Da Zuckerberg a Bezos, Big Tech va alla corte di Donald Trump

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Mar-a-Lago chiama Pennsylvania Avenue: i Ceo della Silicon Valley sfilano, uno dopo l’altro, alla corte di Donald Trump nella sua residenza in Florida per parlare delle future politiche tecnologiche ed economiche del presidente eletto e mostrano un atteggiamento collaborativo esemplificato nelle donazioni versate per la cerimonia inaugurale del 20 gennaio.

Da Cook a Zuckerberg, passando per Bezos: tutti in fila da Trump

Tutti in fila per Trump, insomma, in una dimostrazione plastica di quello che è il primato della politica, specie della politica di una potenza che è impero e con il Trump 2.0 intende dirlo a gran voce nel mondo. E non si tratta solo della volontà di inseguire Elon Musk, che della proiezione politica (e geopolitica) del suo business ha fatto un dato fondamentale negli ultimi anni ed è diventato uno dei registi della vittoria elettorale di Trump. Parliamo anche di una volontà concreta di collaborazione che mira a portare il Big Tech a capitalizzare, con forza, il Trump 2.0 e le sue politiche pronte a favorire il grande business, i miliardari, il rafforzamento del legame tra frontiera tecnologica e sicurezza nazionale.

C’è chi, come Microsoft, ha mantenuto un approccio in continuità: il gruppo fondato da Bill Gates e guidato da Satya Nadella ha donato mezzo milione di dollari all’inaugurazione di Trump così come aveva fatto nel 2017 e nel 2021 con Joe Biden. Poi c’è il trittico di top manager e imprenditori più storicamente vicino al Partito Democratico: Jeff Bezos, Tim Cook, Mark Zuckerberg. Il patron di Amazon, il Ceo di Apple e il fondatore di Facebook si sono recati a Mar-a-Lago e hanno avuto un attivo confronto con Trump.

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Tutti hanno un interesse esplicito nel rapporto con la nuova amministrazione: Amazon, come Microsoft, è in primo luogo appaltatrice federale del cloud e degli investimenti in data center e con la costellazione Kuiper sta studiando un sistema satellitare per far concorrenza a Starlink del magnate e futuro boiardo di Stato Musk. Apple vuole prepararsi al possibile impatto di politiche commerciali orientate al reshoring industriale da parte di Trump. Zuckerberg necessita di ricostruire un rapporto, come sta dimostrando con l’inversione a U su molte politiche ostili al mondo trumpiano e repubblicano promosse da Meta, dall’uso di fact-checking su Facebook alle politiche di diversità e inclusione nella scelta di dipendenti e fornitori.

A loro si aggiunge Sam Altmann, fondatore di OpenAI, e come riporta Fast Company Trump avrebbe incontrato anche il co-fondatore di Google Sergey Brin e il Ceo di Alphabet Sundar Pichai a Mar-a-Lago e anche esponenti di TikTok e Netflix.

Parigi val bene una messa…

Per tutti, fanno gola le politiche economico-finanziarie di Trump, che promette grandi tagli fiscali e una spinta agli investimenti volto a far proseguire la sardana borsistica che nel 2024 ha visto, spinto dall’intelligenza artificiale, il boom dell’indice S&P500. Si spera, inoltre, che un rapporto costruttivo con la nuova amministrazione tamponi le esuberanze di molti membri del movimento Maga (Make America Great Again), la corrente populista e conservatrice del Partito Repubblicano più vicina a Trump, che ha costruito sinergie con la sinistra del Partito Democratico sul tema della regolamentazione e della lotta antitrust al Big Tech.

In nome di business e interesse nazionale, i custodi della tecnologia chiave per mantenere l’America impero mettono sotto terra i conflitti del primo mandato di The Donald. Un tempo si diceva che Parigi valeva bene una messa, oggi si può dire i dividendi attesi dalle politiche trumpiane valgono bene un inchino a Mar-a-Lago.

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