Cooperazione, su lavoro e cultura troppe gare al ribasso

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Retribuzioni sotto la soglia di povertà, che oscillano tra i quattro, cinque e i sei euro netti l’ora. Stipendi talmente bassi da non garantire condizioni di vita dignitose: sono quelli che percepiscono i lavoratori di molte cooperative attive nei musei, nei teatri, nelle fondazioni.

A Milano la scorsa settimana è scoppiato il caso dei lavoratori sottopagati che operano nei principali luoghi della cultura: maschere, commessi, portieri e custodi. Nonostante questi stipendi siano formalmente in regola con gli accordi sindacali, la Procura li ha giudicati contrari all’articolo 36 della Costituzione, ritenendoli insufficienti a garantire un’esistenza dignitosa. Le società coinvolte nel caso hanno già replicato ma ci vorrà tempo per fare chiarezza su una vicenda che merita comunque una riflessione. 

Un sistema che cresce

Irene Bongiovanni, presidente di Confcooperative cultura turismo sport, prova ad andare oltre questa vicenda. «Non è la prima volta che emergono questi casi negli appalti legati al mondo della cultura, ma», sottolinea, «credo che per un’analisi corretta serva sottolineare che il mondo delle imprese culturali sta crescendo rispetto a qualche anno fa, in termini di fatturato e di occupati». L’ultimo dato parla di 1 milione e mezzo di lavoratori tra addetti alla cultura e creativi (880 mila solo nella cultura), in crescita del 2% rispetto ai due anni precedenti.

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Non solo. A fronte di questa crescita, il legislatore ha finalmente deciso di creare una normativa riconoscendo alle imprese culturali una loro specificità, anche sotto il profilo lavorativo. «Ogni euro investito nella cultura», rimarca la presidente, «ne restituisce 1,8. E questo vuol dire che è un sistema importante e interessante per il Paese». 

Il lavoro nella cultura

In un quadro, spiega Bongiovanni, in cui «cresce l’interesse, cresce l’occupazione, crescono le professioni. Certo, ci sono imprese che non interpretano in modo corretto il lavoro in ambito culturale». Ebbene, questo argomento ci deve spingere «ad uno sforzo ulteriore e ad occuparci seriamente, tutti quanti, del lavoro nella cultura».

In quel “tutti, si ricomprendono «le stazioni appaltanti e quindi gli enti pubblici, le fondazioni che dedicano delle risorse».  Da dove partire? «Le imprese devono impegnarsi a riconoscere dei contratti dignitosi, sicuramente non quelli da 5 euro l’ora». Un impegno che «vale anche per le stazioni appaltanti che mettono a gara questi servizi». Spesso, aggiunge, «rileviamo da parte delle stazioni appaltanti gare con importi non corretti, non equi. È una partita che dobbiamo giocare tutti insieme».

Un passo in avanti necessario

Preso atto che le imprese culturali e creative sono un patrimonio importante del nostro Paese, che tuttavia non è valorizzato, per il lavoro culturale si aprono grandi opportunità in termini di ricadute occupazionali e di crescita complessiva del territorio. «Il contesto oggi è favorevole, ma dobbiamo lavorare insieme: pubblico, imprese, sindacati». Per Bongiovanni sul tema del lavoro «occorre fare un passo in avanti. I tempi lo richiedono».

Il partenariato speciale pubblico privato

Un passo in avanti? Una delle possibili direzioni è quella offerta dal partenariato speciale pubblico privato, anche noto con l’acronimo Pspp. Il bene, che appartiene allo Stato, diventa «elemento di una progettazione culturale di lunga durata che non prevede soltanto un servizio da parte del privato, ma è al centro di un progetto complessivo di sviluppo». In questo modo cambia e cresce anche il ruolo del privato, che viene messo nelle condizioni di «investire e fare occupazione, diventando strategico». Il primo accordo Pspp «è quello del Teatro Tascabile di Bergamo, ma oggi sono tante le esperienze di questo tipo in Italia». 

In apertura foto di Kyle Head per Unsplash

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