Le mani della finanza globale sulla ricostruzione dell’Ucraina

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A fine giugno 2023, Londra ha ospitato la Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina, un evento che non ha solo gettato le basi per il futuro del Paese devastato dalla guerra, ma anche per un massiccio intervento dei grandi capitali internazionali. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha chiesto altri 50 miliardi di euro per sostenere Kiev, portando il contributo totale dell’UE a 100 miliardi. Ma è solo l’inizio. Per la ricostruzione del Paese serviranno 400-500 miliardi di euro, di cui un terzo in donazioni e il resto in prestiti, pubblici e privati.

Ed è proprio qui che si nasconde il vero obiettivo: fare dell’Ucraina una piattaforma aperta e deregolamentata per i grandi investitori globali. Con una simile mole di debiti, il Paese sarà di fatto governato dal cartello dei finanziatori, riuniti sotto l’ombrello dell’Ukraine Business Compact. Non è un caso che Londra, capitale della finanza globale, sia stata scelta come sede della conferenza. Gli Stati Uniti, con i loro fondi d’investimento – Vanguard, BlackRock, State Street – si posizionano già come i principali “sostenitori” della ricostruzione, con la prospettiva di emettere i tanto attesi “Ukraine Bond”, veicolati al pubblico attraverso le principali banche.

La guerra come motore della finanza

Mentre in Ucraina si prepara questa ricostruzione, altrove la guerra alimenta i profitti dei soliti noti. Lo scoppio del conflitto in Palestina ha fatto schizzare in alto i titoli delle aziende produttrici di armi. Lockheed Martin, Northrop Grumman, Raytheon, Boeing e Leonardo hanno visto crescere il valore delle loro azioni, garantendo dividendi sempre più ricchi agli azionisti. E chi sono questi azionisti? Sempre loro: Vanguard, BlackRock, State Street, Geode Capital. Insieme possiedono quote significative di queste aziende, arrivando al 35% in Lockheed Martin, al 40% in Northrop Grumman e al 30% in Raytheon. Non si tratta di semplici coincidenze: la speculazione sui conflitti e sul riarmo trasforma la guerra in un’opportunità di guadagno immediato. Gli stessi fondi che si “occuperanno” della ricostruzione in Ucraina, scommettono contemporaneamente sulle tensioni militari globali.

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Il rame, il nuovo oro rosso

C’è un altro settore strategico che i “padroni del mondo” stanno già colonizzando: il rame. Considerato fondamentale per la transizione energetica e le tecnologie del futuro, il rame è destinato a diventare il nuovo petrolio. Non a caso, i grandi fondi si sono posizionati anche qui. Vanguard, BlackRock e State Street possiedono significative partecipazioni in aziende come Bhp Group, Freeport-McMoRan e Rio Tinto. Ma non basta. Gli occhi dei colossi finanziari sono puntati sui produttori cileni, in particolare Codelco, azienda statale che, in difficoltà economiche, rischia di cadere nelle mani dei privati. Se riusciranno a monopolizzare il mercato del rame, come già accaduto per altre risorse, potremo attenderci una nuova impennata speculativa sui prezzi, con l’inevitabile impatto sull’economia globale: inflazione e costi crescenti per tutti, tranne che per loro.

Il  futuro governato dai fondi

Dietro le narrazioni ufficiali di ricostruzione e innovazione tecnologica, si cela la realtà di un mondo sempre più dominato da pochi attori finanziari. Che si tratti di armi o di materie prime strategiche, i grandi fondi d’investimento non lasciano nulla al caso. L’Ucraina, il rame e i conflitti globali diventano così strumenti per arricchire pochi e impoverire molti. La vera domanda non è chi pagherà il prezzo di queste operazioni, ma per quanto tempo ancora accetteremo che siano loro a scrivere le regole del gioco.

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