La scoperta a Cabras: «Sotto lo stagno ci sono sei nuraghi»

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Sassari Il mistero dei Giganti di Mont’e Prama sopravvive al passare degli anni, tra scavi e studi in differita, polemiche a non finire e scontri più o meno evidenti tra studiosi. Una serie di eventi che ha prodotto un solo risultato inequivocabile: a cinquant’anni dalla scoperta è ancora impossibile spiegare, senza un ampio margine di errore, cosa rappresentassero quelle enormi statue di pietra ritrovate nel 1974. Ma anche cosa ci fosse realmente, migliaia di anni fa, sull’ormai famosa collina del Sinis.

La “nuova” scoperta

Oggi, poi, si aggiunge un altro tassello ai misteri di Mont’e Prama, perché il professor Gaetano Ranieri, ingegnere e geofisico, ha deciso di raccontare cosa avevano rilevato i suoi strumenti sul fondo dello Stagno di Cabras, dove uno dei protagonisti degli scavi del 2013 e del 2014 ha scoperto l’esistenza di sei nuraghi praticamente integri, con tanto di cupola, di cui almeno uno di dimensioni colossali. Dimostrazione evidente, secondo Ranieri, di come lo stagno non sia sempre stato uno stagno e di come i modelli di nuraghe ritrovati a Mont’e Prama potessero non essere il frutto della fantasia degli scultori nuragici, o la rappresentazione di cose viste in territori lontani. Anzi, sarebbero ritratti di strutture vicine, molto vicine. A un tiro di schioppo.

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Da qui ad ipotizzare un gigantesco dragaggio e una campagna di scavi sottomarina ce ne passa, anche perché ci sono voluti quarant’anni per ottenere i denari per indagare un minuscolo fazzoletto di terra, ma anche perché quando si parla di scavi, a Mont’e Prama cala quasi sempre il silenzio: «Per Mont’e Prama ho provato a coinvolgere le università di Harvard, Stanford, della Sorbona, di Cambridge. Erano interessate – racconta Gaetano Ranieri –. Volevano mettere 60 persone al lavoro, con turni da 20 al giorno, sotto lo sguardo attento di cinque archeologi. Tutto in collaborazione che le università di Sassari e Cagliari. Volevano scavare, a spese loro, ma non se ne è fatto nulla. Perché?». Già, perché? Un altro mistero, forse il più inspiegabile della storia di Mont’e Prama.

La storia

Sono passati dieci anni da quando il professor Gaetano Ranieri passeggiava nella collina di Mont’e Prama con una manciata di sassolini nelle tasche. E sono quasi dieci anni che il padre del georadar, uno dei protagonisti della campagna di scavi che ha riacceso la luce sull’archeologia del Sinis, non si piega su se stesso per sistemare quei sassolini sul terreno, in prossimità delle anomalie rilevate del suo strumento. Una prassi da moderno Pollicino che però, a differenza di quanto raccontato nella favola di Perrault, non aveva nulla di fantasioso, anche se spesso quei sassolini servivano allo stesso scopo: indicare la via. Sotto terra. «Una volta ho sbagliato – racconta Ranieri –. Avevo detto che sotto 54 centimetri di terra c’era un gigante di pietra. Avevo torto – sorride – era un betilo sezionato dagli aratri dei trattori».

Pochissimo tempo dopo, le indicazioni furono più precise: «I due giganti rinvenuti nel 2015 erano proprio dove avevo sistemato i miei sassolini , in perfetta corrispondenza con le anomalie rilevate dal georadar». Una dritta preziosissima che permise di riportare alla luce due capolavori dimenticati dell’arte nuragica che però, in seguito, venne ripetuta poche altre volte perché i rapporti tra Ranieri e la Soprintendenza si deteriorarono e il geofisico si allontanò dal sito. Prima, però, decise di scandagliare il fondale dello Stagno di Cabras. E i risultati di quello “sguardo”, rimasto segreto fino a oggi, si rivelarono sorprendenti.

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Il nome dello stagno è la prima trappola, perché l’acqua salmastra che riempie il bacino è arrivata in tempi recenti, perlomeno dal punto di geologico: «Il dubbio è nato quando ho studiato il primo rilevo cartografico dello stagno, datato 1878 – spiega l’ingegnere – e al centro della laguna era segnata la presenza di alcuni nuraghi. Una cosa senza senso apparente, per quale motivo qualcuno avrebbe dovuto costruire queste strutture in mezzo agli stagni? Per questo ho studiato tutte la carte topografiche realizzate in Sardegna e alla fine sono arrivato ad una conclusione affascinante: la porzione centrale dello stagno di Cabras, migliaia di anni fa, era un lago, con i suoi immissari ed emissari ma, soprattutto, con l’acqua dolce».

