Killer e trafficante di coca per la ’ndrangheta: chi era Giancarlo Polifroni, l’uomo giustiziato a Bovalino con 5 colpi di pistola

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Condannato per l’omicidio di Totò Speranza e per l’indagine Imelda, la vittima era detenuta agli arresti domiciliari per un cumulo di pena. Nel 2006 l’arresto ad Amsterdam da latitante

Aveva da poco lasciato il carcere Giancarlo Polifroni, il cinquantenne giustiziato ieri a Bovalino con almeno cinque colpi di arma da fuoco davanti alla sua abitazione. Dal luglio scorso infatti, l’uomo si trovava ristretto agli arresti domiciliari dove stava finendo di scontare un cumulo di pena per l’omicidio del musicista bovalinese Totò Speranza e per un vorticoso traffico di droga smascherato dalle inchieste “Imelda” e “Stupor mundi” della Distrettuale antimafia dello Stretto. Ed è proprio ai giudici dell’antimafia reggina che il fascicolo su questo omicidio “eccellente” potrebbe passare nei prossimi giorni. Polifroni infatti vantava un curriculum criminale di primo piano e nel mirino degli inquirenti ci era finito già nel 2000 quando, da latitante, venne accusato di avere allestito un proficuo traffico di marijuana che vedeva proprio il piccolo centro jonico come piazza principale dello spaccio. Un ordine di cattura che sarà solo il primo di una lunga serie.

L’omicidio Speranza

Ma la carriera criminale di Polifroni era iniziata prima di quell’accusa di traffico di erba. Alla fine degli anni ’90 infatti, poco più che ventenne, quello di Polifroni era un nome che iniziava ad essere ben conosciuto nel mondo degli spacciatori. Un ruolo che l’uomo si era ritagliato nel tempo, diventando presto uno dei maggiori referenti per l’acquisto di marijuana nella bassa Locride. Ed era a lui che Totò Speranza si era rivolto per comprare 200 grammi d’erba: ventottenne punk con tanto di cresta colorata (una sorta di marziano per la Bovalino di quegli anni), spirito libero, musicista e cofondatore della band degli Invece, Speranza non era mai riuscito a saldare il suo debito di 300 mila lire (poco meno di 150 euro attuali). Un affronto che Polifroni, ormai sulla pista di lancio per diventare un vero e proprio trafficante, non poteva accettare. Speranza – diranno le indagini che lo condanneranno in via definitiva a 17 anni di reclusione – aveva provato a prendere tempo, ma inutilmente. La sera del 12 marzo del 1997 infatti Polifroni raggiunge Speranza in un bar della cittadina jonica e, forse con la scusa di parlare, lo convince a salire in auto con lui. Speranza non farà mai ritorno a casa: una telefonata anonima, il giorno dopo, farà ritrovare il suo cadavere alla periferia di Bovalino. A inchiodare Polifroni alle sue responsabilità fu il caso. Pochi minuti dopo l’omicidio infatti, una pattuglia delle fiamme gialle lo nota mentre esegue una manovra pericolosa in auto e si lancia all’inseguimento. La fuga dura pochissimo e, dopo un incidente contro un muretto, Polifroni scappa a piedi lasciando sul posto la macchina, intestata alla madre. Quando gli inquirenti si presentano a casa sua però il killer (che ha ucciso la sua vittima con un colpo alla tempia infierendo poi sul cadavere con altri cinque colpi alla schiena) è già latitante.

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I traffici di cocaina

Condannato in contumacia, lo arresteranno solo nel 2006 ad Amsterdam dove nel frattempo si era ritagliato un ruolo di primo piano nel narcotraffico internazionale. Referente di alcune delle cosche più pesanti del mandamento jonico, il suo nome salta fuori in indagini come “Trina”, “Timpano”, “Nasca” e “Super gordo”. Ma è l’operazione “Stupor mundi” a definirne la caratura criminale. Secondo i magistrati dell’antimafia reggina infatti Polifroni – che ha trascorso la sua latitanza tra l’Olanda e il Belgio senza farsi mancare diverse puntate in Calabria – era uno dei protagonisti di un vasto traffico di cocaina sull’asse sud America-nord Europa imbastito dalle cosche dei Marando e dei Barbaro di Platì e portato avanti anche grazie alla cosca emergente degli Spagnolo di Ciminà, a cui più volte Polifroni era stato accostato.

Poi il carcere e, da poco più di sei mesi, gli arresti domiciliari trascorsi nella sua casa di Bovalino. Almeno fino a giovedì, quando un killer ha scritto la parola fine alla parabola criminale del piccolo spacciatore e omicida che volle farsi narcos.



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