Il fotografo Renda dedica intere giornate nel suo studio di Tiriolo (Catanzaro) alla ricostruzione di immagini. Un milione di scatti sulla realtà della sua regione e del Sud d’Italia
«Il fotoritocco è nato con la fotografia stessa. Negli anni della grande emigrazione verso gli Stati Uniti, le famiglie venivano riunite attraverso la tecnica fotografica. Il capofamiglia spediva una sua immagine che veniva collocata tra i suoi cari. Fotomontaggi imperfetti e preziosi. Oggi, si usano i computer, si cambiano luci e colori, ma il concetto di base è rimasto invariato: la fotografia è un mezzo di comunicazione che rende possibile anche l’impossibile». Antonio Renda è un fotografo di antica fattura. Non ha ancora abbandonato né la macchina manuale né il rullino, né la camera oscura né la stampa in bianco e nero. Tra le sue dita scorrono pellicole e vetrini risalenti a oltre cento anni fa, «un patrimonio che di giorno in giorno si sta sbiadendo e da salvare», dice lui. In quattro decadi di carriera ha collezionato circa centomila immagini antiche e ne ha realizzate un milione sulla realtà della Calabria e del Sud Italia di oggi: paesaggi, tradizioni popolari e opere d’arte.
«La fotografia è il mio modo di raccontare la vita», dice zigzagando tra le immagini in formato maxi dell’ultima mostra che ha curato, dedicata a Tony Gaudio, il primo italiano ad aver vinto un premio Oscar. «Lavorò a Hollywood come direttore della fotografia e regista. Vinse la prestigiosa statuetta nel 1937 per il film Avorio Nero. Le foto in mostra sono il frutto di un’intensa ricerca di archivio, svolta sui magazine d’epoca comprati su internet, chiedendo ai collezionisti e ai suoi eredi».
Renda vive a Tiriolo (Catanzaro) un paese arroccato su una collina a circa 700 metri sul livello del mare. Fa da spartiacque tra la valle del fiume Amato sul versante tirrenico e quella del Corace su quello ionico. «Il paese dei due mari nel punto più stretto d’Italia – dice – Un luogo strategico, una leggenda narra che vi si sia fermato Ulisse durante la sua Odissea». Nella tranquillità del suo studio Renda compie le sue magie, combattendo un acerrimo nemico della fotografia, l’umidità che «attacca l’emulsione, distruggendo l’immagine». Quante ore servono per restaurare una foto e riproporla nitida? «A volte intere giornate. Si presentano parti mancanti, strappi lungo i volti, macchie, sporco, è necessario lavorare su più livelli. Inoltre, le immagini con oltre cento anni, venivano stampate con la tecnica dei provini a contatto, con i negativi posizionati sulla carta. La qualità era bassa, i formati piccoli. La magia sta nell’ottenere immagini nitide in formato gigante».
I luoghi remoti
Gli scatti contenuti nella sua fototeca raccontano una cultura antica, appresa sui libri e in tanti viaggi nei luoghi più remoti della Calabria. «Ho studiato filosofia e antropologia a Cosenza, diciotto esami svolti, l’ultimo mai affrontato. La fotografia era già entrata nella mia quotidianità. Sentivo la necessità di appropriarmi della storia». La prima mostra personale nel 1990 sul tema «Viaggio tra le estetiche del visivo». Poi, tanti libri anche in collaborazione con Antonio Panzarella (docente dell’Accademia di Belle Arti di Roma), Eugenio Attanasio (presidente della Cineteca della Calabria) e alcuni intellettuali locali. «I volumi a cui tengo di più sono quello fotografico realizzato con il Touring Club, racconta la Calabria di oggi, e i tre libri della serie La Calabria com’era, cento anni di immagini tra ’800 e ’900 oltre a un elenco dei fotografi attivi in Regione in quel periodo». Numerosi i lavori in corso. «Da quasi dieci anni, mi aggiro per l’altopiano delle Serre Calabresi per documentare l’attività degli ultimi carbonai. Ho poi attraversato tutta la regione per catturare le immagini più suggestive dei nostri castelli e delle roccaforti. Mi dedico anche all’arte sacra». I cambiamenti maggiori notati in carriera? «Nella gente. Basta confrontare le fotografie delle processioni di ieri e di oggi. Nei volti non c’è più la devozione di un tempo. Un mondo che pare destinato ad esaurirsi».
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