le sfide psicologiche di rifugiati e richiedenti asilo

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Oltre le frontiere: diverse etichette per la mobilità umana

Ogni giorno, in tutto il mondo, le persone prendono una delle decisioni più difficili della loro vita: abbandonare la propria casa in cerca di una vita più sicura e migliore (Amnesty International).

Varie motivazioni sono alla base della mobilità umana, ed etichette come rifugiato, migrante e richiedente asilo rappresentano termini temporanei che vanno oltre tali motivazioni, esprimendo una sola, comune esperienza: lasciare il proprio Paese. 

Tuttavia, la distinzione tra i termini ci aiuta a ricordare i loro diversi significati in senso politico, giuridico, mediatico, di sicurezza, sanitario e legale (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, IOM). 

I rifugiati, infatti, sono minacciati e perseguitati all’interno del loro Paese d’origine a causa della loro razza, religione, orientamento politico, appartenenza a un particolare gruppo etnico o sociale, e hanno diritto a protezione internazionale. Un richiedente asilo è colui che presenta domanda di protezione nel Paese in cui si rifugia; tale processo potrebbe richiedere anche anni, nell’arco dei quali il richiedente asilo non può essere rimpatriato in un contesto in cui la sua vita potrebbe essere a rischio. I richiedenti asilo non sono tutti riconosciuti come rifugiati, ma tutti i rifugiati sono originariamente richiedenti asilo. Al contrario, sono considerati migranti coloro che oltrepassano i confini per scelta, a causa di motivi economici, ambientali, familiari ecc. 

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Vivere nel limbo nel Paese d’origine e nel Paese ospitante

Di qualunque tipo di mobilità umana si tratti, essa non è mai esente da rischi.

Durante il processo di reinsediamento, ad esempio, si possono sperimentare circostanze ostili, ostacoli nel viaggio migratorio, esperienze stressanti di fuga o vita in campi profughi, barriere culturali o linguistiche, disoccupazione, difficoltà finanziarie, perdita di status, cultura e identità, che si aggiungono alle esperienze avverse vissute nei Paesi natii di atrocità, guerre, separazione o perdita dei familiari (Osman et al., 2024). Imprevedibilità e incertezza per il futuro caratterizzano le migrazioni, delineando uno stato definito dalla letteratura sul tema di “limbo”, in cui prevalgono l’incapacità di prevedere le traiettorie di vita future e uno status legale non ancora definito e insicuro (Côté-Olijnyk et al., 2024).

Migranti clandestini e richiedenti asilo, ad esempio, una volta nel paese ospitante, si ritrovano in uno stato di incertezza, in attesa per periodi di tempo indeterminati, a volte impossibilitati a lavorare, studiare o riunirsi alla famiglia, in alcuni casi vivendo la costante minaccia della deportazione. Secondo alcuni autori, la “violenza dell’incertezza” rappresenta una condizione di stress protratto nel tempo, in grado di aggravare l’impatto di precedenti esperienze traumatiche (Phillimore & Cheung, 2021; Melamed et al., 2019).

La salute mentale dei rifugiati e dei migranti

A fronte di tali fattori, la maggior parte dei richiedenti asilo e dei rifugiati appena reinsediati non viene sottoposta a screening per la salute mentale (Barnes, 2001; Hvass & Wejse, 2017). Il crescente bisogno critico di promuovere la salute mentale tra i richiedenti asilo, i rifugiati e i migranti spinge una porzione sempre maggiore di ricerca a interrogarsi sulla dimensione psicologica della migrazione. 

Una revisione condotta su 38 studi ha indagato la prevalenza e i fattori predittivi dei disturbi mentali tra richiedenti asilo, rifugiati e migranti adulti, bambini e minori non accompagnati, provenienti dai paesi africani (Côté-Olijnyk et al., 2024).

Prevalenza dei disturbi mentali negli adulti

Un’osservazione importante derivante dallo studio è che la maggior parte dei richiedenti asilo, migranti e rifugiati tende a trasferirsi all’interno dell’Africa stessa, mentre i gruppi di età più giovani tendono a lasciare il continente, in particolare verso l’Europa. 

I dati suggeriscono che i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti africani hanno maggiori probabilità di soffrire di disturbi mentali. È stata rilevata una prevalenza più elevata di disturbo da stress post traumatico e depressione nei campioni africani, rispetto alle popolazioni globali di migranti e rifugiati (disturbo post traumatico da stress: dal 20% al 94% negli africani, contro 31.5% altre popolazioni; depressione: dal 20% al 67% negli africani, contro il 31.5% nei migranti in genere).  Gli autori ipotizzano che tali dati siano legati alla natura delle migrazioni forzate all’interno dell’Africa, dovute principalmente a guerre o violenze. La ricerca, infatti, mostra che i sopravvissuti africani alla guerra e i rifugiati africani provenienti da regioni colpite da conflitti evidenziano tassi di disturbo post traumatico da stress più elevati. 

