ecco le scelte, dall’infanzia alle superiori

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Lezione durante l’ora di religione

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In un anno così particolare come è quello giubilare, neppure il mondo dell’educazione può restare al di fuori delle grandi domande di speranza che l’Anno Santo porta con sé. Anzi «il tema della speranza provoca in modo speciale il mondo dell’educazione e della scuola, luoghi in cui prendono forma le coscienze e gli orientamenti di vita e si pongono le basi delle future responsabilità». È il passaggio centrale del Messaggio che la presidenza della Conferenza episcopale italiana invia agli studenti e alle loro famiglie alla vigilia dell’apertura del periodo delle preiscrizioni al primo anno del ciclo scolastico che i ragazzi e le ragazze inizieranno il prossimo settembre, termine che quest’anno il ministero dell’Istruzione e del merito ha fissato dal 20 gennaio al 10 febbraio prossimi.
Un appuntamento tradizione, quello del Messaggio, che se da una parte ricorda un adempimento che le famiglie sono chiamate a fare per il percorso formativo dei loro figli, dall’altra permette di ribadire i motivi non tanto religiosi, ma quanto culturali e sociali della scelta dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola. Una scelta che le famiglie devono fare all’inizio del ciclo scolastico (infanzia, primarie, secondaria di primo e di secondo grado) perché dopo la revisione dei Patti Lateranensi nel 1984, la cosiddetta ora di religione è diventata una materia opzionale, cioè va scelta. Opzionale, ma pienamente inserita nel percorso formativo scolastico, visto che chi decide di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica deve scegliere su diverse opzioni, tra cui lo studio individuale, o studio assistito con un docente tutor.
E va detto che, dopo quarant’anni di scelta opzionale, l’insegnamento della religione cattolica a scuola viene scelto dall’84% degli studenti (l’84,05% per l’esattezza) italiani secondo gli ultimi dati disponibili che sono relativi all’anno scolastico 2022/23, mentre quello dello scorso anno sono ancora in fase di raccolta e di elaborazione complessiva, ma non si discosteranno da quelli dell’anno precedente. Dunque, un insegnamento che pur essendo opzionale incontra il favore di una larga fetta delle famiglie e degli studenti del nostro Paese, che nel corso degli ultimi decenni ha visto crescere anche la percentuale di studenti di famiglie che professano altre religioni. Eppure il Messaggio annuale che la presidenza della Cei rivolge al mondo della scuola è diretto anche a loro, sottolineando come la comprensione della nostra cultura, della nostra storia, della nostra arte passa anche dalla cultura cattolica del nostro Paese.
«Cogliamo l’occasione per invitarvi ad accogliere questa possibilità – si legge nel documento diffuso ieri dalla Cei –, grazie alla quale nel percorso formativo entrano importanti elementi etici e culturali, insieme alle domande di senso che accompagnano la crescita individuale e la vita del mondo. Il tutto, in un clima di rispetto e di libertà, di approfondimento e di dialogo costruttivo». Inoltre da pochi giorni è iniziato il Giubileo 2025, cioè «un evento dai forti significati non solo religiosi, ma anche culturali e sociali, a conferma di come il messaggio cristiano parli all’uomo di oggi non meno di quanto abbia inciso in passato nella storia e nella cultura nazionale e mondiale. Il Giubileo, infatti, è tra le altre cose sinonimo di riconciliazione, di pace, di dignità umana, di giustizia, di salvaguardia del Creato, beni essenziali di cui sentiamo un urgente bisogno».
E per esemplificare come la scuola non possa restare estranea a questo evento di riflessione, ecco che il Messaggio Cei offre anche alcune domande: «Quale speranza dà senso all’esistenza? Dove è possibile riconoscere e trovare ragioni di vita e di speranza? E ancora, prendendo a prestito le parole di papa Francesco, come sostenere la necessità di «un’alleanza sociale per la speranza, che sia inclusiva e non ideologica, e lavori per un avvenire segnato dal sorriso di tanti bambini e bambine» (Spes non confundit, 9)?». Insomma anche l’insegnamento della religione cattolica vuole inserirsi in questo tempo di essere pellegrini di speranza.
E «testimoni di speranza» sono i docenti di religione, «che uniscono alla competenza professionale l’attenzione ai singoli alunni e alle loro domande più profonde. Siamo molto grati a tutti gli insegnanti che, mentre offrono le ragioni della speranza che li muove, accompagnano coloro che stanno crescendo a scoprire la bellezza e il senso della vita, senza cedere alle tentazioni dell’individualismo e della rassegnazione, che soffocano il cuore e spengono i sogni». Del resto l’apprezzamento per questo insegnamento passa anche attraverso la professionalità, l’impegno e la passione che questi professori e professoresse mettono nello svolgere il proprio compito di docente. Un pattuglia di circa trentamila docenti (tra prof di ruolo e quelli con incarico annuale) di ogni ordine e grado che da oltre quarant’anni sono impegnati a rendere l’Irc un contributo reale e concreto nella formazione umana degli studenti a loro affidati dalle famiglie.
«Il cammino dei prossimi mesi – anche grazie all’Irc – ci aiuti a ritrovare la fiducia e il coraggio di aprire le famiglie, le scuole e tutte le comunità a nuovi orizzonti di collaborazione e di speranza» conclude il Messaggio della presidenza Cei.

I numeri che spiegano perché la maggioranza delle famiglie sceglie l’ora di religione

84,05%
è la percentuale degli studenti italiani che scelgono di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica a scuola(dati 2022/23)

87,69%
è la percentuale di chi si avvale nella scuola dell’infanzia. Si va dal 96,78% registrato nelle regioni del Sud, all’88,62% degli iscritti nelle regioni del centro e si arriva all’80,71% al nord

88,13%
è la percentuale che si registra nella scuola primaria. Anche in questo caso il sud è al primo posto con il 96,76%, seguito dal centro che arriva all’89,7%, Chiude il nord che si attesta all’82,37%

85,15%
è la percentuale registrata nelle scuole medie, che a livello di zone vede prevalere il sud con il 96,29% degli avvalentesi, seguito dal centro con l’85,65% e infine il nord con il 78,68%

78,03%
è la percentuale degli studenti delle superiori che frequentano l’Irc. Nelle scuole del sud si arriva la 95,8%, mentre al centro si scende al 75,34% e si chiude al nord con un 68,7%

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