Scelta ardua per il Libano: un nuovo presidente dopo due anni di vuoto

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Il 9 gennaio 2025 i parlamentari del Libano si riuniscono per la tredicesima volta al fine di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.


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Nel piccolo Paese, caratterizzato da uno spiccato pluralismo religioso, le più alte cariche dello Stato sono suddivise tra le tre confessioni più rappresentate: la carica di Presidente della Repubblica è appannaggio dei cristiani maroniti, quella di Primo Ministro dei musulmani sunniti e quella di speaker dell’unica Camera dei musulmani  sciiti. Per questo motivo le elezioni del Presidente della Repubblica sono molto più complesse in Libano che in che un normale Paese democratico, tanto più che alle appartenenze religiose si sovrappongono le alleanze politiche tra clan e gli affari privati di una classe dirigente profondamente corrotta.


Dalla scadenza naturale del mandato dell’ultimo Presidente Michel Aoun,  il 31 ottobre 2022, il potente speaker della Camera Nabih Berri ha convocato dodici sessioni parlamentari allo scopo di finalizzare l’elezione; durante l’ultima, il 14 giugno 2023, il candidato Jihad Azour mancò l’elezione per soli 5 voti e Berri si rifiutò di indire nell’immediato un’ulteriore tornata di votazioni. Da allora, reso evidente a tutti il mancato accordo tra i parlamentari e il franco ostruzionismo di parte di essi, il Parlamento non si è più radunato per tentare un’elezione.


Il 9 gennaio, però, il Libano torna a sperare di vedere a breve il suo nuovo Presidente: forti pressioni internazionali hanno convinto Berri a indire il nuovo appuntamento, intanto che la tregua tra Israele e Hezbollah è in vigore. Il cessate il fuoco scadrà il 27 gennaio e le attività belliche potrebbero ricominciare, ha fatto notare durante la sua recente visita a Beirut l’inviato Usa Amos Hochstein.


La verità è che in Libano il Presidente deve piacere sia all’interno che soprattutto fuori dal Paese; il candidato che rispecchia queste caratteristiche sembra essere il generale Joseph Aoun (nessuna parentela con l’ex Presidente Michel), attualmente Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, riconfermato per un secondo mandato il 28 novembre scorso. All’estero, Aoun sembra raccogliere favore unanime; Francia e Arabia Saudita si sono pronunciati esplicitamente per lui, e tra le righe anche gli Stati Uniti.


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 Ad una eventuale elezione del generale ostano però due fattori: l’incompatibilità della carica attuale con quella di Presidente della Repubblica (ma l’ostacolo si potrebbe aggirare, come è già stato fatto in passato) ed il mancato appoggio dei due principali partiti cristiani e del duo sciita Amal ed Hezbollah. Il Free Patriotic Movement, con i suoi 17 parlamentari avanza la candidatura di Gebran Bassil, genero di Michel Aoun e suo successore alla guida del partito; le Forze libanesi, 19 membri in Parlamento, propongono il loro leader storico e nemico acerrimo di Hezbollah Samir Geagea.


Sin dalle prime sessioni parlamentari i partiti sciiti hanno invece portato avanti Sleiman Frangieh, già ministro e amico di famiglia degli Assad; la recente caduta dell’ex Presidente siriano ne ha depotenziato la candidatura rendendola improponibile. Che trovino o meno un nuovo candidato da sostenere, Amal ed Hezbollah si oppongono fermamente a Joseph Aoun, e non a caso: il generale sembra la persona adatta all’implementazione della Risoluzione 1701 dell’ONU, prevista dalla tregua con Israele. Ciò comporterebbe il ritiro definitivo a nord del fiume Litani di Hezbollah, che così si allontanerebbe dall’area del confine lasciando il posto all’Esercito regolare libanese. Tali operazioni sono già state avviate nell’ultimo mese e mezzo, senza che peraltro i soldati israeliani si siano ritirati dal territorio libanese; ma evidentemente Hezbollah fatica a cedere lo scettro del Sud, anche davanti all’uccisione del suo leader Nasrallah e alle ingenti perdite di uomini e armamenti. A questo proposito occorre però sottolineare che il braccio politico di Hezbollah non è stato intaccato dalla guerra con Israele; 15 membri della milizia sciita siedono in Parlamento, e altrettanti ne conta l’alleato Amal.


I partiti sunniti si sono invece in parte pronunciati per Joseph Aoun, anche se il campo sunnita è fortemente diviso dopo l’abbandono della vita politica del leader Saad Hariri. A favore di Aoun dovrebbero essere anche i membri dell’opposizione usciti dall’area del dissenso popolare: pare che il generale sia figura unanimemente apprezzata per la sua sobrietà, imparagonabile con gli eccessi dei politici attualmente al potere.


In ogni caso secondo la Costituzione libanese, Aoun, o chi per lui per essere eletto ha bisogno dei due terzi dei voti, almeno 86 su 128; in caso di un mancato accordo, alla seconda tornata è sufficiente la metà più uno dei voti, dunque 65, per eleggere il Presidente. Restiamo dunque in attesa dell’imminente sessione parlamentare augurando al Libano di recuperare la propria sovranità nazionale a partire dall’elezione del Presidente; anche se, amaro paradosso, per riuscirci deve ricorrere all’aiuto, o all’ingerenza, della comunità internazionale.

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