Inoltre, le popolazioni africane hanno anche tassi di prevalenza significativamente più alti rispetto ad altri gruppi di migranti e rifugiati colpiti dalla guerra, come i siriani reinsediati nei paesi occidentali, che segnalano una prevalenza di disturbo post traumatico da stress e depressione al 31,5%. La ragione di questa osservazione non è chiara e meriterebbe ulteriori ricerche; ad ogni modo, i ricercatori ipotizzano che le scarse condizioni di vita dei rifugiati e dei migranti africani nei paesi africani ospitanti, le sfide costituite da razzismo ed esclusione sociale nei paesi ospitanti occidentali possano contribuire a condizioni di salute mentale più gravi.

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Al contrario, disturbi d’ansia e psicosi sembrano meno diffusi tra richiedenti asilo, migranti e rifugiati africani rispetto alla popolazione generale. Secondo lo psichiatra D. Summerfield, professore onorario presso l’Institute of Psychiatry di Londra e membro del Comitato Esecutivo del Gruppo di Interesse Speciale Transculturale presso il Royal College of Psychiatry, le nozioni occidentali di ansia e psicosi e, pertanto, criteri e strumenti diagnostici per rilevarle, potrebbero non essere applicabili alla cultura africana (2013).

Inoltre, le donne mostrano maggiori probabilità di soffrire di disturbo post traumatico da stress rispetto agli uomini, a causa del trauma della violenza sessuale di genere. È più probabile, infatti, che le donne subiscano abusi e violenze durante i periodi di conflitto (Sidebotham et al., 2016; Vu et al., 2014), il che può aumentare per loro il rischio di stress post traumatico, congiuntamente a pressioni per l’educazione dei figli, problemi di sicurezza e sfruttamento. 

Prevalenza dei disturbi mentali nei bambini

Esiste una marcata differenza nella prevalenza di problemi di salute mentale tra i minori non accompagnati in Africa e in Europa; ad esempio, i minori eritrei in Sudan hanno mostrato l’88,9% di prevalenza di ansia e depressione, e i minori africani in Austria hanno dimostrato tassi dal 17 al 29% di depressione. Uno studio di Scharpf e colleghi (2024) esamina intere famiglie burundesi per la tendenza alla suicidalità: madri e padri hanno mostrato diverse discrepanze, con le madri più colpite rispetto a padri e bambini che mostrano tassi più bassi quando vivono con i genitori. Secondo questi risultati, i bambini del Burundi più propensi a suicidarsi se soffrono di disturbi esternalizzanti, le madri principalmente a causa della violenza e i padri a causa di traumi legati alla guerra.

Un ulteriore studio della revisione (Anakwenze & Rasmussen, 2021) indica che la malattia mentale nei genitori di richiedenti asilo, migranti e gruppi di rifugiati può manifestarsi nei loro figli, anche se nati e cresciuti nel Paese di destinazione, senza dover affrontare condizioni di sfollati o volontà nei loro paesi di origine. Gli ambienti stranieri possono presentare diverse sfide, tra cui l’isolamento sociale e culturale, la riorganizzazione delle relazioni familiari, la difficoltà di adattamento alla cultura e limitate opportunità economiche e sociali.

Predittori della prevalenza di disturbi mentali

Alcune caratteristiche demografiche risultano associate a una maggiore prevalenza di disturbi di salute mentale nella popolazione migrante africana: età avanzata, genere femminile, mancanza di istruzione, disoccupazione e condizioni abitative carenti. Ulteriori predittori delineati sono rappresentati da storia di sfollamento, scarso supporto sociale, separazione dalla famiglia durante la migrazione, isolamento post-migrazione e atteggiamenti ostili da parte delle popolazioni ospitanti. Condizioni tipiche dello status di rifugiato o richiedente asilo che potrebbero fungere da predittori sono la durata di tempo trascorso come rifugiati o in attesa di asilo, la difficoltà nel ricevere assistenza medica e la discriminazione subita.

Per quanto riguarda le popolazioni di rifugiati in Paesi ospitanti al di fuori dell’Africa, uno studio qualitativo ha rilevato alcuni fattori di stress quotidiano, associati a una maggior prevalenza di disturbi mentali e livelli più elevati di stress psicosociale (Badri et al., 2020): molestie (verbali, sessuali e fisiche), razzismo, difficoltà finanziarie, disagio derivante dalla scarsa istruzione e libertà personale limitata.

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