Meloni, donna solissima al comando

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Dopo anni passati a prendere di mira la sinistra per il vizio dell’“amichettismo”, a Giorgia Meloni tocca difendersi dall’accusa di voler “tassare” gli italiani per un miliardo e mezzo di euro a favore dell’amico Elon Musk. Alla sua SpaceX, e alla galassia di satelliti che controlla, la presidente del Consiglio vorrebbe infatti affidare la “messa in sicurezza” delle comunicazioni criptate degli apparati dello Stato, una iniziativa che ha il pregio di mettere d’accordo le variegate forze di opposizione, impegnate a ricordarle che l’Italia è ancora una repubblica parlamentare, e che il tema meriterebbe un confronto trasparente nelle sedi opportune. La smentita di palazzo Chigi, che precisa come non ci siano contratti firmati ma solo “interlocuzioni”, che “rientrano nei normali approfondimenti”, non appare delle più impegnative in vista di possibili intese future.

D’altro canto, è lo stesso Musk, al solito iperattivo sul suo social network X, a dirsi pronto a fornire all’Italia “la connettività più sicura e avanzata!” (il punto esclamativo è suo). Fuori dall’Italia, farà probabilmente più rumore l’ultima trovata del tycoon: ha chiesto ai suoi duecento e rotti milioni di followers di votare sì o no alla domanda se l’America debba “liberare il popolo della Gran Bretagna dal suo governo tirannico”. Lasciamo ai lettori giudicare se un eventuale accordo con un soggetto del genere, e su una materia che proprio secondaria non è, possa rappresentare solo una nuova, estrema forma di privatizzazione in grande stile di una funzione strategica dello Stato. Materia delicata, e forse per questo è sempre Meloni, attraverso la comunicazione di palazzo Chigi, a smentire “ancora più categoricamente, considerandola semplicemente ridicola, la notizia che il tema di SpaceX sia stato trattato durante l’incontro con il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump”. Anche se, dato il rilievo della vicenda, forse non sarebbe poi così strano che i due leader si fossero confrontati sul tema.

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Intanto, il viaggio-lampo della premier a Mar-a-Lago, nella residenza di Trump, a pochi giorni dall’insediamento ufficiale alla Casa Bianca, ha avuto delle ricadute sulla politica domestica, e fornisce qualche indicazione anche sul tipo di relazione che Roma intende intrattenere con Washington nell’immediato futuro. Alla ricerca di una collaborazione con la nuova amministrazione sul caso di Cecilia Sala, la giornalista arrestata in Iran a quanto pare nella speranza di scambiarla con l’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, arrestato in Italia su richiesta degli Usa, Meloni ha trovato il modo di farsi legittimare fra gli interlocutori europei privilegiati del leader statunitense.

Trump ha fatto filtrare commenti più che positivi sul suo conto, mentre esponenti anonimi di Fratelli d’Italia al governo hanno sottolineato, attraverso la stampa non ostile (il “Corriere della sera”, per esempio), che la leader del loro partito ha largamente anticipato il vicepremier e rivale Matteo Salvini, segretario della Lega, atteso nella capitale nordamericana in occasione del passaggio di consegne fra Joe Biden e lo stesso Trump, il prossimo 20 gennaio. Competizione apparentemente un po’ paesana, che però – se si guarda anche al nervosismo dell’altro vicepremier, l’attuale leader di Forza Italia, Antonio Tajani, tenuto all’oscuro inizialmente del blitz in terra americana – dimostra come probabilmente, sul rapporto personale con il prossimo inquilino della Casa Bianca, Meloni punti per ribadire e rafforzare la sua posizione di gestore unico della politica internazionale dell’Italia. Meloni si conferma donna sola al comando, solissima, al di là e al di sopra di qualunque altro ruolo istituzionale: in largo anticipo sulla riforma costituzionale, che sta facendo il suo percorso parlamentare, e che prevede l’espansione dei poteri e un’accentuata centralità istituzionale della figura del presidente del Consiglio; ma anche in coerenza con una tendenza alla prevalenza dell’esecutivo sul ruolo delle Camere, che questa legislatura, per la verità, ha solo accentuato, essendo in atto da tempo.

Fra le persone tenute all’oscuro, o comunque messe ai margini nella gestione del caso Sala-Iran, secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, ci sarebbe anche Elisabetta Belloni, finora a capo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis), cioè responsabile della supervisione dei servizi segreti, ruolo dal quale si è dimessa con qualche mese di anticipo, forse in attesa di un incarico europeo, forse anche per le conseguenze attese, in termini di reale sovranità sulla sicurezza dello Stato, dall’affaire Musk. Se fosse vero, come diceva Giulio Andreotti, che a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina, a sintetizzare gli eventi delle ultime ore, il commento più centrato è forse quello pubblicato sui suoi canali social dal commentatore politico Massimo Rocca, penna con qualche decennio di esperienza giornalistica in parlamento e zone limitrofe: “Quindi, se uno volesse fare il cattivo, la possibile liberazione di Cecilia Sala ci costa un miliardo e mezzo di euro, più il capo dei servizi segreti”. Commento per certi versi ottimistico: resta per adesso solo un’ipotesi, tutt’al più una speranza, l’idea che tenersi buoni Musk e Trump alla fine consenta al governo di gestire con successo la delicata triangolazione con Teheran e Washington per riportare a casa la giornalista italiana. 



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