Laura Donatelli racconta papà Carlo: «Arrestato dai tedeschi, fu internato in Polonia. Solo a 85 anni disse addio all’amata barca a vela»

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di
Antonella Frontani

Ingegnere brillante trasformò la Société Anonyme Française du Ferodo (che produceva in Italia le frizioni per la Fiat) in Valeo, ispirato da Cicerone

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Carlo Donatelli è stata una figura di spicco nel mondo italiano e internazionale dell’automotive. Nel 1964 la Société Anonyme Française du Ferodo decise di produrre in Italia le frizioni per la Fiat. Per creare e dirigere la filiale italiana con sede a Torino, e costruire lo stabilimento di produzione a Mondovì, fu chiamato Carlo Donatelli. E fu proprio lui a coniarne la denominazione Valeo, più tardi estesa anche alla casa madre francese. Poi, nel 1970, costruì la Valeo Sud per la produzione di radiatori e apparecchi di riscaldamento, nel 1973 acquisì la Elma, che produceva proiettori, e nel 1974 inaugurò a Santena il Centro studi e ricerche. Dopo vent’anni della sua direzione la Valeo Italia fatturava 150 miliardi di lire e aveva 1.700 dipendenti. Fu inoltre direttore della Divisione frizioni di tutto il Gruppo Valeo, presidente della Aicq piemontese ( Associazione per il controllo della qualità), presidente del Clepa (Associazione europea della componentistica automotive). Ingegnere dalla personalità eclettica, Carlo Donatelli era dotato di straordinaria energia, di grande abilità tecnica e commerciale e di una contagiosa empatia. A condurre il racconto è sua figlia Laura, egittologa e storica dell’arte.

Che bambino è stato Carlo?
«Mio padre, veneziano, fin in da bambino nutrì grande passione per la barca a vela, incoraggiato da suo fratello maggiore Giulio, divenuto poi presidente della Compagnia della vela di Venezia al tempo in cui il Moro di Venezia gareggiava per l’America’s cup».




















































Passione che continuò?
«Per tutta la vita. Ebbe diverse barche a vela che chiamò sempre “Menimpippo”, come il suo primo dinghy. Tutte le estati imbarcava noi e tanti amici per splendide crociere, prima sul Tirreno, poi sull’Adriatico. Con rammarico vendette l’ultimo Moimpippo nel 2002, quando aveva già 85 anni».

È stato anche ufficiale di marina durante la guerra.
«Sì, nel 1940 fu richiamato sotto le armi e imbarcato sulla torpediniera “Perseo”; divenne poi comandante su un’unità antisommergibile. Nel frattempo conseguì gli esami che gli mancavano. Si laureò in ingegneria meccanica al Politecnico di Milano nel marzo 1943».

Parliamo dei ricordi di guerra.
«Per la partecipazione alle numerose missioni rischiose gli venne conferita la Croce al Valor Militare. Visse, però, momenti molto duri come nel settembre 1943, quando venne arrestato dai tedeschi per essere internato in Polonia prima, in Germania poi. Aveva rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale».

Come fu il rientro?
«Difficile: era molto provato dalla prigionia, nel fisico e nell’anima. Magrissimo, come si può vedere dalle foto. Nel 1945 iniziò a lavorare ai cantieri navali Breda di Marghera, poi alla Junghans di Venezia, riconvertita in fabbrica di orologi. Nel 1949 sposò mia madre, Carola Stallo, torinese, conosciuta sei mesi prima».

E poi?
Nel 1954 si trasferì a Città del Messico per avviare una fabbrica di carta che utilizzava la canna da zucchero. E lì nacqui io. Tornammo quindi in Italia, a Torino dove papà lavorò in qualità di direttore tecnico e commerciale per le Officine Meccaniche Sant’Ambrogio che divenne l’Eaton-Livia».

Arriviamo alla Valeo.
«L’avventura iniziò nel 1964, quando papà aveva 47 anni. Rispose ad un annuncio pubblicato sul Corriere della Sera, con cui la Société anonime Français du Ferodo, che produceva freni e frizioni per il mercato automobilistico mondiale, cercava un ingegnere italiano per affidagli la direzione della sede Italiana. A luglio fu assunto, ad ottobre iniziò a svolgere il suo incarico».

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La Valeo comportò il trasferimento iniziale della famiglia a Parigi.
«Sì, l’accordo prevedeva un periodo iniziale di dieci mesi di lavoro e formazione a Parigi. Quando arrivammo nella capitale francese avevo nove anni, iniziai lì la quarta elementare. Lo ricordo come un periodo molto bello. Abitavamo nel VI° Arrondissement, dalle finestre della mai camera vedevo la Tour Eiffel».

Fu suo padre a dare il nome all’azienda.
«Sì, nel 1967 chiese alla casa made di cambiare la denominazione della società italiana in Valeo. Papà diceva che, benché al liceo fosse stato uno studente molto scarso in latino, ricordava che Cicerone, nelle lettere agli amici, usava l’espressione “ego valeo”, ovvero, “sto bene”. Nel 1980 anche la Ferodo decise di adottare il nome “Valeo” per tutto il gruppo, perché breve e universale. Per mio padre fu una grandissima soddisfazione».

Altri ricordi della Valeo?
«Rivedo le carte del progetto dello stabilimento di Mondovì aperto sul nostro tavolo da pranzo. E ricordo molti suoi collaboratori: Giulio Sannazzaro, Gianpaolo Drago, Aldo Rabbia, Walter Marna, Achille Baldini, Mario Puccini, Giuseppe Reviglio della Veneria, Carlo e Marco Valier…E la sua segretaria storica, Franca Musso, con la quale sono rimasta in contatto».

L’ingegnere era geniale…
«Quella delle invenzioni fu una grande passione che sviluppò fin da ragazzo giocando con il meccano. Nel 1946 brevettò un involucro stagno, denominato “Barracuda” per catturare fotografie subacquee con la sua Leica. Dell’invenzione parlarono diverse riviste e ne vendette alcune decine di esemplari in tutto il mondo, anche per i servizi del National Geographic. La fotografia fu sempre una sua grande passione. Negli ultimi anni, invece, si dedicò ad un nuovo propulsore marino a pale verticali a cui lavorò, infaticabilmente, fino alla fine dei suoi giorni».

Ha scritto anche un libro sulla gondola…
«Sì. Oltre a saperla vogare aveva tenuto conferenze e scritto qualche breve saggio. Nel 1990 pubblicò un libro che racchiude il racconto storico e gli aspetti tecnici di quella che lui definiva “una straordinaria architettura navale”. Da ingegnere dimostrò come un gondoliere riesca a far avanzare, a quattro chilometri orari, una gondola dal peso di ottocento chili (400 di barca, 400 di carico) consumando la stessa energia necessaria per camminare alla sessa velocità».

Che padre è stato?
«Un padre autoritario e affettuoso nello stesso tempo. I momenti più belli erano quelli delle vacanze in barca o in montagna. Tutti i viaggi fatti insieme, in cui mi rendeva partecipe della sua vita e dei suoi ricordi».

Quando è scomparso?
«Papa è morto ventuno anni fa, a ottantasei anni. Ancora oggi incontro persone che l’hanno conosciuto e ne portano il ricordo».

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