Riflessi bresciani di Rinascimento | laRegione.ch

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Ci sono mostre e mostre. Mostre che sono messe su in pochi mesi oppure studiate per attirare e gratificare un vasto pubblico, che girano per anni da una capitale all’altra, magari pure con opere di alta qualità e di indubbia rilevanza per la storia dell’arte messe in bella evidenza, ma organizzate in percorsi di facile consumo, accompagnate da schede o da un catalogo pure di rapido consumo. Ce ne sono però altre, programmate da tempo e frutto di un lungo studio (che fa anche pensare!), come ‘Il Rinascimento a Brescia. Moretto Romanino Savoldo, 1512-1552’, in corso presso il Museo di Santa Giulia, a Brescia, con l’allestimento di una importante rassegna sul Rinascimento bresciano per analizzarne non solo l’arte, in particolare quella di tre grandi artisti locali come il Moretto, il Romanino e il Savoldo, ma anche il contesto storico e culturale ruotante attorno a una serie di eventi sconvolgenti e drammatici che concludono con il Sacco di Brescia avvenuto nella notte tra il 18 e il 19 febbraio 1512 (precedente il giovedì grasso di Carnevale!) a opera dell’esercito francese guidato dal giovane comandante Gaston de Foix, duca di Nemours (sarebbe poi morto in battaglia due soli mesi dopo), per punire i bresciani d’aver tradito i cristianissimi re di Francia, signori di Milano e di parte della Lombardia, e ritornare ad allearsi con i Veneziani.

Fu una vera strage: saccheggi, stupri, violenze, incendi, distruzioni e morti, tanti morti: ben 8’000, calcolano gli storici, su una popolazione di 65mila abitanti! Un bilancio impressionante e pesantissimo che non può non far pensare a quanto sta capitando ancora oggi sotto i nostri occhi, e già percepito dagli osservatori del tempo come un tournant decisivo di quel complesso e tragico ventennio caratterizzato dalle ‘horrende guerre d’Italia’. Saggi avvincenti che in catalogo si leggono con grande interesse per il loro portato storico e sociale, ma anche per l’implicita attualità che ancora li contraddistingue: la divisione e la lotta tra le fazioni aristocratiche interne, filoghibelline o filoguelfe, ognuna per inseguire il proprio interesse, “per irrobustire i rispettivi dominii feudali nel contado”; con il duca ferrarese Alfonso d’Este e Lucrezia Borgia che gongolano e organizzano feste, banchetti e balli per la fine della Brescia ‘veneta’, non diversamente dalla nobile bresciana Alda Pio da Carpi, moglie di Gian Francesco Gambara e madre della poetessa Veronica, guida carismatica della fazione anti-veneziana, la quale “per la strage grandissima jubilava et cantava et veramente facevano [festa] in casa sua.”


New York, The Metropolitan Museum of Art
Girolamo Romani detto Romanino, Concerto campestre, 1520-1530 ca. – Penna e inchiostro bruno, acquerello bruno e gesso nero su carta, 29,1 x 40,9 cm

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In realtà quelle continue cospirazioni e tragedie concluse con tutti quei morti stavano da tempo minando l’animo dei più e “aprirono la strada a un male nuovo e feroce: la ‘malinconia’, dove dubbi, perplessità e speranze convivono e si mescolano dando vita a un sentimento diffuso magistralmente rappresentato in alcuni stupendi ritratti di aristocratici bresciani presenti in mostra come quello di Fortunato Martinengo, figlio di un fedelissimo servitore dei re cristianissimi, dipinto dal Moretto, o nel Giovane con flauto del Savoldo, con quell’ombra bassa del cappello che gli oscura il volto, con quel tempo sospeso e lo sguardo un po’ smarrito che lo segna nel profondo. Segni evidenti del “diffondersi di una coscienza condivisa di vivere una crisi epocale” che la mostra documenta esponendo, accanto ai dipinti e sculture, testi letterari, medaglioni bronzei e porcellane, armature e strumenti musicali così da restituire un affresco sfaccettato di quella complessa realtà e dello ‘spirito del tempo’.

Le donne

Si fa chiara a questo punto la tesi sottesa all’intera rassegna: “Troppo spesso il Cinquecento bresciano con Moretto (1496 circa – 1554), Romanino (1484/1487 – 1560) e Savoldo (1480/1485 – post 1548) è stato raccontato come un episodio marginale, ai confini della grande storia dell’arte: questo progetto dimostra ben altro alla luce di fatti e contesti che legano all’arte la storia degli uomini e delle donne, i sentimenti, la politica la cultura e la religione”. Suddivisa in cinque sezioni – Sterminio, Devotione, Armonia, Virtù, Affanni – l’esposizione si snoda come un percorso tra arte, storia, filosofia e religione svelando un Rinascimento che ha saputo celebrare le donne, che ha identificato nella natura uno spazio di armonia e una fonte di possibile sviluppo, che non è rimasto indifferente ai primi fermenti di riforma religiosa, che è stato segnato da una immane tragedia ma ha saputo superarla. Si tratta dunque di una mostra concernente una città che indaga e rilegge la propria storia e identità, ma al tempo stesso è anche il racconto di una società che dopo la crisi sociale, economica e morale successiva al brutale Sacco di Brescia, tra inquietudini e incertezze, seppe comunque anche rinascere prospettando un futuro diverso di convivenza, incamminandosi verso un nuovo tempo di pace e prosperità.

Quanto poi all’arte e ai capolavori di quei maestri che operarono allora in quella città, facendo sintesi tra il tonalismo veneto e il naturalismo lombardo e conseguendo risultati sorprendenti, essi non furono solo gli artefici della sua più grande stagione pittorica; con la loro straordinaria pittura di realtà furono anche i precursori di artisti quali il Moroni e Caravaggio, e poi di quell’alta tradizione del ritratto lombardo che dal Settecento del Ceruti, di Ceresa e Fra Galgario arriva fino all’Ottocento.


Londra, National Gallery
Alessandro Bonvicino detto il Moretto, Fortunato Martinengo, 1540-1545 circa – Olio su tela, 114 × 94,4 cm



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