Al Cairo si dialoga, Netanyahu frena: «Il conflitto non finirà»

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Una delegazione israeliana è giunta ieri al Cairo per riprendere la discussione su un possibile accordo di cessate il fuoco a Gaza, con scambio di ostaggi e prigionieri politici palestinesi.

Al centro dei negoziati, secondo i media qatarioti, la gestione dei confini e il controllo del valico di Rafah. Hamas e i gruppi palestinesi della Jihad Islamica e del Fronte popolare per la liberazione della Palestina hanno dichiarato di essere vicini a un accordo, sempre che Israele «non aggiunga nuove condizioni».

SI TRATTEREBBE, in ogni caso, di una tregua temporanea e non della fine della guerra. Lo ha dichiarato apertamente il premier Netanyahu in un’intervista rilasciata venerdì al Wall Street Journal: «Non accetterò di porre fine alla guerra prima di aver rimosso Hamas». Mentre il gruppo islamico spiegava in un comunicato di aver discusso con le altre fazioni palestinesi del governo del dopoguerra, il primo ministro israeliano dichiarava che non c’è spazio per Hamas nella Striscia: «Non li lasceremo al potere a Gaza, a trenta miglia da Tel Aviv. Non succederà».

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Nell’intervista traspare tutta la fiducia del governo di Tel Aviv sull’impegno del nuovo presidente Usa Donald Trump per garantire il proseguimento della guerra: «I rinforzi sono in arrivo», ha dichiarato, riferendosi all’invio di armi. Da utilizzare sui diversi fronti, anche in Libano se Hezbollah dovesse «voler continuare» il confronto.

Al momento i pericoli maggiori in termini di perdite militari per Israele sono a Gaza, mentre gli Houthi stanno mettendo a dura prova la sicurezza della popolazione civile: nella mattinata di ieri un missile balistico partito dallo Yemen ha colpito l’area di Tel Aviv. I sistemi di difesa non sono riusciti a intercettarlo e circa venti persone sono rimaste ferite. Dall’inizio della guerra gli Houthi hanno lanciato più di 200 missili e 170 droni.

Funerali all’ospedale battista al-Ahli di Gaza, foto Mahmoud Sleem /Getty Images

Intanto, diverse fonti riportano notizie di un’ulteriore escalation delle operazioni israeliane nel nord di Gaza, soprattutto nell’area dell’ospedale Kamal Adwan.

L’esercito ha posizionato ordigni intorno alla struttura sanitaria e ha ordinato alla popolazione rimasta a Beit Lahiya di lasciare immediatamente la zona, minacciando una potente esplosione.

Il Kamal Adwan ha subito diversi attacchi da quando è cominciato l’assedio israeliano del nord di Gaza, più di 75 giorni fa, ma nella serata di ieri il suo direttore, Hussam Abu Safiya, ha dichiarato che l’edificio è stato sottoposto a un’aggressione senza precedenti, con bombe e colpi sparati dai carri armati. I militari hanno ordinato al personale medico di evacuare immediatamente l’ospedale, lasciando all’interno i circa 80 pazienti.

LA STRUTTURA SANITARIA soffre carenza di acqua, elettricità, ossigeno e di scorte di sangue. Lo staff e i pazienti ricevono un solo pasto al giorno. La situazione alimentare, già molto complicata, sta peggiorando nella zona settentrionale, dove Israele impedisce l’arrivo degli aiuti umanitari: giovedì l’Ufficio di coordinamento delle Nazioni unite ha fatto sapere che Israele ha negato l’ennesima richiesta Onu di raggiungere la zona per portare acqua e cibo alla popolazione assediata.10

L’esercito israeliano ha posizionato ordigni intorno alla struttura e ordinato al personale medico di evacuare subito, abbandonando ottanta pazienti

Le ong informano che le scorte di cibo, già al limite della sopravvivenza, sono state ulteriormente tagliate per 75mila persone. Ma l’aggravamento della situazione umanitaria riguarda tutta la Striscia.

SECONDO ACTIONAID, a causa della mancanza di farina le panetterie e le cucine sociali sono costrette a chiudere. Centinaia di persone provano a mettersi in fila per ottenere un pasto già dalle 3 di mattina ma rischiano di ritrovarsi a mani vuote.

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Tel Aviv, i danni provocati dai missili yemeniti
Tel Aviv, i danni provocati dai missili yemeniti, foto Ilia Yefimovich /Ap

I prezzi dei generi alimentari hanno subito un ulteriore aumento e anche chi prima poteva permettersi di acquistare qualcosa da mangiare ora non può concedersi quasi nulla. Le immagini dei bambini che piangono, schiacciati dalla ressa, nel tentativo di riempire una scodella di cibo raccontano la disperazione collettiva che non risparmia nessuno.

Così come nessuno è risparmiato dalle bombe.

Venerdì sera un raid israeliano ha colpito un edificio residenziale a Jabaliya, uccidendo dodici persone della stessa famiglia, di cui sette bambini.

Gli attacchi di Tel Aviv hanno ucciso sabato una donna e le sue tre figlie nel nord, poco dopo aver colpito una stazione di ricarica per i cellulari nel campo profughi di Al-Shati, causando tre vittime. Cinque i morti, nel centro di Gaza, per un attacco nel campo profughi di Nuseirat.

In Cisgiordania in 24 ore sono stati 25 i palestinesi arrestati, tra i quali due minori. Il ministero della salute palestinese ha fatto sapere che a Betlemme un bambino di sette anni è rimasto ucciso da una mina lasciata dalle forze israeliane.



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