Tutti i misteri di via Poma: la famiglia del portiere, l’alibi del presidente e il furto del caveau

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di
Ilaria Sacchettoni

In vetta alle tante incongruenze, la gip Giulia Arcieri, colloca quelle che riguardano la posizione della famiglia Vanacore, custode dell’edificio in cui avvenne l’omicidio. Riascoltata Giuseppa De Luca, la moglie

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La ricerca della verità sulla morte di Simonetta Cesaroni, la contabile dell’Associazione italiana alberghi della gioventù (Aiag) uccisa con 29 coltellate è stata segnata dai depistaggi e dalle (molteplici) menzogne che hanno accompagnato le varie inchieste giudiziarie. Nulla, nel giallo di via Poma, funziona davvero. Tutti, protagonisti e comprimari, hanno finito per raccontare falsità.

Le reticenze

Oggi, in vetta alle tante incongruenze, la gip Giulia Arcieri, colloca quelle che riguardano la posizione della famiglia Vanacore, custode dell’edificio in cui avvenne l’omicidio. Nel disporre di riascoltare Giuseppa De Luca, moglie di Pietrino — suicida nel 2010 — il magistrato sottolinea: «È del tutto sospetto — se estranea a qualunque comportamento di favoreggiamento — il suo rifiuto, all’arrivo delle forze dell’ordine, dopo la scoperta del cadavere da parte della sorella della vittima, di consegnare ai poliziotti le chiavi con cui pochi minuti prima aveva aperto la porta dall’interno 7, dove giaceva la vittima, ai familiari di Simonetta. È stato un evidente segno di ritrosia istintiva a collaborare». Gli agenti intervenuti «dovettero strapparle… dall’altra mano che nascondeva dietro la schiena le chiavi dell’appartamento dove giaceva la ragazza assassinata». 




















































Il corpo massacrato di Simonetta spinge i Vanacore a un arcigno riserbo più che a una sincera collaborazione. C’è di mezzo l’inquinamento della scena del delitto? Il sangue ripulito con stracci bagnati?

Il personaggio 

Non torna, poi, la frenetica e scomposta attività di Francesco Caracciolo di Sarno, che dell’Aiag era il presidente, all’indomani dei fatti. Secondo un ipotetico collegamento investigativo De Luca lo avrebbe protetto. La sua casa in campagna, a Tarano, ospitava avvocati, medici e magistrati. Ebbene, Caracciolo Di Sarno, deceduto nel 2016, avrebbe mentito sul proprio alibi e importunato la figlia del fattore, Giuseppe Macinati, mettendole le mani sotto la maglietta e «minacciando di licenziare i miei genitori se glielo avessi detto» racconta lei. Tendente al satiro ma soprattutto reticente: la gip dispone ora di ascoltarne la figlia Giulia per fare luce su più aspetti. 

In particolare sul furto della sua cassetta di sicurezza al caveau di piazzale Clodio avvenuto nel 1999 ad opera dell’ex Nar Massimo Carminati (che per quell’operazione criminale sconterà meno di 4 anni di carcere). Cosa conteneva allora quella cassetta di sicurezza? Domanda alla quale Carminati, se non Caracciolo di Sarno, può ancora rispondere.

Spiccano poi, nell’eterno rebus di via Poma, le presunte bugie di Salvatore Volponi, il capo ufficio della ragazza che, all’epoca, mise le mani avanti sostenendo di non essere mai capitato nell’appartamento prima del famigerato 7 agosto, salvo essere smentito da più parti: «Ci si chiede se la figura poco limpida di Volponi abbia a che fare con l’amicizia che lo legava a Caracciolo di Sarno…» E ancora. Ci sono ombre nella testimonianza di Salvatore Sibilia, funzionario regionale dell’Aiag probabilmente «presente» negli uffici di via Poma il giorno dell’omicidio. E «perplessità» sulla deposizione di Luciano Menicocci, tutor di Simonetta la cui moglie ne ridimensiona l’alibi di quel giorno.

La frase

Sfuggono, secondo il giudice, le ragioni per le quali il poliziotto dell’epoca Nicola Cavaliere si sarebbe lasciato andare, a proposito dell’arresto di Pietrino Vanacore, a una frase che ha il sapore di una decisione pilotata («Non vorrei trovarmi costretto a prendere un provvedimento di cui non sono convinto»). 

Ma sfuggono — o meglio si spiegano solo alla luce di un tentativo di depistaggio — anche alcune vistose anomalie nelle procedure. «Risulta dagli atti — scrive la gip — che rispetto al momento del delitto e a sequestro in corso era avvenuta la sostituzione della serratura della porta dell’appartamento in questione: serratura e chiavi di marca Kassel erano state sostituite con serratura e chiavi di marca Mottura». Neanche a dirlo Caracciolo di Sarno, curiosamente, ne era in possesso. Tocca ora al pm Alessandro Lia dare una risposta convincente ai molti misteri dell’omicidio Cesaroni. L’aiuto della famiglia, assistita dall’avvocato Federica Mondani e dal consulente Igor Patruno, ha portato fin qui.

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