A Palazzo Ingrassia è intervenuto Francesco Privitera della Soprintendenza di Catania in occasione del seminario del corso di laurea magistrale in Progettazione del turismo sostenibile culturale e naturalistico
“Tutta la Preistoria europea utilizza le grotte. Nelle epoche più antiche naturalmente come luogo di rifugio e vere e proprie abitazioni. Successivamente permettono il rapporto con il mondo sotterraneo, con l’utero della terra, soprattutto per quanto riguarda l’ambito funerario”.
Con queste parole Francesco Privitera della Soprintendenza di Catania ha aperto l’incontro dal titolo “Le grotte dell’Etna” organizzato su iniziativa del prof. Orazio Palio nell’ambito del corso di laurea magistrale in Progettazione del turismo sostenibile culturale e naturalistico del Dipartimento di Scienze della formazione.
Proprio Privitera ha studiato alcuni dei siti etnei contribuendo a incrementare le conoscenze relative alle grotte e al loro uso durante le varie epoche della preistoria.
“Negli anni Novanta è stata esplorata la grotta Petralia che attraversa la città di Catania – ha spiegato -. All’altezza del terzo crollo, sono stati rinvenuti un raggruppamento di ossa e nei paraggi dei vasi rotti e frammenti sparsi, in particolare spicca una brocchetta capovolta a cui è stato tolto il collo. Si tratta probabilmente di una frammentazione rituale, che ha lo scopo di indicare un senso di fine, o forse un modo per comunicare con l’aldilà. I frammenti mancanti molto probabilmente venivano portati via da coloro che partecipavano al rito”.
“Analoghe brocchette, risalenti allo stile ceramico di Sant’Ippolito e di Castelluccio, rispettivamente Età del rame e bronzo antico, sono state ritrovate nella grotta Pellegriti di Adrano e nella grotta di contrada Marca, nel messinese – ha aggiunto -. È stata avanzata la proposta di chiamare Facies Pellegriti-Marca questo tipo di vasi che sembrano essere legati esclusivamente alla sepoltura, la peculiarità è l’insolita forma globulare.
Grotta Petralia (foto di Luigi Marino)
“In un altro settore della grotta sono stati rinvenuti degli spazi recintati da pietre, in un caso disposte in piedi, simili alla spirale presente sul sito di Balze Soprane, ricolmi di frammenti ceramici o di ossa di animali- pecore, capre, maiali – ha precisato -. L’ipotesi più accreditata è che le grotte servissero come dispensa, tuttavia è molto probabile che i cibi conservati, collocati in fondo alla grotta, fossero riservati alle cerimonie funebri”.
“La differenza cronologica tra le ceramiche ritrovate in questo settore, risalenti all’Età del bronzo antico, e i frammenti trovati nella zona delle sepolture, dimostra che la grotta ha continuato ad essere frequentata anche in epoche successive – ha evidenziato l’esperto della Soprintendenza -. La presenza di chiazze di ocra, colorante ricavato dall’ossido di ferro, sembrerebbe attestare che nella grotta si svolgessero delle prove fisiche legate a riti di passaggio e di iniziazione”.
“Con la fine del Neolitico, poi con l’Età del rame, in quasi tutto il mondo mediterraneo prevale la sepoltura collettiva che raggruppa individui dello stesso nucleo – ha sottolineato il dott. Privitera -. Le sepolture neolitiche di Balze Soprane, risalenti alla fase di Diana, sono di altro genere: sono individuali, protette da lastre e con corredo, insieme di oggetti personali”.
“Nella fase iniziale dell’Età del rame, scarseggiano le date e le testimonianze sull’Etna – ha aggiunto -. Ma una cosa è chiara: con il III millennio a. C. vengono sfruttati gli ambienti ad alte quote, quindi è possibile che centri il mondo pastorale“.
Un momento dell’intervento del dott. Francesco Privitera della Soprintendenza
Nonostante la maggior parte delle grotte etnee abbia un uso simbolico e rituale, alcune sembrano escludere l’uso funerario. Tra queste la grotta Tartaraci, la grotta delle Femmine, a 1610 metri di quota, e la grotta Schadlish, a 1300 metri.
“L’ipotesi è che le grotte ad alta quota fossero legate alla transumanza, e quindi ad una frequentazione stagionale, che dimostra un certo controllo del territorio”, ha spiegato nel corso dell’incontro Francesco Privitera.
“Un’altra ipotesi tuttavia attribuisce lo sfruttamento dell’ambiente più elevato alle crisi climatiche, la prima verificatasi durante l’ultima fase del rame, la seconda risalente al 2200 a. C., nel periodo di transizione dal rame tardo al bronzo antico”, ha aggiunto.
“Con la fine del bronzo antico scompaiono quasi del tutto i piccoli insediamenti, soprattutto negli ambienti marginali. Si esaurisce lo sfruttamento economico delle grotte. Pur mantenendo il loro aspetto sacrale, diventano un mondo altro, ostile, fino ai giorni nostri”, ha precisato il dott. Privitera.
“Le grotte etnee – ha detto in chiusura dell’incontro – si collegano a usanze e comportamenti, rilevabili da un punto di vista archeologico, che permettono uno sguardo sul rapporto tra le comunità e il mondo dei morti, come si forma il legame dei gruppi in rapporto alle generazioni precedenti”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link