Faida Agnelli, cosa pensa e dice John Elkann di sua madre


Faida Agnelli, John Elkann si lascia andare e parla di sua madre, “persona naturalmente violenta, piena di risentimento”, come raramente un figlio fa, dopo 40 di silenzio e di sottovoce in famiglia.

Tanti racconti, tanti aneddoti, ma nulla è mai emerso finora sui giornali.

John è figlio di Alain Elkann e di Margherita Agnelli, quindi nipote di Gianni che lo ha investito della eredità della Fiat.

Merita lodi incondizionate per essere riuscito a fare approdare la Fiat nel colosso Stellantis, di cui ha la maggioranza, salvando la casa automobilistica torinese da un declino foriero del peggio, riuscendo in una impresa tentata da suo nonno due volte senza successo.

Ora John e i fratelli Lapo e Ginevra sono sotto attacco giudiziario da parte della madre.

Agnelli in tribunale

Faida Agnelli, cosa dice John Elkann di sua madre, come raramente un figlio fa, dopo 40 di silenzio – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

C’è chi sospetta che a istigare Margherita Agnelli contro il figlio primogenito e i suoi fratelli di primo letto sia l’attuale marito che non si rassegna dall’aver perso il trono per se e i suoi discendenti. Dimenticando che l’avvocato Agnelli, da buon piemontese, ragionava secondo la legge Salica, forse anche con una punta di antipatia verso questo nuovo ingombrante genero.

La vicenda è complicata ed è in mano ai giudici di Torino. Intanto una giornalista di Le Point, Beatrice Parrino, ha passato giorni a seguire Elkann e i suoi amici e parenti, traendone un lunghissimo articolo sui rapporti fra Margherita Agnelli e i figli avuti dal primo marito.

Margherita Agnelli è ora da molti anni moglie di Serge de Pahlen, un gigantesco russo di origine (si dice che un suo avo fosse tra gli intimi della Grande Caterina), cittadino francese, figlio di “russi bianchi” fuggiti dai bolscevichi, entrò nella sua vita nel 1982, quando Elkann aveva 6 anni. Pahlen è stato a lungo vicepresidente di Fiat International, con particolare responsabilità per la Russia. Aveva un ufficio a Mosca, che fu chiuso dopo l’accordo Margherita-Marella. Oggi, a 80 anni, Pahlen dirige una piccola casa editrice russofila in Svizzera.

Elkann si riferisce a lui come al marito di sua madre. “Diciamo che per lui noi non esistevamo.”

Affiora l’ombra di Putin

Gli Agnelli, che lo conobbero, lo descrivono come un uomo di poche parole, sempre nell’ombra, che ammaliava la moglie. “Si diceva che Serge fosse una spia. Ma era solo uno scherzo! ” racconta un Agnelli. Le risate si sono bloccate quando ho letto Les Amis de Poutine (Talent Éditions), in cui la giornalista Catherine Belton accusa Pahlen di avere legami con il KGB. Contattato, l’interessato contesta questa ipotesi contro la quale si era opposto alla pubblicazione dell’opera. “Gianni non avrebbe saputo niente? Per quale motivo un agente russo dovrebbe essere interessato alla Fiat? “chiede un Agnelli.

Dall’articolo di Le Point emerge un fatto inedito: «Una scena riaffiora dal passato. Si svolge a Villar Perosa, culla degli Agnelli. La proprietà familiare è piena di gente; Gianni è lì, sua moglie anche, così come Margherita e Serge de Pahlen. Un ospite di quest’ultimo fa conversazione a bordo piscina – sport, cucina… Era Vladimir Putin, prima di essere Vladimir Putin. » Serge de Pahlen, da parte sua, parla di semplici incontri professionali legati alla sua attività alla Fiat.

La scena si sposta nell’appartamento parigino in cui l’adolescente John Elkann ha vissuto per sei anni. Situato al piano terra di un edificio haussmanniano, è costituito da un ampio corridoio che conduce a un soggiorno dalla decorazione eterogenea. Da questa sala è possibile accedere a due ali: una ospita i tre grandi Elkann; l’altro, il clan Pahlen. Icone religiose, dipinti di Margherita. Un vento mistico soffia tra queste mura.

La madre, convertita all’ortodossia del marito, dopo essere stata buddista e strettamente vegetariana, infila statuette religiose nelle borse della famiglia, manda i figli in ritiri spirituali e issa la bandiera dell’Impero russo. Gli anziani, i cattolici battezzati, devono seguire. A scuola il russo sostituisce l’italiano. “Fanatismo religioso, bigottismo, secondo John Elkann. Voleva farci aderire all’universo ortodosso di suo marito e, in un certo senso, imporcelo affinché lui ci accettasse. Invano. »

A Torino si dice sottovoce che il più grande sarebbe soprannominato “i tre piccoli ebrei”. » Il loro nonno, Jean-Paul Elkann, era all’epoca presidente del Concistoro Centrale Israelitico di Francia.

Si vocifera anche di furia. Quello di Margherita de Pahlen. “È una persona naturalmente violenta, piena di risentimento. Ha denigrato nostro padre… Il dialogo con lei è impossibile. Di fronte a questa incapacità, ricorre alla violenza, verbale o fisica, descrive John Elkann. Non sopporta di non avere ragione. La minima opposizione si concludeva con una punizione. La situazione era aggravata dalla sua nuova vita: avere tre figli da un precedente matrimonio era un problema. “Gli abbiamo chiesto: “Erano schiaffi?” » Il suo silenzio si prolunga. “Non oltre. Più di tutti, fu Lapo a soffrire. » La sorella Ginevra racconta: «Mia madre era una donna dai nervi fragili. »

Quanto al fratello minore, Lapo, le cui gesta e azioni sono da tempo argomento di cronaca, si attiene a queste parole: “Se John e Ginevra vogliono parlarne, sono liberi di farlo, ovviamente. Preferisco tenerlo per me. » Tramite il suo avvocato, Margherita Agnelli de Pahlen ci ha raccontato di «aver preferito non rispondere, avendo sempre provato uguale affetto per ciascuno dei suoi figli. Da parte nostra, troviamo molto strano che questi presunti atti di violenza siano stati denunciati dopo ben quarant’anni e, come per caso, in coincidenza con una controversia legale che Margherita non aveva avviato per prima contro i suoi figli”.

John arriva finalmente a Torino, dove all’età di 18 anni lascia le sue borse da studente. “Sono visceralmente italiana e aperta al mondo. “Il torinese-newyorkese conosce a memoria il processo di non-italianità che gli viene rivolto: il suo nome, il suo cognome, il suo modo di parlare. Non importa quante volte dimostri il suo valore come bravo cittadino, la pattuglia verde-bianco-rossa lo raggiunge sempre. Ciò che conta è che prometta il ritorno della Champions League non a Torino ma in Italia, che cerchi di formare una nazionale di vela, che finanzi cattedre universitarie in tutto il mondo per celebrare il know-how. Quando lancia un fondo per finanziare le start-up italiane, quando convince Google a stabilire la sua base europea in Sicilia, i suoi detrattori vedono solo Fiat, fusa in Stellantis.



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