Una rivelazione che potrebbe spiegare uno dei misteri di Mont’e Prama, cioè la motivazione della scelta del sito su cui edificare la città nuragica, la “megalopoli” neolitica di 16 ettari raccontata da Ranieri in diverse occasioni, anche se in termini diversi: «La definizione che avete utilizzato qualche tempo fa mi ha creato alcuni problemi, ma ammetto che possa rendere l’idea di quello che poteva essere Mont’e Prama all’apice della suo splendore». Semplificazioni giornalistiche a parte, una volta scoperta l’esistenza di un paleo lago, restava da chiarire perché alcune rilevazioni cartografiche riportassero la presenza di un complesso sistema di nuraghi nel bel mezzo dell’attuale stagno: «Grazie all’aiuto dei pescatori di Cabras abbiamo indagato una superficie di 4,2 chilometri quadrati di stagno (su un totale di quasi 24, ndr) e abbiamo utilizzato un sub bottom profiler, uno strumento in grado di leggere il fondale marino che, per semplificare, funziona come un ecoscandaglio che va oltre il fondo del mare».

I dati rilevati dallo “scanner” hanno fornito una rivelazione sensazionale: «Sotto il fondo dello stagno, a circa undici metri di profondità, ci sono la basi di sei nuraghi, di cui almeno uno sostanzialmente completo, con tanto di cupola e guglie – spiega ancora Ranieri che, perlomeno su questo aspetto, non ha alcun dubbio –. Dal mio punto di vista, sono letture inequivocabili e ho tutte le coordinate a disposizione per indicare dove si trovano». I dati, tuttavia, sono al sicuro e Ranieri, perlomeno per il momento, non ha intenzione di divulgarli. A dire il vero, qualcosa l’aveva anticipata quando aveva rivelato i risultati delle fotografie all’infrarosso scattate nell’ipogeo di San Salvatore di Sinis, da dove era partita l’indagine terminata nello stagno: «Sui muri dell’ipogeo, sotto alcuni strati d’intonaco e sotto altri disegni, è raffigurata una reggia nuragica con otto torri. Il primo indizio. Abbiamo anche appurato che nell’ipogeo ci sono altre tre stanze e altrettanti pozzi. Eppure è stata rifatta la pavimentazione della chiesa, nonostante sia evidente che ci altro da scoprire». Una scelta incomprensibile che spiega, in parte, il motivo per cui la scoperta di Gaetano Ranieri non abbia avuto un seguito sul campo, anche se qualche anno dopo le prime tracce rivelate dall’ingegnere e geofisico è partita un’indagine “transdisciplinare”, finanziata dalla Fondazione Mont’e Prama ed effettuata sul campo dagli archeologi delle Università che, con i picchetti, dal 17 ottobre hanno iniziato a scandagliare i fondali dello stagno.

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L’antico cataclisma

Considerato che Ranieri sarebbe già in possesso delle coordinate dei sei nuraghi, resta un enorme punto interrogativo: come è possibile che sei nuraghi siano finiti sul fondo dello stagno di Cabras? «Partendo dalla misurazione degli strati sedimentari, da 0,8 fino a 1,5 metri a millennio, un nuraghe che ha la base a undici metri di profondità, dovrebbe risalire al 6mila avanti Cristo – aggiunge Ranieri –. L’archeologia, però, ci dice che i nuraghi sarebbero strutture molto più recenti, non più vecchie di 4mila anni. Dunque, resta solo un’ipotesi: i nuraghi sarebbero sprofondati a seguito di un cataclisma o di eventi climatici particolarmente forti e impattanti. Non è un cosa così strana nelle aree costiere, perché le alluvioni e le mareggiate combinate tra loro potrebbero tranquillamente causare lo sprofondamento di un nuraghe sotto la spinta del suo stesso peso».

Un’idea, quella dei cataclismi, che Ranieri ha confutato sfruttando anche l’esperienza e gli studi dendrocronologici disponibili: «Che ci aiutano a datare i grandi cambiamenti climatici della storia della Terra e ci spiegano come tra il 1200 e il 1100 avanti Cristo ci sia stata stata una rapida impennata delle temperature, con una variazione che è arrivata fino a 4,5 gradi di media. Pensare che oggi ci preoccupiamo per la variazione di un grado e tutti speriamo che non arrivi a 1,5 – spiega ancora Ranieri – rende l’idea di quello che potrebbe essere successo allora che, come sostiene il climatologo Cliff Harris, dell’Università dell’Illinois, e il meteorologo Randy Mann, dell’Università di Melbourne, la Terra era stata scossa da eventi disastrosi come cicloni e uragani innescati proprio dal repentino cambio delle temperatura. E potrebbe non essere un caso che i tempi collimino con la rovinosa fine della civiltà ittita e che, a questo punto, potrebbero non aver risparmiato nemmeno quella nuragica».

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