La procura non può mettere il naso nella gestione dell’8 per mille

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Comincia male l’anno nuovo per il cardinale Angelo Becciu. Se il 2023 si era concluso con la condanna del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano e il 2024 era stato caratterizzato dalla deposizione delle motivazioni di quella sentenza, il 2025 si apre con la richiesta di rinvio a giudizio per suo fratello Antonino da parte della procura di Sassari. 


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L’inchiesta venne aperta più di tre anni fa parallelamente a quella vaticana che ha portato nel frattempo alla condanna del cardinale per peculato a cinque anni e sei mesi in primo grado di giudizio. Oltre al fratello Antonino, il pm ha chiesto il rinvio a giudizio per il vescovo di Ozieri, monsignor Corrado Melis, il direttore della Caritas locale, don Mario Curzu e altre sei persone. Le accuse sono di peculato e riciclaggio per la gestione di circa 2 milioni di euro dei fondi dell’8 per mille destinati alla diocesi sarda.


Secondo il pm, sarebbe stato fatto un uso indebito di questi soldi dell’8 per mille perché nell’arco di dieci anni sarebbero finiti sui conti correnti riconducibili alla cooperativa sociale Spes di cui Antonino Becciu è responsabile. La cooperativa è la stessa protagonista dell’accusa costata il posto di prefetto della “fabbrica” dei santi e le prerogative cardinalizie a Becciu senior. Nell’udienza del 24 settembre 2020, infatti, il Papa disse all’ex Sostituto di aver perso la fiducia in lui proprio per la segnalazione che gli era stata fatta dal promotore di giustizia vaticano sui soldi alla cooperativa del fratello e non per la vicenda dell’immobile di Londra.


Nel filone vaticano, però, la stessa sentenza di condanna ha riconosciuto che i contributi da 25.000 e 100.000 euro partiti dai conti della Segreteria di Stato a quelli della Spes non sono stati spesi e ha ammesso la possibilità dell’utilizzo preventivato per finalità di promozione umana e integrazione sociale. La condanna è arrivata perchè il tribunale vaticano ha ritenuto illecita la donazione. Su questo stesso solco sembra essersi mossa la procura di Sassari contestando il peculato ad Antonino Becciu e a monsignor Melis per i soldi della Cei finiti sui conti della cooperativa.


Tuttavia, “sconfinando” le mura vaticane la questione si fa più complessa. Può, infatti, una procura italiana contestare ad una diocesi la destinazione di fondi dell’8 per mille? Lo scorso marzo monsignor Melis aveva respinto le accuse sostenendo che «è trasparente e non negoziabile la finalità degli aiuti della Cei» e rivendicando di aver aiutato gli svantaggiati del territorio con le donazioni attraverso la Caritas diocesana e «attraverso il suo “braccio operativo”, la Spes, la cooperativa sociale di tipo B nata proprio per il reinserimento lavorativo di persone dai vissuti travagliati».


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Melis aveva dichiarato: «Sono tutti in queste attività professionali e caritative i 2 milioni di euro dell’8×1000 arrivati globalmente in questi 10 anni di lavoro con gli svantaggiati». Tra le attività di reinserimento sociale portate avanti dalla Spes e finanziate coi soldi dell’8 per mille ci sono un panificio, un forno e due vigne. Come avviene in questi casi, le spese fatte dalla cooperativa per questi progetti sono finite nel rendiconto generale delle destinazioni dell’8xmille. E in effetti la Cei non si è costituita parte civile nel processo.


Per questo il rinvio a giudizio di monsignor Melis a Sassari non è cosa da poco. La materia, infatti, tira in ballo l’accordo di Villa Madama ed in particolare l’articolo 48 che riconosce alla Chiesa cattolica l’utilizzo dei soldi dell’8 per mille «per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di Paesi del terzo mondo». Geraldina Boni, Manuel Ganarin e Alberto Tomer hanno fatto notare in un articolo scientifico sull’argomento pubblicato sulla rivista “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” che «sarebbe paradossale e, per quanto qui preme, non in linea con quel self-restraint cui la Repubblica laica deve severamente attenersi nei confronti delle estrinsecazioni del sentimento religioso, che si andasse a sindacare come, da parte confessionale, vengano esaudite le esigenze di culto della popolazione, ovvero come la Conferenza Episcopale Italiana deliberi di concretizzare gli interventi caritativi. L’allocazione e l’uso dei fondi sono tassativamente limitati al raggiungimento di quegli scopi, ma sulle modalità pratiche e circostanziate di tale impiego ci si rimette alla libera discrezionalità della Chiesa, l’unica in grado di giudicare in proposito». 




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