Prima della guerra, l’Ucraina era uno dei maggiori produttori mondiali di grano, orzo e olio di semi, alimentando l’Europa orientale e molte altre aree del mondo. Con lo scoppio del conflitto, le esportazioni di cereali dal paese si sono quasi azzerate: tra marzo 2021 e marzo 2022, si è registrato un calo del 92%. Questo blocco ha causato un’impennata dei prezzi alimentari, già in crescita a causa delle difficoltà logistiche seguite alla pandemia.
L’impatto è stato devastante soprattutto nei paesi più poveri, che dipendono in larga misura dalle importazioni di cereali. Tuttavia, per alcune grandi aziende del settore alimentare, questa crisi ha rappresentato un’opportunità irripetibile. A livello globale, il mercato dei cereali è dominato da quattro colossi, noti con l’acronimo ABCD (Archer-Daniels-Midland, Bunge, Cargill e Louis Dreyfus). Questi giganti controllano tra il 75% e il 90% delle vendite mondiali di cereali e nel 2022 hanno registrato utili record, pur senza raggiungere le cifre stellari del settore energetico.
Non sono mancate le polemiche. Secondo un’analisi di Greenpeace e Lighthouse Reports, i dieci maggiori fondi di investimento globali hanno guadagnato quasi 2 miliardi di dollari speculando sui prezzi di cereali e soia. Sebbene la cifra possa sembrare modesta rispetto ai profitti complessivi del settore, ha sollevato interrogativi sulla legittimità di operazioni che spingono ulteriormente al rialzo i prezzi di beni fondamentali. Per i critici, questo tipo di speculazioni rappresenta un guadagno ottenuto sulle spalle delle popolazioni più vulnerabili, alimentando la richiesta di una maggiore regolamentazione dei mercati alimentari.
Ma il conflitto non ha alimentato solo il business legale. Con milioni di dollari in armi e aiuti inviati all’Ucraina, si teme che il mercato nero possa diventare una minaccia crescente. Già nel 2022, in Moldavia, i sequestri di armi illegali sono aumentati di 12 volte rispetto all’anno precedente. Al momento, la situazione è sotto controllo grazie all’elevata necessità bellica dell’esercito ucraino, ma la fine del conflitto potrebbe aprire scenari preoccupanti. Se una minima parte delle armi avanzate, come lanciarazzi e sistemi antiaerei, finisse nelle mani sbagliate, le conseguenze sarebbero potenzialmente devastanti.
Per prevenire un disastro, l’Unione Europea ha avviato una collaborazione con la Moldavia, istituendo una task force congiunta per monitorare il traffico di armi e contrastare il loro ingresso nei mercati europei. Tuttavia, resta da vedere se questi sforzi saranno sufficienti a contenere un fenomeno che si è già dimostrato fuori controllo in altri scenari post-bellici.
Se il settore alimentare ha ottenuto guadagni nel breve termine, la domanda cruciale è: chi continuerà a vincere nel lungo periodo? Mentre il settore energetico sembra destinato a rallentare e quello alimentare cerca di stabilizzarsi, è il comparto militare a prepararsi per un possibile boom nei prossimi anni. L’aumento delle spese militari in Europa e la pressione degli Stati Uniti per ampliare la capacità produttiva indicano una direzione chiara.
La guerra in Ucraina ha mostrato che non esistono vincitori assoluti, ma solo attori che sanno adattarsi a un mondo in costante cambiamento. Tuttavia, i costi umani ed economici di queste trasformazioni sono destinati a lasciare segni profondi, soprattutto nelle aree più vulnerabili del pianeta. Forse, più che celebrare i profitti, sarebbe il momento di interrogarsi sulle conseguenze di un sistema globale sempre più polarizzato, dove ogni crisi sembra lasciare spazio a una nuova opportunità per pochi e un peso insostenibile per molti.
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