli Usa con il 12% e dalla Ue con solo il 6%. L’Ue, nonostante contribuisca meno alle emissioni globali, ha adottato un piano particolarmente ambizioso fortemente centrato su una dimensione regolamentare. Con il pacchetto “Pronti per il 55%”, il conseguimento dell’obiettivo climatico di ridurre le emissioni della Ue di almeno il 55% entro il 2030 è diventato un obbligo giuridico per i Paesi membri.

Tale approccio è stato criticato per la sua possibile inefficacia nel rispondere rapidamente alle innovazioni tecnologiche e alle dinamiche economiche globali, limitando di fatto la flessibilità e la competitività economica europea. Il Green deal europeo è stato presentato come una pietra miliare nella lotta contro il cambiamento climatico. Tuttavia, secondo un buon numero di studi, l’Egd sembra soffrire di significative contraddizioni interne che ne minano la credibilità e l’efficacia. La critica principale si focalizza sulla sua tendenza ad ambire a una non meglio specificata crescita economica capace di portare con sé la tanto agognata sostenibilità ambientale.Vi sono, poi, seri problemi nel bilanciamento tra ambizioni ambientali e necessità economiche, dati gli enormi investimenti finanziari richiesti e le differenze infrastrutturali tra gli Stati membri. L’impatto sociale ed economico di una transizione rapida potrebbe essere devastante per le industrie pesanti tradizionali, con rischi significativi di perdite di posti di lavoro e aumenti dei costi energetici che colpirebbero principalmente le comunità meno abbienti.

Inoltre, il Green deal dipende in misura eccessiva da tecnologie emergenti come la cattura e stoccaggio del carbonio, le quali non sono ancora state provate su larga scala e potrebbero non essere sostenibili né economicamente vantaggiose. Questa dipendenza genera incertezze non solo sulla fattibilità tecnica delle soluzioni proposte ma anche sulla loro equità, poiché non tutti gli Stati membri sono in grado di adottarle o beneficiarne allo stesso modo. Infine, la pressione per adottare rapidamente nuove normative ambientali rischia, da un lato, di soffocare l’innovazione, se non bilanciata adeguatamente con incentivi che promuovano la ricerca e lo sviluppo; dall’altro di creare tensioni geopolitiche, soprattutto per l’accesso a risorse essenziali come le terre rare.

Questi fattori combinati rendono il Green deal un campo minato di potenziali difficoltà economiche, sociali e politiche che l’Unione europea dovrà navigare con estrema cautela. Un discorso ulteriore va fatto sul crescente consumo energetico associato allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e dell’intelligenza artificiale (IA). Infatti, l’introduzione crescente dell’IA in vari settori sta trasformando radicalmente le economie globali, inclusa quella europea. Secondo un’analisi condotta da Goldman Sachs si prevede un aumento fino al 160% nel consumo di energia attribuibile all’IA nei prossimi anni, evidenziando l’enorme fabbisogno richiesto specialmente dalle tecnologie avanzate come il machine learning e il deep learning, che necessitano di significative risorse per il training e l’esecuzione dei modelli.

Questo scenario pone l’Europa di fronte a una sfida critica: trovare un equilibrio tra promuovere una tecnologia sostenibile, mantenere una sufficiente flessibilità e, infine, innovare per rimanere competitivi sul mercato globale. Per mitigare questi rischi è essenziale che l’Egd integri una visione più adattabile delle regolamentazioni, promuovendo incentivi per adottare pratiche di Green AI. Parallelamente, l’impiego di standard energetici e il supporto a ricerche che mirino a ridurre il consumo energetico dei data center, possono aiutare a controbilanciare l’intensità energetica delle operazioni di IA. L’Europa deve, quindi, trovare il modo di sostenere il progresso tecnologico senza compromettere i suoi obiettivi ambientali. Solo attraverso un approccio equilibrato che valorizzi tanto l’innovazione quanto la regolamentazione, l’Ue potrà veramente guidare il mondo verso un futuro sostenibile, senza perdere il passo nella corsa globale verso l’innovazione tecnologica.

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