La situazione di Mohammed Abedini non è solo un fatto giuridico ma anche, anzi soprattutto, politico. Lo ha detto Giorgia Meloni ieri durante la sua conferenza stampa: «È al vaglio tecnico e politico del ministero della Giustizia. È una vicenda che bisogna continuare a discutere con i nostri amici americani».
I CONTORNI dell’accordo che ha portato alla liberazione di Cecilia Sala, tornata in Italia mercoledì dopo 21 giorni passati nel carcere di Evin a Teheran, sono ancora incerti e probabilmente tali resteranno per sempre. Di spifferi però ce ne sono parecchi: l’Iran ha di certo ottenuto la rassicurazione che Abedini, arrestato a Malpensa lo scorso 16 dicembre, non verrà mai estradato negli Usa, dove su di lui pendono accuse di cospirazione, terrorismo e associazione a delinquere. Washington, che rinuncia soprattutto a interrogarlo pur sospettando che lui sappia molte cose sulle faccende militari iraniane, avrà comunque accesso alle informazioni presenti sui suoi dispositivi elettronici. L’escamotage tecnico per arrivare a mettere materialmente le mani su questi device potrebbe trovarsi nel fascicolo aperto dalla procura di Milano sul caso. Benché sia ancora senza ipotesi di reato né indagati, potrebbe tornare utile per una futura rogatoria internazionale sul materiale.
POI C’È LA DIPLOMAZIA che si è mossa intorno all’affaire Sala-Abedini, scoppiato in un momento particolarmente delicato per il Medio Oriente in generale e per l’Iran in particolare. Complicazione che, va da sé, si riflette anche nei rapporti che la Repubblica islamica ha con il resto del mondo. A partire proprio dagli Stati Uniti. Tra i due paesi, formalmente, i rapporti diplomatici sono inesistenti e le dichiarazioni pubbliche dei rispettivi governi sono all’insegna della reciproca ostilità. In questo quadro, l’Italia sarebbe un ottimo intermediario, in quanto alleato storico degli Usa dotato di ottimi rapporti anche gli iraniani. Questa posizione ha un nome e un cognome: Giovanni Caravelli, direttore dell’Aise (i servizi segreti esterni), che ha seguito le trattative con Sala da vicino ed è pure volato a Teheran nel giorno della liberazione per ripotarla a casa. Nel 2022, peraltro, riuscì a fare la stessa cosa con la blogger Alessia Piperno. Un dettaglio da notare è che entrambe le vicende si sono risolte nel giro di poche settimane (tre per Sala, sei per Piperno), mentre di solito chi viene catturato in Iran ci rimane per anni prima che si trovi il modo di risolvere la situazione.
QUESTO DIMOSTRA non solo l’abilità di Caravelli ma anche i buoni contatti di cui dispone in Iran. Non è un caso che durante tutto l’intrigo internazionale cominciato la settimana prima di Natale, l’Italia abbia sempre evitato di forzare la mano, evitando persino di mandare segnali di piccolo cabotaggio come la negazione di qualche visto o l’espulsione di qualche diplomatico minore. Sarebbero stati atti ampiamente giustificati di fronte a un arresto, quello di Sala, privo di qualsiasi base (le accuse nei suoi confronti sono sempre rimaste indefinite). E però non è successo niente e si è arrivati al giorno della liberazione senza strappi. Il che non vuol dire che l’Italia abbia trattato bene: i primi giorni sono stati una sequenza di sottovalutazioni ed errori, tra il mancato coinvolgimento dell’intelligence nel blitz di Malpensa e il trattamento carcerario riservato ad Abedini, che era stato spedito a Rossano, la «nostra Guantanamo», dove vengono reclusi tutti gli accusati di terrorismo internazionale. «L’uomo dei droni», adesso, è atteso mercoledì prossimo davanti ai giudici della Corte d’appello di Milano, che dovranno decidere sulla sua istanza di scarcerazione. Ieri il suo avvocato, Alfredo De Francesco, ha depositato alcune integrazioni alla sua richiesta di arresti domiciliari in una residenza offerta dal consolato iraniano con controllo a distanza tramite braccialetto elettronico. La procura generale non ha presentato un parere avverso e si limiterà a replicare in aula.
IN OGNI CASO la partita può risolverla in qualsiasi momento il ministro della Giustizi a Carlo Nordio, che con una sola firma, e senza dover dare giustificazioni, ha la facoltà legale sia di scarcerare Abedini sia di negare la sua estradizione negli States. Il Guardasigilli, però, prende ancora tempo: «Stiamo valutando con le carte che abbiamo e ci affidiamo al giudizio della Corte», ha detto ieri sera al Tg1.
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