Quando Di Pietro scrisse a Craxi: «Non volevo ironizzare su di lei»

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di
Tommaso Labate

Il leader socialista attraverso le lettere inviate e ricevute, da Wojtyla a Berlusconi, raccolte nel libro «Bettino Craxi. Lettere di fine Repubblica»

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«Mi dicono che le parole che ho pregato mio figlio di riferire hanno destato una certa sorpresa e financo forse infastidito. Mi dispiace. Io non desidero creare problemi più di quanti non ce ne siano (…) Va detto e ripetuto invece che il trattamento che in questi anni ho ricevuto dagli organi di informazione giornalistici e televisivi di tua proprietà è francamente difficile da descrivere. Salvo poche eccezioni la mia immagine è stata letteralmente cancellata. (…)». 

L’anno è il 1999, mancano pochi mesi alla fine. Nella lettera da Hammamet che il leader socialista scrive all’allora capo dell’opposizione emerge un tratto inedito dei rapporti tra Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, di cui il primo era stato amico stretto e testimone di nozze. Aggiunge Craxi: «In questi anni, ho ricevuto le visite più disparate. Anche il Papa mi ha inviato un religioso con un suo messaggio. Solo Veronica, carissima, si incontra ogni anno con mia moglie. Non si è mai presentato nessuno alla porta della mia casa per tuo incarico personale». 




















































La lettera è parte di epistolario scovato e portato alla luce dallo storico Andrea Spiri, raccolto nel volume Bettino Craxi. Lettere di fine Repubblica, in uscita venerdì prossimo per Baldini+Castoldi. Le missive ricoprono un periodo che va dal 5 luglio 1989 (la prima è indirizzata da Craxi a Giovanni Falcone dopo il fallito attentato dell’Addaura, il segretario del Psi scrive «sono felicissimo dello scampato pericolo, si guardi e si straguardi», accreditando implicitamente la tesi delle «menti raffinatissime» che secondo il giudice si nascondevano dietro l’agguato) alla fine del 1999, poco prima della morte. 

Tra le ultime, quella in cui l’avversario storico e suo predecessore alla guida del Psi, Francesco De Martino, scrive: «Seguo con profonda partecipazione ed ansie le vicende di salute di Bettino. (…) Prego i familiari di recargli, se possibile, l’espressione dei miei sentimenti di amicizia di lunga data, non mutati dalle traversie del passato»; e anche quella che contiene le poche righe che Craxi indirizza a papa Wojtyla: «Santo Padre, don Verzè mi porta il suo messaggio augurale. Grazie. La unica grande fiducia è in lei. Offro le mie sofferenze per il mio Paese e per le intenzioni di Vostra Santità». 

L’epistolario raccolto da Spiri contiene i messaggi in bottiglia — a volte partono da Craxi, a volte lo raggiungono — attraverso cui leggere sotto una lente nuova la crisi della Prima Repubblica, Mani pulite, la nascita della Seconda. Il 30 settembre 1991, in vista della prima finanziaria che richiede la valutazione della Comunità europea, il presidente del Consiglio Giulio Andreotti scrive al leader socialista di non alzare le pretese sull’età pensionabile: «Caro Bettino, (…) non ho ulteriori margini e ti prego di incoraggiare i ministri socialisti a concordare. Siamo arrivati a 400 miliardi al giorno di servizio degli interessi. È il ciglio del burrone». 

Nel marzo 1992, quando Mani pulite è già partita e le nuove elezioni sono alle porte, gli scrive Sandra Milo: «Caro Bettino, vorrei davvero esserti utile in qualche modo, e quando non vengo respinta, cerco di aiutare le persone che lavorano con te. (…) Coraggio, forza e amore, ce la farai alla grande come sempre e che Dio illumini le tue scelte (…) aspetto la tua vittoria». Un mese dopo, Craxi viene raggiunto dalla lettera di Mario Chiesa, che aveva definito un «mariuolo», il primo arrestato di Tangentopoli: «Caro Bettino, trovo solo ora il coraggio di scriverti dopo 45 g. di cella di isolamento (…) Tengo a dirti che la stampa disinformata ha cercato di farmi passare per un pentito. Nulla di più falso. Chiesa non ha fatto nomi (…)». 

La vicenda umana, politica e processuale di Craxi prende a metà del 1992 la china nota. All’avviso di garanzia di dicembre mancano ancora sei mesi. In una lettera del 19 giugno 1992, Marco Pannella scrive all’amico: «Caro Bettino, premesso che sei un coglione, spessissimo e grossissimo, che non capisci (quasi) nulla, (…) sto inutilmente cercando di farti capire che mi fa paura il grado di insensibilità (…) con cui continui a farti odiare dalla gente (…)».

Nel corso della prima udienza del processo sulla maxitangente Enimont, il 5 luglio 1994, Craxi presenta un’istanza di rinvio del dibattimento per motivi di salute, annota Spiri; Antonio Di Pietro, rivolgendosi al presidente della quinta sezione del Tribunale di Milano, pronuncerà sarcastico la celebre frase sul «furuncolone» («Mi sembra che l’imputato abbia un furuncolone pieno di pus al piede sinistro»). Nell’epistolario, spunta una lettera riservata che Di Pietro fa pervenire a Craxi attraverso l’avvocato Enzo Lo Giudice, in cui il pm nega di aver maramaldeggiato con l’imputato.

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«Non era e non è mia intenzione ironizzare sulle condizioni di salute di chicchessia perché so bene quali siano i patemi d’animo, le preoccupazioni, lo stato d’ansia che coinvolge chi ha problemi cardiaci e diabetici. Ho il difetto, questo sì, di spiegarmi in modo semplice ed elementare (…) ma non deve mai essere interpretato come volgare ironia». Craxi, all’epoca, era già volato ad Hammamet. Viaggio di sola andata.

Il libro

Il volume Bettino Craxi. Lettere di fine Repubblica (Baldini+Castoldi, pp. 288, € 18) sulla corrispondenza del leader socialista con i protagonisti dell’ultimo decennio della Prima Repubblica, è stato curato da Andrea Spiri, responsabile delle attività storico-scientifiche della Fondazione Bettino Craxi

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14 gennaio 2025 ( modifica il 14 gennaio 2025 | 07:16)

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