Emergenza casa, a Rimini l’affitto potrebbe costare il 13% in meno. “I Comuni rivedano subito gli accordi”

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Abitare in un appartamento di 85 metri quadrati, a Rimini, potrebbe costare “solamente” 763,60 euro al mese. La cifra potrebbe scendere ulteriormente a 600,30 euro per un appartamento di 60 metri quadrati. Il 13% in meno rispetto ai costi attuali. Tutto questo, stigmatizzano i sindacati Cgil, Spi Cgil e Sunia Rimini, se solo i Comuni si decidessero a “rivedere gli accordi sul canone concordato”, in assenza di un’azione incisiva da parte del governo centrale.

“La legge di bilancio approvata dal consiglio dei ministri non prevede fondi sufficienti per affrontare la grave emergenza abitativa che colpisce migliaia di famiglie italiane. Nonostante le recenti mobilitazioni promosse da Sunia, Cgil e Spi sul diritto alla casa, è stato approvato un emendamento che stanzia appena 10 milioni di euro per il 2025 e 20 milioni per il 2026”.  Così le sigle sindacali del Riminese denunciano un’emergenza abitativa tutt’altro che risolta. 

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“In Emilia-Romagna si prevedono circa 800 mila euro, una cifra esigua rispetto ai 1.340 sfratti eseguiti nel 2023, con un aumento atteso nel 2024 – stigmatizzano Cgil, Spi Cgil e Sunia Rimini -. Con i fondi stanziati sarà possibile affrontare solo il 20% dei casi”. Quanto alla sola provincia di Rimini, nel 2023, secondo i dati del ministero dell’Interno, “le richieste di esecuzione di sfratto, sia per morosità incolpevole sia per finita locazione, sono state 1.009, e 113 sfratti sono già stati eseguiti”. 

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“Il numero delle domande in graduatoria in attesa di assegnazione di un alloggio di Edilizia residenziale pubblica (Erp), nella provincia, ammonta a 2.966 – osservano i sindacati -. Le domande di contributo per l’affitto presentate da famiglie a basso reddito e meno abbienti nel corso del 2022 sono state circa 6 mila. Per effetto della cancellazione del relativo fondo nazionale da parte del governo Meloni, queste famiglie rimarranno prive di ogni sostegno”. 

I dati, a consuntivo 2024, potrebbero rivelarsi “ancora più gravi”, precisano le sigle. “Va ribadita l’urgenza di un grande Piano di edilizia residenziale pubblica e sociale, con finanziamenti adeguati e duraturi inseriti nella programmazione ordinaria di Regioni e Comuni, che garantisca il recupero di alloggi non utilizzati e la realizzazione di nuove unità abitative, partendo dal patrimonio immobiliare pubblico dismesso – puntano il dito -. La legge regionale 24/2017, pur non consentendo in generale l’edificazione di nuove aree residenziali, esclude da tale vincolo quegli interventi di edilizia residenziale sociale di cui c’è così grande bisogno”.

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Riflettori puntati anche sul costo dell’abitare. “Si calcola che l’abbordabilità degli alloggi, cioè l’incidenza del costo dell’abitare sul reddito disponibile, non debba superare la soglia del 30% – spiegano -. Oggi siamo lontani da questa soglia e, se il governo non interviene, si può comunque agire a livello locale rivedendo gli accordi sul canone concordato, che hanno visto un incremento del 13% a causa dell’inflazione, parametrata all’indice Istat. Perché non ‘depurare’ i canoni concordati dall’inflazione?”.

Per far comprendere gli effetti di questa proposta, Cgil, Spi Cgil e Sunia propongono degli esempi concreti. “Simulando il canone concordato di un appartamento arredato di 85 metri quadrati in zona pregiata, la fascia massima di canone risulta essere: per Rimini 897,28 euro, per Cesenatico 635,38, per Cervia 670,32 – spiegano -. Per un appartamento di 60 metri quadrati in zona semicentrale, i prezzi sarebbero: Rimini 675,99, Cesenatico 448,50, Cervia 479,04. Depurando l’Istat maturata del 12,61% avremmo, per Rimini, 763,60 per 85 metri quadrati e 600,30 per 60”.

Da qui la stoccata nei confronti di chi governa: “Esistono strumenti che possono calmierare il mercato degli affitti. Perché non utilizzarli? Sollecitiamo i Comuni a convocare gli appositi tavoli tra le parti interessate per rivedere gli accordi territoriali”.

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